Storia

Se davvero siete amici di Israele, smettetela di fare crociate anti-islamiche

4 Ottobre 2015

L’editoriale con cui oggi sul “Corriere della sera” Angelo Panebianco indica negli intellettuali una categoria con responsabilità e vizi di lungo periodo a proposito della diffusione della leggenda nera di Israele come “paese antiumano” coglie nel segno da molti di vista: nella diffusione della leggenda nera, nella costruzione di un nemico su cui scaricare la propria critica o comunque su cui andare a cercarsi una propria illibatezza; come ricerca di un “capro espiatorio” per i propri malesseri.

A tutto questo Panebianco aggiunge che non è trascurabile il fatto che proprio quei luoghi, in gran parte centri universitari, soprattutto nel Regno Unito, che con più convinzione sostengono la campagna di boicottaggio, economico e culturale (BDS), e dunque, di fatto, propongano l’isolamento e la massa al bando della società civile israeliana, prima ancora di quella politica, siano quei centri che usufruiscono e godono di finanziamenti che proprio dai paesi arabi provengono.
Una vecchia questione anche questa che dimostra a suo modo come la vecchia categoria di impegno, sollevato a suo tempo dall’esperienza e dalla retorica sartriana della responsabilità, come condivisione con gli altri uomini in un progetto politico universalistico, si traduca ancora una volta nel venir meno a quella funzione dei chierici, come richiamava Julien Benda quasi novanta anni fa, meglio a quel tradimento che trasforma velocemente un intellettuale in un “funzionario”.
La critica a Israele, e ancor più l’ostilità nei suoi confronti di tanto mondo accademico, culturale e “impegnato” post modern0, alla fine tornerebbe a configurarsi nelle vesti di quella ricerca di “capro espiatorio” cui riversare il proprio senso di rifiuto, Condizione unita al fascino per il richiamo alle ideologie illiberali cui, secondo Panebianco gran parte degli intellettuali nel corso del Novecento hanno fornito più volte prova.

Ho la sensazione, tuttavia, che la costruzione stessa con cui Panebianco si spende per dimostrare e definire la costruzione della leggenda nera, non fuoriesca da quel vizio del “capro espiatorio” che critica. Non so se di per sé sia sufficiente squarciare il velo e scoprire percorsi dietrologici per cui trovato la fonte misteriosa del “pervertitore” allora sia facile rimuovere la retorica o le convinzioni profonde dela critica a Israele. Dentro, e non dietro, la retorica antisraeliana del BDS (Boicottaggio, disinvestimento, sanzioni) stanno molte cose che si spiegano non solo con l’immagine negativa di Israele. Ne indico alcune, le prime che mi vengono:
• C’è una prima dimensione che si colloca sul piano della difesa dei diritti civili e che semplicemente azzera qualsiasi sensibilità rispetto al tema del rispetto della vita nei molti regimi che costituiscono la mappa politica del Medio Oriente attuale;
• C’è il silenzio su Kobane che vuol dire che a noi dei curdi non ce ne potrebbe importare di meno;
• c’è il silenzio sull’amministrazione della giustizia in una realtà politica come l’Arabia saudita (tanto per rimanere al caso di Ali al Nimr, che non sembra a quei militanti tutto d’un pezzo del BDS importi granché);
• c’è un terzomondismo profondo e c’è un’idea di crisi dell’Europa, di nostalgia della civiltà europea . che oggi fa dell’Europa forse uno dei territori culturali più a rischio di coltivazione mitologica della propria funzione.
Una condizione che nello stesso momento in cui mette pesantemente sotto accusa il proprio passato imperiale, non vuol considerare quale sia la sfida oggi in campo per provare a ripartire.

Ma soprattutto c’è la paura.

E’ una paura che nasce non solo dall’immaginario demografico (l’Europa come continente di una società che invecchia e numericamente in contrazione, a fronte di un “terzo e di un quarto mondo” che si disegna numericamente in crescita e che batterebbe minacciosamente alle porte), ma anche dall’incapacità di saper pensare una nuova forma di progetto economico, produttivo, e che faccia di un diverso uso delle risorse una delle sfide di questo nostro tempo. E’ lo stesso tipo di paura che, di fronte al tema dell’energia, genera incapacità di decisione e che si traduce omelia sul futuro, ma ne i fatti conferma la dipendenza energetica del petrolio, auspica una riconversione ma poi diffida della ricerca scientifica, e perciò non investe su domani.

Anche per questo si limita appunto a trovare “capri espiatori”. E’ la stessa dinamica culturale che contrassegna i molti populismi contemporanei in cui in Europa siamo immersi, di destra e di sinistra e che segnano il vocabolario di questo nostro temo, non lontano da quello proprio dei BDS. Vocabolario trasversale sull’intero asse destra-sinistra (ammesso che questa distinzione nel caso de populismi cui assistiamo oggi in Europa abbia un fondamento): di quelli che hanno la retorica del rifondamento nazionalista dell’identità e di quelli che pensano che occorra trovare un’identità dell’Europa che prescinda dagli effetti comunque irreversibili della globalizzazione.
La visione diabolizzata di Israele appartiene a quella famiglia di convinzioni. Una convinzione che non produce sviluppo ma voglia di crociata e che appunto per questo si fonda su capri espiatori, come il suo opposto speculare: quello che fa del mondo islamico, un mondo compatto, senza differenze interne.

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