Partiti e politici
“I Nemici della Repubblica”, gli anni di piombo secondo Vladimiro Satta
Recensione a Vladimiro Satta, “I Nemici della Repubblica”, Rizzoli, Segrate, 2016, pp. 894, 28 euro, Collana Saggi.
Per approfondire nel dettaglio il mio interesse per gli anni di piombo, ho deciso di leggere il libro i “Nemici della Repubblica”. L’autore è Vladimiro Satta, storico che ha preferito il servizio nel Parlamento italiano all’insegnamento, lavorando soprattutto per la Commissione d’inchiesta sulle Stragi, attiva tra il 1989 e il 2001.
Il volume ripercorre quanto emerso nelle sentenze giuridiche e negli atti delle commissioni d’inchiesta che si sono accavallate nel corso degli anni, fino al 2016 (anno d’uscita del libro). L’autore prova a ricostruire le vicende complesse che iniziano con le proteste studentesche del 1968 e terminano con l’omicidio del democristiano Roberto Ruffilli nel 1988, distinguendo le varie situazioni che si sono intrecciate all’interno dei singoli eventi.
Molti volumi che trattano gli anni di piombo finiscono per intrecciare i ruoli di terroristi, servizi segreti, forze dell’ordine e politica. Secondo queste ricostruzioni, una politica cattiva avrebbe usato i terroristi con la compiacenza di spie e militari. Le finalità delle varie parti in causa appaiono indistinte.
Il pregio dei “Nemici della Repubblica” è quello di spiegare i ruoli e le finalità dei singoli protagonisti. Il lettore comprende questa caratteristica quando l’autore racconta la strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Nella sua visione, la politica avrebbe subìto una strage effettuata da un gruppo di terroristi fascisti che, del tutto autonomamente, volevano far crollare il sistema.
Le forze dell’ordine avrebbero commesso l’errore di incolpare gli anarchici in quanto principali sospettati secondo le conoscenze del momento. I servizi segreti avrebbero agito successivamente, provando a coprire i loro rapporti pericolosi con i militanti di Ordine Nuovo. Per questo gli uomini dello stato avrebbero aiutato la fuga di Guido Giannettini, fascista indagato per la strage e spia nota come “agente Z”.
Il sistema non crollò perché la classe politica e la popolazione reagirono in modo forte. All’interno della classe politica, emerge come difensore della causa democratica la figura di Paolo Emilio Taviani, ministro dell’Interno e uomo forte della Democrazia Cristiana. Sciolse le organizzazioni neofasciste di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale e dette impulso alla riforma dei servizi che aiutò gli apparati a debellare le pulsioni fasciste accumulate in precedenza.
Un’altra prova della fede democratica di Taviani fu l’appoggio fornito al magistrato comunista Luciano Violante. Il futuro presidente della Camera indagava sul progetto di golpe di Edgardo Sogno, partigiano e militare monarchico, che disprezzava egualmente comunisti e fascisti. Secondo l’autore, per quanto velleitarie, le intenzioni di Edgardo Sogno erano concrete. Taviani contribuì al suo arresto, malgrado l’eventuale golpe di Sogno potesse favorire i partiti moderati come la Democrazia Cristiana.
Il lavoro del governo rese pressoché impossibile attuare trame eversive nella seconda metà degli anni ’70. Così, lo spontaneismo armato diventò protagonista, a destra con i Nuclei Armati Rivoluzionari (NAR) e a sinistra con le Brigate Rosse (BR). Gli scontri di questi anni sono stati assolutamente rilevanti ma possono essere ricondotti a una guerriglia quotidiana di bande armate che volevano scatenare una guerra civile ai danni dello stato. Questi obiettivi sono falliti miseramente. In quest’ottica, chi chiama in causa stati esteri, organizzazioni non governative, servizi segreti e complotti, fa solo dietrologia.
Fin qui le argomentazioni dell’autore risultano convincenti. Stona invece il capitolo finale, dedicato alla strage di Bologna. Pur riconoscendo la validità dell’accusa contro Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, l’autore afferma di non credere alle sentenze passate in giudicato. Satta sospetta del tedesco Thomas Kram, uomo dai legami con il terrorismo palestinese. In realtà, seppur sappiamo che Kram in quei giorni era a Bologna, non c’è niente che lo connette con la strage, per questo non è stato processato.
Mi pare che l’autore si lasci trasportare dalle sue idee. Nelle pagine del volume infatti Satta mostra di sostenitore la linea della fermezza contro tutti i terrorismi. Non apprezza così il “lodo Moro”, ovvero il tacito accordo tra Italia e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) che concedeva ai terroristi palestinesi di muoversi liberamente in Italia, in cambio di non condurre attacchi nella penisola.
Per Satta, l’accordo è una vergogna nazionale, con cui il belpaese ha messo in difficoltà gli alleati. In realtà, sembra che accordi di questo genere fossero diffusi in numerosi stati occidentali. Secondo l’autore, la rottura del patto da parte delle forze dell’ordine italiane avrebbe scatenato la reazione palestinese. Ma la sua teoria rimane senza prove evidenti eccetto il movente.
Tra l’altro, nel 2016 Satta non poteva conoscere l’evoluzione giudiziaria. Oggi, pare accertata la presenza nella stazione di Bologna di Paolo Bellini, fascista che cooperava sia con i servizi segreti che con le mafie. L’indagine sui mandanti ha fatto invece emergere un gioco mortale tra loggia massonica P2 e servizi segreti che personalmente mi pare poco credibile.
Quindi, consiglio vivamente di leggere i “Nemici della Repubblica” soprattutto per comprendere come lo stato non fosse una fucina eversiva come viene dipinto da giornalisti e giudici troppo appassionati alla dietrologia. Il volume è estremamente utile a togliere ai complotti la loro valenza universale e a ridare dignità a chi ha agito in buona fede. Ma si deve fare attenzione perché, se letto con superficialità, potrebbe anche portare all’errore opposto, ovvero quello di negare ogni genere di complotto degli apparati contro la democrazia.
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