Storia
Hobsbawm storico del lavoro in un saggio di A. Pantaloni
Alberto Pantaloni, Hobsbawm storico del lavoro. Il movimento operaio dalla Rivoluzione industriale alla fine del secolo breve, Le Monnier, 2022, 144 pp., 12 euro
A 10 anni dalla sua scomparsa la casa editrice Le Monnier ha pubblicato un bel saggio di Alberto Pantaloni dedicato agli studi di Eric Hobsbawm sul movimento operaio (nell’immagine di copertina la presentazione del volume presso la libreria Odradek di Roma). Il testo è sia un’ottima introduzione che una guida alla lettura per chi si accinga a leggere questa parte fondamentale della ricca e poliedrica opera dello storico britannico di formazione marxista conosciuto soprattutto per il successo editoriale de Il secolo breve a metà degli anni Novanta. L’autore però non si limita a elencare opere e temi affrontati da Hobsbawm, ma svolge un lavoro tanto discreto quanto prezioso, collocando la sua ricerca nel contesto storico e nel dibattito della storiografia contemporanea, mettendone in luce gli aspetti metodologici, a partire dalla sua rivendicazione del ruolo di storico “partigiano”, che non per questo rinuncia a essere scienziato, e di storico marxista attento a non cadere nel dogmatismo, incline a utilizzare il marxismo come metodo e “cassetta degli attrezzi” piuttosto che come una visione del mondo statica e uguale a se stessa, anche valorizzando i diversi, spesso collidenti, punti di vista maturati dalle correnti che a Marx hanno fatto riferimento nei quasi 150 anni trascorsi dalla sua scomparsa .
Pantaloni ha scelto di suddividere l’ampia opera di Hobsbawm dedicata al movimento operaio in quattro parti, a ciascuna delle quali ha dedicato un capitolo, una classificazione più tematica che cronologica, in cui tuttavia emerge una corrispondenza tra le fasi della sua ricerca e l’attenzione ad alcuni temi. Si parte dalla militanza nel Communist Party Historians’ Group, insieme ad autori importanti come Maurice Dobb ed Edward P. Thompson. Quell’esperienza, maturata nel primo dopoguerra, è caratterizzata per un verso dal tentativo di rompere l’egemonia della storiografia liberal-radicale britannica e per un altro di tematizzare, ma anche di affrontare in termini concreti, il nodo del rapporto tra rigore scientifico della ricerca storica e militanza politica. E si conclude nel ’56, quando la crisi che colpisce tanti intellettuali comunisti a seguito dei fatti di Ungheria spinge tutti i membri del gruppo, tranne proprio Hobsbawm, fuori dal Partito Comunista Britannico.
Il secondo capitolo è dedicato ai saggi di storia economica e sociale sulla classe operaia britannica. Hobsbawm non si limita a studiarne le condizioni di vita e di lavoro dei proletari, ma indaga anche l’evolversi della loro mentalità e l’impatto della tradizione su di essa, mettendo in luce come si tratti di fattori chiave per comprenderne lo sviluppo della coscienza politica. Un approccio in cui anche mode e abitudini sociali apparentemente “frivole” – modi di vestire, sport popolari e nuovi usi, come quello delle gite al mare – diventano elementi chiave per comprendere a quali mutamenti sia soggetta la percezione di sé di una classe sociale.
Nel terzo capitolo Pantaloni tratta le opere dedicate alla storia del movimento operaio britannico e delle sue forme di organizzazione politica e sindacale, concentrandosi su alcuni snodi che si ripropongono in tutto il periodo che va dalla prima Rivoluzione industriale fino agli anni Sessanta-Settanta del Novecento: il rapporto tra il marxismo e le altre correnti politiche attive in seno alla classe operaia, l’insorgere del nazionalismo, il rapporto tra il movimento operaio e il tema della violenza.
Infine il quarto capitolo non può che confrontarsi con la fine del “secolo breve” e la crisi che investe il movimento operaio in termini materiali e, conseguentemente, le sue rappresentanze politiche e sindacali e che, combinata con la fine della Guerra Fredda, finisce per inficiare la presa del marxismo su milioni di proletari in tutto il mondo: una “ritirata” in cui però paradossalmente proprio il crollo del “socialismo reale” apre la strada alla rinascita di una storiografia classista.
Oltre che costituire, come dicevamo all’inizio, un’utile introduzione alla lettura diretta dei testi dello storico britannico, e anche a una selezione dei titoli in base ai propri interessi, il saggio di Pantaloni ha altri due meriti. Il primo è che evita uno dei rischi sempre presenti quando ci si occupa di autori così importanti, che è quello di cadere nella celebrazione. Nel libro infatti non vengono sottaciuti alcuni dei potenziali limiti della produzione scientifica di Hobsbawm, come la scarsa attenzione riservata ad alcuni settori sociali e segmenti di classe operaia – giovani, donne, lavoratori immigrati – che pure hanno esercitato un ruolo di primo piano nelle grandi mobilitazioni politiche e sociali in Gran Bretagna.
L’altro merito del saggio, di particolare valore nella crisi d’identità e di metodo che travolge la sinistra e in particolare la sinistra classista, è aver sottolineato l’attenzione che Hobsbawm riservò costantemente all’analisi della composizione della classe operaia e dei mutamenti impressi ad essa dall’evoluzione del modo di produzione capitalistico e della sua organizzazione del lavoro, con una ricaduta sia sulle forme organizzative politiche e sindacali dei proletari sia sulla loro percezione della realtà e di se stessi in quanto soggetto sociale collettivo. In un periodo storico in cui da una parte domina l’ideologia della fine della classe operaia, da un’altra serpeggiano descrizioni caricaturali di una classe operaia immutabile e sempre protesa all’offensiva, il cui ardore è vanificato semplicemente dal tradimento delle burocrazie politiche e sindacali, se c’è un motivo per cui oggi ci manca una figura come Hobsbawm è proprio la sua costante dedizione ad analizzare la storia e i suoi grandi attori collettivi nella loro concreta conformazione.
La recensione è tratta dalla newsletter di PuntoCritico.info del 20 dicembre.
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