Storia
Gli uomini grigi di Primo Levi
C’è un capitolo di Primo Levi e i suoi compagni di Sergio Luzzatto – per la precisione il secondo capitolo (dal titolo «Voi», «noi», «io». I pronomi della soluzione finale, pp. 47-76) che segna una grande differenza tra prima e dopo la lettura di quel libro.
Lo ha osservato con sottigliezza Gabriele Pedullà. L’uso del pronome personale – «io», «noi», «voi» – se è un viaggio della psicologia di Levi, è anche un modo per riprendere quel tema della memoria che Levi fissa nel capitolo di apertura de I sommersi e i salvati (dal titolo: “La memoria dell’offesa”) un libro che ha una lunga storia di costruzione no, come ha suggerito con precisione Martina Mengoni.
Riprendo le righe di apertura di quel capitolo
“La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace. È questa una verità logora, nota non solo agli psicologi, ma anche a chiunque abbia posto attenzione al comportamento di chi lo circonda, o al suo stesso comportamento. I ricordi che giacciono in noi non sono incisi sulla pietra; non solo tendono a cancellarsi con gli anni, ma spesso si modificano, o addirittura si accrescono, incorporando lineamenti estranei”
La fallacia della memoria, tema su cui anni fa opportunamente è tornato a insistere Marco Belpoliti.
Un passaggio che sicuramente risente della lettura Menschen in Auschwitz di Langbein, un testo che ha molti tratti con i propositi riflessivi di Primo Levi, già dichiarati nelle pagine di Se questo è un uomo: il proposito di uno “studio pacato” (Levi) e di “un’analisi spassionata” (Langbein) della situazione estrema del Lager, la consapevolezza che i carnefici sono Menschen anche loro, trasformati in freddi assassini. Insieme ma anche la percezione che gli «uomini grigi» sono una «possibilità» per capire i comportamenti. Ovvero una sfida e una opportunità per comprendere fin dove arriva la potenzialità dell’essere umano.
Primo Levi e i suoi compagni è molte cose: è sicuramente un libro di indagine storica, è anche un libro di fine e attenta lettura della costruzione letteraria, ma è soprattutto la dimostrazione che cosa possa essere una ricerca storica che non si limita a una ricostruzione della scena.
Ne I sommersi e i salvati un posto privilegiatolo occupano le pagine che meglio aggrediscono i punti delicati e i nervi scoperti delle debolezze umane. In quelle debolezze le osservazioni sulla memoria e quelle sulla «zona grigia» hanno avuto la funzione di riaprire questioni che la storiografia non ha mancato di sottolineare Penso soprattutto a Raoul Hilberg e a Christopher Browning.
Quello che però Sergio Luzzatto aggiunge è che quella categoria non solo ha una storia, ma anche nella scrittura di Levi si popola di figure che mutano nel tempo. Ora la sua ricostruzione discende da dove quelle figure si collocano Ovvero da come esse agiscono sulla scena.
Improvvisamente il «cosmo» della baracca , del laboratorio, delle figure con cui Primo Levi viene in contatto in quei dieci mesi (tra il marzo del 1944 e il gennaio 1945) che segnano radicalmente il suo vissuto e ne condizionano la riflessione assumono un profilo differenziato nel tempo e appunto ridisegnano la configurazione della sua persona singolare, del contorno di umani con cui avverte una condizione di condivisione, rispetto a quelle il cui comportamento è più sensibile alla riproduzione della gerarchia del lager.
Se la parola «collaborazione», osserva Luzzatto pur presente, non aveva suscitato indagine o aveva obbligato a una riflessione sulle modalità nelle pagine di Se questo è un uomo, ora ne I sommersi e i salvati quel tema diviene strutturale. Non significa che quella dimensione non esistesse, ma quella categoria -la «zona grigia» – non era di per sé in cosmo da indagare. Il contatto e il confronto implicavano invece un giudizio, osserva Luzzatto.
Dunque nel tempo è il giudizio che inizia a ad essere meno netto. Non perché si attenuino le condizioni o la descrizione e del degrado, ma perché s allarga la dimensione e la fenomenologia di un cosmo che contemporaneamente consente a un sistema di funzionare e di lasciare dei margini, pur minimi di complicità.
La conseguenza è un allargamento della «zona grigia».
Quell’allargamento non è un difetto o l’indicazione di un’incertezza. Al contrario è un’opportunità per abbandonare una valutazione tutta morale e guardare lai comportamento come complessità di componenti, di pulsioni, di motivazioni. Non significa abbassare il’ast9cella del giudizio, ma implica avere uno sguardo scettico sui comportamenti individuali e che perciò, proprio in nome di quello scetticismo, insiste nel cercare un supplemento di indagine e dunque a mettere sul tavolo molti elementi.
In breve a complicare la scena. Anche questo è un merito del libro di Sergio Luzzatto. Più precisamente: l’indicatore di qualità dello storico.
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