Storia
Gli italiani che piansero Stalin
Alle 21,50 del 5 marzo 1953 – è il comunicato ufficiale – nella dacia di Kuntsevo, dove trascorreva i suoi giorni, moriva Josip Stalin, l’uomo che per 31 anni aveva governato, col pugno di ferro e macchiandosi di orrendi crimini, l’Unione Sovietica.
Il bollettino medico ufficiale attribuisce la causa del decesso ad un’emorragia cerebrale ma, quasi subito non pochi avanzarono il sospetto che, invece, fosse stato avvelenato indicandone in Laurentij Berija, lo spietato capo della polizia sovietica e il più intimo collaboratore del dittatore, l’autore del delitto.
La notizia, della morte del capo assoluto del comunismo mondiale, rimbalzò a livello internazionale suscitando il cordoglio di milioni di uomini che avevano creduto in colui che, come Palmiro Togliatti, personaggio molto vicino al dittatore comunista e perfino complice delle sue malefatte, come “un gigante del pensiero e dell’azione”.
Nel coro laudativo, l’unica voce stonata fu quella della Jugopress, l’agenzia stampa Jugoslava che manifestava, addirittura “gioia e sollievo” per la fine di colui che veniva definito il maggiore esponente dell’imperialismo rosso.
In Italia, il paese occidentale che registrava la presenza del più grande partito comunista d’Europa, le reazioni alla notizia della morte di Stalin, raggiunsero l’acme della isteria e della mistificazione.
L’Unità, il quotidiano fondato da Antonio Gramsci, divenuto organo ufficiale del PCI, dando la notizia della morte di Stalin lo indicava come “l’uomo che più di tutti ha fatto per la liberazione e il progresso dell’umanità”.
Il Comitato Centrale del PCI rilasciava un comunicato elogiativo, nel quale, fra l’altro, si leggeva:” Stalin è l’uomo che più di tutti ha lavorato per spezzare le catene dello sfruttamento e dell’oppressione”.
La CGIL, guidata da Giuseppe Di Vittorio, in segno di lutto, suscitando la indignazione della CISL e della UIL, invitava poi i lavoratori, ad una sospensione collettiva dal lavoro.
Insomma, una sorta di santificazione collettiva alla quale si unì, con le sue solite uscite istintive, Sandro Pertini che esaltò “l’immensa statura di Stalin”.
Di questa isteria collettiva fu coda, e ne riportiamo alcuni brani per dare il segno del livello raggiunto dall’infatuazione, il significativo intervento commemorativo di Enrico Berlinguer nel corso del XIII congresso della FGCI che si svolgeva proprio in quei giorni a Ferrara.
“Stalin, affermava Berlinguer in quel discorso, è stato il capo e il maestro che ci ha guidato e che sembrava dovesse guidarci in ogni momento, in ogni tappa del nostro lavoro e della lotta nostra, il compagno, l’amico, il fratello, il padre che ci ha accompagnato in questi anni che sembrava dovesse sempre accompagnarci e starci vicino col suo pensiero, col suo consiglio, col suo amore premuroso, di questo grande fra i grandi della storia umana che è stato per noi giovani la fiamma ardente che ha riscaldato il nostro animo con la luce della verità, della giustizia, della fede” e proseguiva con voce commossa dicendo che “La gioventù dell’Unione Sovietica, la gioventù di tutto il mondo, la gioventù della nostra Italia hanno perduto il loro più grande e vero amico, il loro capo, il loro educatore, il loro maestro di vita”.
Un intervento che si concludeva con enfasi crescente:” Noi, concludeva Berlinguer, prendiamo l’impegno di organizzare nei prossimi giorni e nelle prossime settimane una grande leva per chiamare nuove migliaia di giovani e di ragazze a raccogliersi, come combattenti intrepidi, compatti e disciplinati sotto le bandiere del comunismo, nelle file della nostra organizzazione nel nome ed a gloria del compagno Stalin. Gloria eterna al grande e caro Stalin!”
Tre anni dopo, il 25 febbraio 1956, nel corso del XX congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, Nikita Krusciov, allora segretario del partito, convocò i leader dei partiti comunisti internazionali per leggere un documento segreto che ridimensionando e criticando in modo evidente la figura di Stalin, proseguiva il programma di destalinizzazione iniziato, fin dalla morte di Stalin nel 1953, dallo stesso Krusciov e dalla maggioranza della nuova dirigenza Sovietica.
Per la cronaca, ricordiamo come nessuno dei protagonisti italiani di quel delirio elogiativo abbia successivamente fatto autocritica.
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