Storia

Inganni della memoria, falsificazioni, negazioni

26 Gennaio 2016

In occasione della giornata della memoria, a lungo atteso, presso la collana Pseudos dell’editore Mimesis, esce un volume che si occupa della menzogna e degli inganni della memoria.

La questione degli inganni della memoria non è una novità per chi si è già interessato delle testimonianze processuali, né lo è per chi si è letto i testi di Elizabeth Loftus, divenuti veri e propri punti di riferimento per tutti coloro che devono valutare l’attendibilità e la veridicità dei testimoni oculari.

I processi di Norimberga, e tutta la serie degli Auschwitz-Prozesse, la memoria della Shoah e libri diventati rapidamente di culto come Se questo è un uomo, Il diario di Anne Frank o L’istruttoria di Peter Weiss (per non citare che i più noti) hanno inaugurato l’era della testimonianza. Dopo che a lungo i testimoni non sono stati creduti (si veda Primo Levi) o, nella migliore delle ipotesi, non hanno suscitato alcun interesse, dagli anni sessanta in poi si è passati a una vera centralità del testimone come accesso privilegiato agli eventi storici (provocando di conseguenza gli attacchi negazionisti all’attendibiltà delle testimonianze).

Frida Bertolini, negli Inganni della Memoria (Testimonianza, falsificazioni, negazioni), Mimesis 2016, non arretra di fronte al rischio di essere accusata di portare acqua al mulino dei negazionisti, di coloro cioè, che, lungi dal mettere in discussione il valore di singole testimonianze sulla base di un metodo storico rigoroso alla base di ogni interpretazione, partono dal presupposto che tutte le testimonianze sono false (e amano chiamarsi “revisionisti”, anziché negazionisti, riservando agli storici seri l’epiteto di “sterminazionisti”).

Come però nella prefazione al libro sottolinea Valentina Pisanty, semiologa, docente all’Università di Bergamo e autrice del più importante testo sul negazionismo in lingua italiana (dove si analizzano le strategie retoriche dei negazionisti e la loro logica), il rischio consisterebbe semmai nel censurare i casi di false testimonianze (consapevolmente inventate o credute vere dai loro autori), perché, questo sì, sarebbe un aiuto involontariamente fornito ai negazionisti.

Insieme allo studio di casi, dunque, è necessario un discorso sul metodo storico. Nel testo, ovviamente, non manca.

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