Costume
Federico e le donne
Nella vita di Federico II la presenza delle donne ha avuto un peso determinante, senza il rischio di essere tacciato di esagerazione, si può dire che molti degli episodi felici od infelici che l’hanno riguardato hanno avuto come movente una donna.
Tre mogli ( Costanza d’Aragona, già moglie di Emerico re d’Ungheria, Iolanda Isabella di Brienne, figlia del re di Gerusalemme, e Isabella Plantageneta, sorella di Enrico II d’Inghilterra ) almeno due conviventi more uxorio ( Alyata di Ursilingen, nel cui castello svernò allorquando raggiunse per la prima volta la Germania, e Bianca Lancia, incontrata per caso in Piemonte) e un non precisato numero di amanti dalle quali ebbe un altrettanto imprecisato numero di figli, potrebbero far pensare ad un uomo fascinoso, di particolare bellezza.
Rossiccio, non molto prestante e dall’occhio alquanto strabico non era certo l’ideale del cavaliere che la cronaca e la leggenda medievale ci hanno tramandato. Eppure il suo fascino lo esercitava e, a parte qualche episodio di brutalità bella e buona – come nel caso della cugina di Isabella di Brienne, che solo per il pudore del cronista non venne definito stupro – numerosissime donne spasimavano per quest’uomo.
Resta da chiedersi che idea avesse Federico delle donne, se cioè le considerasse, secondo la tradizione e la cultura medievale (non si dimentichi che pesava sulle donne la vicenda dell’inganno biblico di Eva nei confronti del compagno Adamo ), venissero reputate esseri biologicamente inferiori, e che pertanto fossero considerate ora oggetto di piacere ora come fattrici di prole strumento per il prolungamento della vita, ovvero avesse nei loro riguardi un atteggiamento di rispetto della loro dignità.
Fatta eccezione per Costanza d’Aragona, la prima moglie, che forse per la differenza d’età e per la esperienza della stessa, suscitò nel giovane quasi una sorta di devozione filiale, il comportamento tenuto da Federico sia con le sue mogli legittime che con le sue amanti, anche in questo caso c’è una significativa eccezione per Bianca Lancia, colei che avrebbe generato il bel Manfredi, non è stato sicuramente improntato a quello che oggi definiremmo rispetto. Molti racconti tramandano un’immagine dell’imperatore libertino, dai modi sbrigativi che lasciavano intravedere quanto poco contasse il cosiddetto sesso debole nella sua vita.
Ma stranamente, quasi in contraddizione con questo comportamento, sul piano normativo, cioè per quanto riguarda le regole, viene fuori un atteggiamento assolutamente diverso e, per certi versi, impensabile in un tempo in cui, dietro il paravento della cavalleria, si nascondeva una realtà ben più complessa e perfino tragica fatta di quotidiane umiliazioni, di sfruttamento e di vera e propria violenza esercitate soprattutto all’interno dei nuclei familiari.
Dagli studi sulla intensa attività di legislatore di Federico emerge infatti che una concezione assolutamente rivoluzionaria, le donne nella società continuavano infatti ad essere sì soggetti deboli ma non private di una loro dignità che era tutelata per legge. Tutela non solo rispetto alla classica infirmitas sexus (presunta inferiorità biologica della donna) ma soprattutto – e questa è la novità più apprezzabile inserita da Federico II nel suo nuovo codice, ci si riferisce al famoso Liber Augustalis, per la dignitas sexus.
Pagava infatti con la morte chi avesse forzato la volontà della donna, fossero esse consacrate, cioè monache o, appartenenti alla più degradata condizione femminile, le meretrici.
Federico II accordava ai suoi tempi anche alle donne più reiette della società la stessa difesa accordata a tutte le altre donne, che fossero vergini, spose, vedove, maritate, che subissero stupro o rapimento. Basta pensare che lo stupratore o il rapitore era passibile di pena di morte.
L’imperatore volle, fra l’altro, inserire nella sua raccolta di leggi anche una norma che, seppure non avesse avuto fortuna, può considerarsi sicuramente avveniristica per quei tempi, quella norma offriva una tutela alla donna offesa dalla violenza più diffusa, quella di essere posseduta contro la sua volontà, negando anche il cosiddetto “matrimonio riparatore”. Si trattava di una disposizione che sconvolgeva una prassi comune, il cosiddetto “matrimonio riparatore”, che già a quei tempi in Sicilia era consuetudine.
Bastano queste note per far comprendere la modernità della concezione giuridica di cui Federico si faceva portatore, una concezione giuridica che tuttavia egli aveva mutuato dagli ordinamenti normanni anche se affinata e più chiaramente proposta.
Una modernità che, tuttavia, bisogna sempre calare nel contesto della ideologia federiciana, una ideologia che vede al centro la sovranità, una sovranità illuminata e clemente che disdegna ogni controllo ed ogni intromissione e che, per questo stesso, rispetto a come pensano alcuni, appare sostanzialmente e profondamente lontana dai miti della democrazia.
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