Partiti e politici
Estate 1924: un’occasione perduta per liquidare il fascismo
Il delitto Matteotti aveva scosso l’opinione pubblica ma anche i vertici dei partiti che, ora, si rendevano conto della urgenza di mettere da parte talune pregiudiziali per affrontare in termini nuovi l’emergenza politica.
L’argomento riguardava, soprattutto, i popolari e i socialisti riformisti divisi da steccati ideologici che non trovavano nella congiuntura presente una vera e propria ragion d’essere. La ricerca di un’intesa era dunque nelle cose ed il primo atto può essere fatto risalire all’intervista che Filippo Turati concesse il 1°luuglio 1924, al quotidiano “Il Popolo”, organo del Partito popolare italiano diretto da Giuseppe Donati.
Nell’intervista, lo storico leader del socialismo italiano, anche se in maniera larvata, apriva ad una possibile collaborazione fra riformisti e popolari in funzione della costruzione di un’alternativa democratica al governo guidato da Benito Mussolini resa necessaria dal “ritorno della barbarie”.
Inoltre, proprio per infrangere le barriere di cui si diceva, Turati affermava, a chiare lettere, che il socialismo riformista si fosse da tempo lasciato alle spalle l’antico armamentario anticlericale e guardasse con convinzione alla tutela della libertà religiosa e a quella dell’insegnamento.
L’apertura di Turati suscitò vasta eco tanto che il segretario del Partito popolare, Alcide De Gasperi, ne accoglieva positivamente le istanze e in un articolo pubblicato sul “Nuovo Trentino”, nel richiamare ad analoghe esperienze di collaborazione sperimentate in molti paesi europei, rassicurava i propri elettori, molto sensibili ai temi religiosi, che un’alleanza fra popolari e riformisti in quel frangente storico avrebbe avuto un valore tattico e non avrebbe significato in alcun modo rinuncia ai principi della Democrazia cristiana.
Per De Gasperi il problema vero era “l’attuale collaborazione con i fascisti” giudicata pressoché innaturale.
Lo stesso segretario dei popolari, in una riunione dei segretari provinciali del partito, con l’approvazione di don Luigi Sturzo, che già si preparava a lasciare l’Italia per un esilio che sarebbe durato ben 23 anni, ribadì ancora l’esigenza di una collaborazione di centro-sinistra, trovando un’accoglienza favorevole in gran parte dei quadri del partito.
A mostrare fastidio per queste aperture, furono però i cosiddetti clerico-fascisti che, il 18 luglio di quell’anno, vennero fuori con una nota polemica nella quale accusavano De Gasperi di poca coerenza visto che sembrava preferire la collaborazione con un partito ”antireligioso” piuttosto che con una forza politica che aveva avuto il merito di salvare l’Italia da una rivoluzione che avrebbe portato alla nascita di un regime di modello sovietico.
Il risultato dello scontro fu una scissione che portò alla nascita del Centro Nazionale, guidato da Cesare Nava e Stefano Cavazzoni che si schierava a sostegno di Mussolini e che aveva l’ambizione di unire tutti i cattolici che non si riconoscevano nella politica del Partito popolare.
Nota interessante, e poco conosciuta, nonostante certe incomprensioni fra gerarchie ecclesiastiche, che fecero sentire la propria voce di forte dissenso nei confronti del Partito popolare – ne fu espressione un lungo articolo su “Civiltà cattolica” elaborato dal direttore, padre Rosa – il neonato Centro Nazionale non ebbe, come avrebbero auspicato i suoi fondatori, alcun sostegno della santa Sede che, invece, puntò ancora sui popolari adoperandosi, apertamente, per bloccare l’iniziativa di apertura a sinistra che considerava un pericoloso ostacolo nel difficile e accidentato percorso relativo alla normalizzazione dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa.
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