Storia

Ercole Ricotti, la Storia e le compagnie di ventura

17 Gennaio 2025

Michael Mallett (1932-2008) è stato uno studioso dell’Italia rinascimentale, in particolare della storia militare quattrocentesca. Insieme al collega John Hale, fondatore della cattedra di storia presso l’Università di Warwick, Mallett iniziò la frequentazione dell’Università di Warwick. Nel 1974 diede alle stampe Mercenaries and Their Masters (1974), in Italia tradotto da Il Mulino, uno dei suoi maggiori successi, sempre dedicato alla storia italiana del primo Rinascimento. Nell’introduzione, quasi scusandosi per aver scritto un libro di storia militare in un tempo che, giustamente, ha in odio la guerra, dice tra l’altro che la storia bellica non può essere ridotta a una vicenda di battaglie, scontri ed eroi, ma deve essere assunta come cartina di tornasole per leggere la realtà sociale tutta. Tale visione fu anche quella di un altro scrittore di vicende militari dell’Italia rinascimentale, Ercole Ricotti (Voghera, 12 ottobre 1816 – Torino, 24 febbraio 1883), storico e ingegnere italiano.

L’Ottocento è il secolo della storiografia e il tema delle compagnie di ventura, uno di quelli al centro dell’interesse di studiosi ed eruditi. Basta fare i nomi di Canestrini, Gazzara, Trease. Così quando nel 1836, a una seduta dell’Accademia delle Scienze di Torino, venne approvato un bando di concorso sul funzionamento e gli ordinamenti militari delle compagnie di ventura, ciò sembrava non soltanto in linea con lo spirito del tempo, ma anche con la politica sabauda di Carlo Alberto, particolarmente attenta all’istruzione pubblica e alla storia, soprattutto per la costruzione delle identità collettive. Nel 1833 aveva istituito la «Regia Deputazione sovra gli studi di Storia patria, il cui scopo principale era quello di pubblicare, come si legge nell’articolo 1, «una Collezione di opere inedite rare, appartenenti alla nostra Istoria». Un interesse per il recupero delle opere antiche e la filologia, anche questo in linea con la cultura del tempo. Nonostante ciò il concorso indetto dall’Accademia delle Scienze di Torino non riscontrò particolare interesse, tanto che si presentò un solo candidato, il giovane ingegnere vogherese Ercole Ricotti, che si era diplomato con una tesi sugli argini dei fiumi. Nei suoi Ricordi, Ercole Ricotti ricorda di aver appreso del concorso, sostando al caffè Calosso di Torino e che ciò abbia costituito «l’accidente determinativo della mia vita, la quale probabilmente avrebbe preso un altro indirizzo, se quel giorno non fossi entrato in quel caffè». Nel gennaio 1838 Ricotti venne proclamato vincitore del bando, durante la cerimonia di premiazione alla presenza del presidente dell’Accademia delle Scienze, il marchese Agostino Lascaris. Fu proprio quest’ultimo, ribadendo la visione albertina a sottolineare che uno dei principali intenti dell’Accademia consisteva nel voler «propagare lo studio delle scienze storiche».

La vittoria del concorso portò Ricotti ad abbandonare gli studi matematici e il posto al genio civile che fino ad allora aveva occupato, ma soprattutto ciò incrinò i rapporti con il barone Plana, maestro e conterraneo di Ricotti. Dal 1837 al 1845 Ricotti iniziò a lavorare come storico a tutti gli effetti, compiendo ricerche presso gli archivi di Torino e Firenze, per ampliare il proprio lavoro sulle Compagnie di Ventura e dargli una veste pubblicabile. L’opera venne pubblicata dall’editore Giuseppe Pomba che credette nell’operazione di Ricotti, che si inseriva in una più generale attenzione dell’Ottocento verso il mondo dei capitani, delle milizie mercenarie e dell’universo tardo cavalleresco. Sullo sfondo si agitavano le polemiche sui sistemi di istruzione, sulla necessità di avere adeguate scuole di formazione per gli insegnanti e il processo di accreditamento scientifico della disciplina storica. Ricotti era convinto che le ricerche, per non essere aride ma soprattutto per risultare veramente utili, dovessero contemplare ampie connessioni, in particolare tra letteratura e politica. Il punto di vista offriva una interessante prospettiva che teneva insieme gli studi diplomatici e la retorica, dimostrando come i due ambiti – storia e letteratura – non si escludessero ma dovessero interagire per raggiungere una conoscenza davvero utile e globale. Per molti versi una posizione in anticipo sui tempi che, muovendo dagli studi della complessa vicenda delle compagnie di ventura, evidenziava quanto il fenomeno non potesse essere letto solo secondo i consolidati schemi della storia militare o i modelli agiografici utilizzati per gli eroi. Il suo impegno venne premiato con una cattedra di storia all’Università, precisamente un corso di lezioni sulla Storia militare d’Italia, tra la caduta del Romano Impero, ed il secolo XVII, da tenersi negli anni 1846-47 e 1847-48 47. La retribuzione annua era di 1500 lire. La visione metodologica di Ricotti venne esposta più chiaramente proprio durante le lezioni. Egli riteneva che qualsiasi disciplina che si ponesse l’obiettivo del progresso umano si basasse sulla storia, a sua volta centrata sulla ricerca, l’analisi e la narrazione «de’ fatti esterni e interni riguardanti la sociale esistenza». La storia era centrata sull’arte e la scienza ed era il riflesso dei tempi e delle società a cui dava le regole. La ricerca della verità doveva orientarla, per questo lo studio non poteva che essere scientifico. La centralità degli studi storici per la costruzione della società era per Ricotti evidente e ribadito. E lo continuò a sottolineare negli anni in cui mantenne la cattedra, fino al 1879. In particolare era per lui centrale la funzione civile della storia e in tale ottica modulò gli insegnamenti di storia medievale e moderna che caratterizzarono i suoi corsi. Come è stato sottolineato da Frédéric Ieva, nell’articolo Ercole Ricotti e l’insegnamento della storia, pubblicato sulla «Rivista di Storia dell’Università di Torino», l’insegnamento della storia di Ricotti è degno di menzione perché in un periodo in cui la docenza universitaria consisteva in delle sorte di conferenze, egli si concentrò anche sull’aspetto metodologico. Nello specifico il suo modo di spiegare consisteva nell’esporre «pochi ma significativi fatti, che venivano in seguito collegati tra loro» e soprattutto poneva a confronto «l’antiche instituzioni colle presenti».

Ricotti considerava la storia base di tutte le scienze sociali, proprio per questo era fondamentale «estenderne lo studio e dirigerlo». Come indicò nella lezione inaugurale dell’anno accademico 1848-1849, «la storia ricerca, narra, ragiona». Per questo erano fondamentali erudizione, arte e filosofia. Rigore morale, chiarezza e verità dovevano essere i principi ordinatori nella selezione dei fatti, nel loro ordinamento e nella chiarezza con cui li si esponeva. L’immagine della storia che ne veniva fuori era quella di una disciplina che doveva risultare chiara e utile alla comunità, basata su ordinati intrecci di cause ed effetti che dovevano spiegare ancor prima di informare. Per molti versi una visione all’avanguardia che sarebbe diventata patrimonio condiviso degli studiosi solo successivamente.

 

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