Storia

E Umberto si giocò il trono

2 Giugno 2023

Poco nota all’opinione pubblica e, perfino, e trascurata dagli storici è una delle cause che determinò la fine della monarchia in Italia a seguito del referendum istituzionale del 2 giugno 1946 e che riguarda la ratifica del Trattato di pace fra l’Italia e le potenze “alleate e associate” vincitrici della seconda guerra mondiale contro il quale si coagulò una forte opposizione nel Paese, un’opposizione che vide, fra gli altri, protagonisti del vecchio mondo liberale del calibro di Benedetto Croce, Vittorio Emanuele Orlando e Francesco Saverio Nitti.

Si tratta di una dichiarazione ufficiale, resa prima del fatidico 2 giugno e nell’infuriare della campagna referendaria, del giovane sovrano Umberto II di Savoja con la quale affermava che, da Capo dello Stato, non avrebbe non avrebbe mai firmato la ratifica del trattato se non fossero state apportate radicali modifiche, tali da renderlo accettabile senza con ciò offendere la dignità della patria italiana.

Questa sorta di doccia fredda, che procurò al giovane sovrano l’ostilità dei vincitori, anche da parte degli inglesi che avevano sempre appoggiato la monarchia, nei suoi confronti, ebbe un effetto boomerang che si scaricò in qualche modo sulla complessa vicenda della gestione del referendum.

Da dove venne fuori questa presa di posizione del sovrano è stata oggetto di molte riflessioni. Qualcuno l’addebita la colpa ad un fatto caratteriale di Umberto, un generoso scatto di orgoglio contro quella che appariva un’ingiusta sanzione per la stessa Italia.

Qualcuno, più realisticamente parla di un “funesto consiglio” ricevuto dal suo staff elettorale venuto fuori per sfruttare e strumentalizzare un tema che poteva sembrare stare a cuore agli italiani. Fatto sta che quella esternazione diede soprattutto ai partiti repubblicani e marxisti una preziosa carta da giocare e che fu felicemente giocata.

Quei partiti, i cui leader più in vista erano Pietro Nenni e Palmiro Togliatti, si affrettarono infatti ad assicurare gli Alleati che avrebbero accettato “qualunque” tipo di Trattato, anche il più odioso, pur di realizzare il sospirato sogno repubblicano.

Per quanto riguarda poi i tanti risentimenti e malumori che continuarono a frapporsi alla firma del Trattato di pace, significativa fu la posizione del governo espressa per bocca del suo ministro degli esteri conte Carlo Sforza il quale paradossalmente ebbe ad affermare che “l’unico modo per seppellire il Trattato di pace era quello di ratificarlo.

E così avvenne il 10 gennaio del 1947 quando il Governo italiano dovette accettare quelle “vergognose” condizioni suscitando, fra l’altro, l’ira dell’ex presidente della vittoria Orlando che in Parlamento, con un discorso particolarmente aggressivo nel quale accusa, ingiustamente, il presidente De Gasperi e il ministro Sforza di “cupidigia e servilismo” a cui lo stesso De Gasperi, contraddicendo la sua storica mitezza e pacatezza, con un’asprezza degna delle accuse che gli erano state rivolte.

Nota curiosa, dopo la risposta di De Gasperi Orlando dichiarò, e negli anni che gli restarono da vivere confermò tale dichiarazione, che per protesta non avrebbe più messo piedi in Parlamento

 

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