Storia
E se Erdogan avesse ragione?
Quella di ieri a Bruxelles non era certo una crociata contro i Turchi anche se i numeri fanno spavento: col Sacro Romano Impero di Angela erano in 28, la Sublime Porta un solo campione, il Gran Visir Ahmet Davutoglu, e chi si è battuto con più determinazione contro di lui sono coloro che ebbero i turchi alle porte di casa qualche secolo fa. Dato che, per quanto la si insegni con distrazione, la storia rimane un presupposto della politica contemporanea diciamo subito che è difficile ragionare dei tedeschi e dei turchi e dell’immigrazione se non ci ricordiamo la storia almeno più recente. Di seguito vado un po’ a memoria ma scusandomi per le imprecisioni e per farla breve, cominciamo col dire che senza immigrazione il piano Marshall in Germania non avrebbe funzionato. Il deficit di manodopera per le aziende manufatturiere e agricole tedesche negli anni ’50 era pesantissimo, risorse finanziarie (americane) c’erano, braccia no. I tedeschi, riconosciuti pianificatori, si mossero subito in due direzioni: prima con l’accoglimento di tutti i “fratelli separati” tedeschi rimasti dell’est non solo DDR che raggiungevano un pezzo della madrepatria libera con la speranza di una esistenza migliore. Poi con l’accordo bilaterale con l’Italia del 1955 (seguito da Spagna, Portogallo, Grecia e qualcosa dai Balcani) che offrì una opportunità al nostro Mezzogiorno, ma non solo, di ritrovare una risposta storica alla disoccupazione e all’Italia tutta di godere delle considerevoli rimesse degli emigranti.
Dopo il 13 Agosto 1961 si pose un problema nuovo: il muro, non solo a Berlino ma lungo tutto il confine della DDR, costrinse ad un ripensamento delle politiche di immigrazione non solo in logica di “braccia” ma anche geopolitica: la Turchia copriva il fianco sud della NATO e andava legata più strettamente alla futura Europa filo atlantica della quale allora i tedeschi erano tra i più grandi sostenitori, ben più dei francesi, dato che il Varco di Fulda senza le forze americane a presidio sarebbe stata una comoda passeggiata per i tank sovietici fino al cuore della Germania.
Bonn (chi se la ricorda?) strinse allora un nuovo bilateral agreement con Ankara, tutto a nostro svantaggio, e iniziò ad aprire le porte a turchi di buona scolarizzazione, quasi esclusivamente maschi e sottoposti sia a regole di controllo molto severe (fai un errore comportamentale e ti rispediamo in Anatolia col primo treno) che di rotazione: non si immaginava una presenza fisse ma periodi di permanenza. La Turchia accettò ben felice per le stesse ragioni per cui negli anni precedenti accettammo noi. Scarsissimi furono gli sforzi per l’integrazione, anzi non era nemmeno richiesta. Questa è la storia della nascita dei Gastarbeiter, traducibile significativamente come “ospiti lavoranti” o qualcosa del genere da chi conosce (differentemente da me) la lingua di Goethe.
I problemi nacquero con la piena occupazione che andò avanti fino verso agli anni ’70 per poi subire una crisi e una evoluzione del mercato del lavoro dove i tedeschi combinarono due nuovi problemi in una unica soluzione: da una parte i problemi, e cioè il fabbisogno di manodopera femminile per lavori nei servizi e nel tessile e questa antipatica cosa delle rimesse agli emigranti che facevano fuoriuscire preziosi marchi a sud est. Dall’altra la soluzione: aprirono le porte ai ricongiungimenti familiari e così i marchi rimanevano in Germania perchè uno da solo vive anche in “branda calda’ ma se fa venire la moglie deve comprarsi casa. Governo turco conseguentemente furibondo per la perdita delle rimesse.
La integrazione a quel punto si fece strada tedeschi non volenti spinta dai numeri prepotenti di stranieri presenti sul suolo ariano dapprima molto lentamente e soprattutto nel Nord della Germania perchè in Baviera non gradivano molto questi “italiani” un po’ più scuri e barbuti degli italiani che già non piacevano.
Oggi ci risiamo: le aziende tedesche che non delocalizzano volentieri, Mercedes in testa (ruppero financo con la Chrisler, ricordiamocelo) hanno bisogno di manodopera e la società civile tedesca, oltre che invecchiata, non fa figli. Angela allora ci riprova coi siriani che sono in larga parte scolarizzati e che cercano un luogo dove sopravvivere alle bombe e lo trovano peraltro in uno dei paesi più ricchi al mondo.
Per poterlo fare, non avendo un interlocutore per un bilateral agreement, Angela deve parlare con il mercante di Ankara che invece di tappeti e spezie oggi commercia in uomini e contrabbando petrolifero. Da qui l’offerta dei famosi tre miliardi di euro: mica pochi se si pensa che il “colossale” piano degli investimenti per il rilancio dell’Europa di Juncker ipotizzava circa 13 mld di euro (a loro modo una miseria). La risposta turca di ieri è molto, molto logica dal loro punto di vista: non vogliamo la mancia per gestire campi profughi ma vogliamo una parte dei dividendi dell’operazione, diciamo 6 mld di euro e una accelerazione del processo di integrazione europeo. In più per ogni siriano che ci riprendiamo accetterete un turco. Possiamo accusare Erdogan di molte cose ma sarebbe ingeneroso farlo nel momento in cui oggettivamente fa gli interessi turchi.
Il problema in effetti è per noi e non si tratta solo di quattrini. la Germania è vittima di se stessa: Kohl ha spinto all’allargamento ad est dell’Europa nella logica della ripresa di centralità politica e di nuova immigrazione dopo la caduta del muro e ci è riuscito al punto che oggi gli immigrati anche russi sono una comunità fortissima soprattutto a Berlino dove gestiscono scuole bilingui russo/tedesche. Ma la Germania viene sconfitta proprio dalla sua apertura alla Russia: dagli americani che in Ucraina aprono il fronte e creano un nuovo confine e dai new comers che di Mosca non vogliono sentire parlare. Ma ancor meno vogliono sentire di turchi e siriani e non avendo alle spalle una cultura politica “liberale”, faticosamente costruita in Europa Occidentale nel dopoguerra, rivendicano il nazionalismo e la “paura del diverso” come elementi fondanti di fragili nazionalità. Di fronte alla domanda di immigrati tedesca gli altri rispondono tirando su muri e filo spinato. Brutta cosa.
I tedeschi ti rispondono: insomma, cosa volte da noi. Qui il sistema ha funzionato, la Germania è un grande paese e voi siete tutti un po’ accattoni: accodatevi, seguite le nostre regole, accettate di fatto la nostra egemonia perchè il successo conta e noi siamo il successo e semmai imparate da noi facendo i compiti a casa.
Sono ciechi a dire così? Sì, ma ditemi se non lo diremmo anche noi. I Turchi a loro volta ti dicono: senza di noi vi arrivano le bombe umane, che fate? Ecco, Hanno tutti e due ragioni e torti ma il problema vero è un altro: è il ripresentarsi il fantasma di quella “paura del diverso” che in Europa, storicamente, fa perdere ai popoli più civili il lume della ragione e ha provocato nella storia i peggiori genocidi.
La Storia, appunto; ragioniamoci bene, poi la questione immigrazione la sistemiamo.
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