Storia

Emma Bonino, Rossana Rossanda, Patty Pravo e le altre “donne nel ‘68”

10 Agosto 2018

La raccolta di articoli/racconti “Donne nel Sessantotto”, il Mulino, è senz’altro di grande interesse per il duplice valore delle sedici biografie narrate (Franca Viola, Elena Gianini Belotti, Amelia Rosselli, Letizia Battaglia, Rossana Rossanda, Patty Pravo, Emma Bonino e le altre) e per il talento delle narratrici: da Chiara Valentini a Lia Levi, Paola Cioni, Dacia Maraini, Linda Laura Sabbadini e le altre di Controparola. Storie e loro protagoniste scelte in nome dell’eresia, del legame tra ‘68, rivoluzione delle donne, femminismo. In piazza sulle barricate, nel comitato centrale del Pci, nell’arte e nella poesia, nel cinema e nella fotografia, nello studio della storia o nella musica, interpretando il Vangelo, guardando ai tupamaros, nei tribunali e nell’educazione dell’infanzia. Eresia. Eresia. Eresia.

Alcune pagine, in particolare, sono state per me una “scoperta” fonte di emozioni e ragionamenti, quelle dedicate a Amelia Rosselli, scritte da Mirella Serri e intitolate “Il linguaggio ribelle dei versi”.

Iniziò, primi anni Sessanta, con P.P. Pasolini, il mostro sacro, che diceva di lei, lodandola, che era una poetessa cosmopolita. Ma Amelia subito ribatteva: «Non sono cosmopolita… aver imparato l’inglese oltre al francese, è dovuto alla guerra… io rifiuto per noi [i Rosselli] quest’appellativo: siamo figli della seconda guerra mondiale… cosmopolita è chi sceglie di esserlo. Noi eravamo dei rifugiati. Non sono apolide. Sono di padre italiano e se sono nata a Parigi è soltanto perché lui era fuggito con Emilio Lussu e Fausto Nitti dal confino a Lipari a cui era stato condannato per aver fatto scappare Turati. Mia madre lo aiutò a fuggire e quindi lo raggiunse a Parigi, mio padre fu poi ucciso con suo fratello… La seconda guerra mondiale scacciò in seguito la mia famiglia (mia madre con me e i miei due fratelli ancora bambini) dalla Francia. Aver imparato l’inglese, quindi, oltre al francese, è dovuto alla guerra, perché allora andammo in Inghilterra e da lì fuggimmo via Canada per gli Stati Uniti».

Una infanzia-adolescenza di peripezie, persecuzioni, discriminazioni riecheggia nei suoi versi. «Nata a Parigi travagliata dall’epopea della nostra generazione / fallace». «Giaciuta in America fra ricchi campi di possidenti / e dello Stato statale. Vissuta in Italia, paese barbaro. Scappata dall’Inghilterra, paese di sofisticati. Speranzosa / nell’Ovest ove niente per ora cresce».

C’è chi dice che poesia sia dolore, strazio, disperazione. Chissà. Amelia di sicuro porterà addosso per la vita quell’istante del 9 giugno 1937 in cui la madre Marion disse ai suoi bambini «Vostro padre è stato assassinato». I sicari di Mussolini avevano compiuto la loro sporca opera. E così le ombre dell’omicidio politico, il terrore delle leggi razziali, la paura della guerra si impossesseranno per sempre della sua intelligenza, della sua anima, del suo cuore.

Anche quando, “scandalosa”, affronta il tema del corpo e del desiderio erotico il suo è una sorta di messaggio a metà tra il politico e l’interiorità più profonda. «Attorno a questo mio corpo / stretto in mille schegge, io / corro vendemmiando, sibilando / come il vento d’estate, che / si nasconde; attorno a questo / vecchio corpo che si nasconde / stendo un velo di paludi sulle / coste dirupate, per scendere / poi, a patti». Un vessillo, una bandiera – desiderio sessuale e erotismo femminile – che divengono lirica.

Poi il confronto con gli studenti che, al contrario di PPP, Amelia cercava, stimolava, praticava nutrendo nella contestazione grandi speranze individuali e collettive. Calano gli anni di piombo, le disillusioni. La storia a braccetto del suo percorso poetico, per altro sempre più apprezzato e osannato…

Ma le ombre dell’omicidio politico, il terrore delle leggi razziali e della guerra sono incistate dentro di lei. Pian piano se la mangiano. Ha l’incuboi che i sicari che hanno ammazzato papà Carlo la cerchino. Teme il terzo conflitto mondiale, la bomba atomica, la Cia, il complotto. Oscure presenze, voci di morti che parlano a lei e solamente a lei. Nessuno può aiutare Amelia. Il viso allucinato e scavato, gli occhi dilatati. Pochi – forse nessuno – si sforzano di comprendere il male oscuro. La malattia psichica vince.

Appassionatamente racconta Mirella Serri: «In una solitaria e maledetta domenica – era l’11 febbraio 1996 – si affacciò a un terrazzino interno dell’edificio di via del Corallo dove abitava a due passi da piazza Navona. Un vicino intuì il gesto che stava per compiere, la raggiunse, la convinse a rientrare in casa. Amelia, docile, un po’ stordita dalle medicine, obbedì. Poi dopo qualche ora accostò una sedia alla finestra della cucina, scavalcò il parapetto e si gettò nel vuoto».

Aveva scritto: «Ma la morte / è la più dolce delle compagnie».

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