Storia

“Di sicuro c’è solo che è morto” (un libro su Salvatore Giuliano)

12 Aprile 2017

Esce in questi giorni in libreria la ristampa de «La vera storia del bandito Giuliano» di Tommaso Besozzi ( 1903- 1964), ed. Milieu.

“Di sicuro c’è solo che è morto” : con queste parole, Tommaso Besozzi, inizia a raccontare ai lettori dell’Europeo la storia della morte del bandito Salvatore Giuliano, avvenuta a Castelvetrano il 5 luglio del 1950.
Il grande giornalista esplicita subito dopo i suoi dubbi:

“Perchè Giuliano non aveva un soldo addosso?
Perché portava una semplice canottiera, lui così ambizioso e, a suo modo, elegante?
Perché non aveva l’orologio al polso, quel grosso cronometro d’oro per il quale aveva una bambinesca affezione e che, lo hanno testimoniato in molti, era l’unica cosa che si togliesse, coricandosi, la prima che cercasse al risveglio?
C’erano poi altri particolari che alimentavano il dubbio e, apparentemente, con maggiore evidenza: alcune ferite, specie quella sotto l’ascella destra, sembravano tumefatte come se risalissero a qualche tempo prima, altre erano a contorni nitidi e apparivano più fresche.
Due o tre pallottole lo avevano raggiunto al fianco e avevano prodotto quei fori grandi a contorni irregolari tipici dei colpi sparati a bruciapelo; altre erano entrate nella carne lasciando un forellino minuscolo perfettamente rotondo.
Il tessuto della canottiera appariva intriso di sangue dal fianco alla metà della schiena, e sotto quella grossa macchia, non c’erano ferite. Era logico pensare che il corpo del bandito anziché bocconi fosse rimasto per qualche tempo in posizione supina, perché tutto quel sangue doveva essere sgorgato dalle ferite sotto l’ascella e certamente era sceso, non poteva essere andato in su”

 

Qualche mese più tardi, nel 1951, Tommaso Besozzi, in un altro numero dell’Europeo dà una risposta alle sue domande. Il tono questa volta è perentorio:

“Salvatore Giuliano è stato ucciso a tradimento, nel sonno; e il suo corpo è stato portato più tardi nel cortile di via Mannone per la messa in scena finale.
Il Capitano Perenze ha sparato su un cadavere”.

Chi è che ha ucciso Giuliano nel sonno?
Secondo alcuni Gaspare Pisciotta, suo cugino, che dormiva quella notte con lui. Ma esiste anche un’altra ipotesi: che a freddare Giuliano sia stato un giovane killer di Cosa Nostra, Luciano Liggio, al quale Pisciotta si sarebbe limitato ad aprire la porta.
Una cosa appare certa, a distanza di anni: il bandito non è stato ucciso nel corso di uno scontro a fuoco con le forze dell’ordine, è vittima di un delitto su commissione, eseguito con la promessa dell’impunità.
Promessa che poi non viene mantenuta, a causa degli scoop dell’Europeo che smascherano la messa in scena dei carabinieri.
Mentre i carabinieri, finiti nell’occhio del ciclone, cercano di proteggere la clandestinità di Pisciotta, la polizia si mette di traverso e il 5 dicembre 1950 arresta Pisciotta.

Al processo sulla strage di Portella della Ginestra, iniziato a Viterbo il 12 giugno di quell’anno, Pisciotta ammette di aver sparato a “Turiddu”.

Lo fa in un documento affidato al suo avvocato, in cui , tra l’altro c’è scritto:

“Avendo io personalmente concordato con il ministro degli Interni Scelba, Giuliano è stato ucciso da me”

Pochi giorno dopo il colonnello dei carabinieri Luca, appena promosso generale, ammette in un’intervista di essersi servito di Pisciotta per catturare Giuliano, ma non specifica che fu proprio lui a uccidere il cugino.
Pisciotta, fuori di sè, chiede la parola dalla gabbia dell’Assise di Viterbo e lo smentisce.
E’ il 16 aprile del 1951.
Davanti ad una folla di giornalisti, fa i nomi dei mandanti della strage e racconta per filo e per segno incontri e trattative fra banditi e uomini delle istituzioni, con tanto di promesse di impunità.

Banditi, mafia e carabinieri eravamo tutti come una cosa sola, come la Santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo”, urla.

E aggiunge:Io ho liquidato Giuliano senza alcun vantaggio materiale. Chiedo che Luca venga a deporre: voglio vedere se riuscirà a dimostrare di avermi dato una sola lira dei 50 milioni della taglia.Sono un bandito, signori, ma un bandito onesto!”

Condannato all’ergastolo con altri 11 per la strage di Portella Della Ginestra – la sentenza di primo grado è del maggio 1952- Pisciotta chiede, nel febbraio del 1954, di parlare con un magistrato.

L’allora sostituto procuratore Pietro Scaglione va a trovarlo in carcere. Pisciotta gli comunica la sua decisione di smascherare una volta per tutte i mandanti della strage.
Il magistrato gli dà un appuntamento al giorno successivo, quando tornerà con un cancelliere per verbalizzare il tutto.
La mattina dopo Pisciotta muore nella sua cella all’Ucciardone per una dose di stricnina versatagli da qualcuno nel caffè o, molto più probabilmente, nella medicina che è solito prendere per la tubercolosi.

 

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