Storia

Da Virgilio al cranio di Marnau: quando il riposo non è eterno

15 Luglio 2015

Il cranio del regista Friedrich Wilhelm Murnau (1888-1931 – nella foto), una delle figure chiave nella storia del cinema, regista nel 1921 di  “Nosferatu” è stato trafugato dalla sua tomba, da un cimitero  alla periferia di Berlino.
Il furto sarebbe avvenuto tra il 4 e il 12 luglio. La polizia, secondo quanto riporta il Bild, non esclude che gli autori siano legati a sette esoteriche.

Il furto del cranio del regista si inserisce in una lunga lista di personaggi famosi non lasciati in pace dopo la loro dipartita, che ha accomunato Cartesio a Mike Bongiorno, Virgilio e Leopardi a Juan Domingo Peron, Charlie Chaplin a Enrico Cuccia.

Tutti sono stati protagonisti di oscure – mai come in questo caso l’aggettivo è pertinente – trame, anche – se non soprattutto – da morti. Rapiti, mutilati, sepolti dove qualcuno sostiene non lo siano, per loro il requiescat in pace (Rip) sembra non valere, visto che dopo il loro trapasso, pace non hanno trovato o ancora non trovano.

Partiamo da Virgilio (70 aC- 19 aC). Per tutti, le ceneri del poeta mantovano sono a Napoli in quella che è la tomba a lui dedicata. In realtà nel Parco di Virgilio a Piedigrotta il colombario di età romana nel quale un tempo giacevano le ossa del grande poeta è vuoto. In “Storia del Regno di Napoli dall’origine de’ suoi primi popoli sino al presente” di Massimo Nugnes (Napoli 1838, oggi conservato nella Harvard College Library) si legge: “… questo celebre poeta… morendo in Brindisi, volle che il suo corpo sepolto fosse nella Villa Patuleio che la medesima si era che ei possedea nella posilipana collina. Vedevasene il Sarcofago sino all’anno 1326…”. La scomparsa dei resti del poeta viene datata da altri nel XII secolo, quando un mai identificato medico inglese chiese al re Ruggero il Normanno (1905-1154) il permesso di aprire il sepolcro del vate mantovano. Il re, che mal tollerava il culto dei suoi sudditi per Virgilio (che fu non solo poeta, ma anche oratore, mago e taumaturgo) acconsentì alla richiesta del medico, che prelevò lo scrigno di rame sotto il capo di Virgilio, dove erano custoditi i libri contenenti formule magiche. I napoletani insorsero contro quello che considerarono un orribile sacrilegio, che avrebbe potuto portare sventure alla città. Raccolsero allora le ossa in un sacco e le trasferirono a Castello dell’Ovo (per la leggenda proprio qui il poeta lasciò un uovo nascosto in una gabbia, a reggere le fondamenta). Tempo dopo il re diede ordine di murare per sempre quelle ossa per impedire ai cittadini di continuare nel culto virgiliano. Nugnes, nella già citata opera, colloca e data diversamente la traslazione delle ceneri: “Regnando in Napoli gli Angioini, Roberto (1309-1342) ne tolse l’urna cinerea e in Castelnuovo (il Maschio Angioino, ndr) la trasportò, ove sino al presente non si è più rinvenuta”. Mai ritrovate quindi fino a metà Ottocento, la questione di dove siano finite le ceneri di Virgilio continuerà a far discutere anche per tutto il XX secolo, con studiosi che collocheranno la tomba del poeta in diverse zone del capoluogo partenopeo. Tanto che nel 1984 la soprintendente Giuliana Tocco decise di chiudere d’imperio la questione con un risolutivo “Per noi vale la tomba rispettata dalla tradizione” (Luigi Necco, Il Messaggero, 21 febbraio 1984).

Oltre due secoli di mistero hanno accompagnato anche la vicenda del cranio di Cartesio, quasi in una beffarda vendetta postuma del destino per il filosofo a cui si ascrive il dualismo corpo-mente.
René Descartes (1596-1650) morì in Svezia, ufficialmente di polmonite, più verosimilmente avvelenato dalla vendetta di una corte protestante che mal sopportava il fatto che la regina Cristina pendesse dalle labbra di un filosofo cattolico. La prima diatriba per i resti di Cartesio avvenne subito dopo la sua morte: i riformati svedesi volevano seppellirlo in un cimitero protestante. L’ambasciatore francese Pierre Chanut lo fece seppellire, invece, nel cimitero dei bimbi morti prima del battesimo (religiosamente terra di nessuno). I resti furono riesumati nel 1666 per essere traslati in patria, a Parigi. Qui, nella chiesa di Sainte-Geneviève-du-Mont, le spoglie trovarono una seconda tumulazione. Il 26 febbraio 1819, però, presenti i luminari dell’Accademia delle scienze, la salma venne riesumata ancora una volta per essere trasportata a Saint-Germain des Près. All’apertura della bara si scoprì che mancava il cranio, che ricomparirà in un’asta pubblica in Svezia. L’autenticità del cranio era incisa sullo stesso: “Cranio di Cartesio, prelevato e conservato con cura estrema da Israel Hanstrom nell’autunno 1666 in occasione della esumazione per il trasferimento della salma, e nascosto in Svezia”. Oggi, il teschio, arrivato in Francia nel 1882, è conservato al Museo dell’Uomo di Parigi. La vicenda è stata ricostruita recentemente da Russell Shorto nel saggio “Le ossa di Cartesio. Una storia della modernità” (Longanesi).

Vicenda meno nota è quella della scomparsa del cranio di Giacomo Leopardi. Il poeta di Recanati morì il 14 giugno 1837, a solo 38 anni. In quel periodo, nel giro di un anno, nella capitale del Regno delle Due Sicilie finirono in fosse comuni i corpi di circa ventimila napoletani, falcidiati dal colera. Antonio Ranieri, amico del poeta, non voleva che il corpo di Leopardi finisse tra quelli dei colerici. Desiderava, invece, che trovasse degna sepoltura nella chiesa di San Vitale a Fuorigrotta. Secondo la ricostruzione tramandataci dallo stesso Ranieri, sul torace di Leopardi venne praticata un’incisione per dimostrare non era morto di colera (nel qual caso la chiesa non avrebbe potuto accoglierlo). Fu così che la salma venne così accettata dal parroco di san Vitale e, sette anni dopo (1844), spostata nel vestibolo della stessa. Nel 1897 la tomba di Leopardi venne dichiarata monumento nazionale. Il mistero si palesò tre anni più tardi. Il 21 luglio del 1900, in occasione della riesumazione, si scoprì che la cassa contenente la salma del poeta era rotta, i resti conservati alla rinfusa, e nel sarcofago c’era un pezzo di legno che non apparteneva alla bara. Ma soprattutto si scoprì che mancava il cranio. Cos’era accaduto? Esistono due tesi contrapposte: o la ricostruzione di Antonio Ranieri è falsa, e quindi il corpo di Leopardi si trova nel cimitero dei colerosi al Monumentale di Napoli, come attesta la denuncia di morte all’Ufficio di Stato civile (sezione Stella. Atto n. 568. 15 giugno 1838, ore 5 e mezza) che riporta la dicitura “Giacomo Leopardi morto il 14 giugno 1837, sepolto nel cimitero dei colerosi. Ha ricevuto i sacramenti”. Oppure, molto più banalmente, la scomparsa della testa del poeta è attribuibile a un ignaro e maldestro muratore che durante i lavori di restauro eseguiti nel 1898 alla chiesa di San Vitale, ruppe involontariamente la cassa col corpo del poeta e riparò al danno alla meno peggio, mettendo insieme nella cassa ossa del poeta e calcinacci; quindi coprì la parte rotta della bara col primo pezzo di legno che trovò a portata di mano. E il cranio? Di quel pezzo del corpo dell’autore dell’Infinito non si avrà mai più traccia.

Ma il ventesimo secolo, che si apre con l’enigma del mancato ritrovamento della testa di Leopardi, sarà costellato di altri numerosi cadaveri eccellenti senza pace.
A cominciare da quello del presidente argentino Juan Domingo Peron, deceduto nel 1974, poi imbalsamato, e custodito in un mausoleo a Buenos Aires, le cui mani verranno asportate da ignoti nel 1987 con una perfetta operazione chirurgica. Un giudice, Jaime Far Suau, aprì un’inchiesta, ma morì l’anno dopo in uno strano incidente automobilistico. Il suo cadavere fu ritrovato nell’auto bruciata, nonostante il serbatoio fosse intatto e la benzina non avesse preso fuoco. Anche due poliziotti che indagavano sulla strana sparizione morirono in circostanze misteriose. Stessa sorte toccò anche al custode del mausoleo di Peron, a una donna che vi si recava ogni giorno a pregare e alla figlia di questa, morta nello stesso giorno in cui aveva chiamato la polizia per avvertirla che la morte della madre era legata al furto delle mani. Secondo alcuni, il furto avvenne perché Peron aveva nascosto un ingente tesoro in una cassaforte speciale che poteva essere aperta solo dalle sue mani. Per le quali fu comunque richiesto un riscatto di otto milioni di dollari. Il caso, archiviato nel 1991 dal giudice Carlos Allende, fu riaperto dal giudice Alberto Banos, nel 1994. Mistero nel mistero, l’11 luglio 2008 Banos denunciò che il fascicolo dell’inchiesta era stato sottratto, a casa sua.

Un altro caso clamoroso di trafugamento di salma con richiesta di riscatto rimane quello della bara contenente le spoglie di Charlie Chaplin, avvenuto il 2 marzo 1978 nel cimitero di Corsier sur Vevey, in Svizzera. Autori due rifugiati politici, un polacco e un bulgaro, che chiesero 600.000 dollari per la restituzione. La bara venne poi ritrovata il 17 maggio successivo vicino al villaggio di Neuville, in Francia.

Il 17 marzo del 2001 a Meina, località affacciata sul Verbano, furono invece trafugati i resti del banchiere Enrico Cuccia. Dopo una prima lettera in cui i rapitori non chiedevano denaro, assicurando che avrebbero restituito la salma quando l’indice Mib in Borsa avesse raggiunto una determinata quota, venne chiesto un riscatto di sette miliardi e mezzo di lire. Ma il 31 marzo successivo la bara di Cuccia venne ritrovata dalla polizia in una baita sopra Condove (in Val di Susa) e gli autori del furto arrestati e condannati.

Infine, il caso della salma diMike Bongiorno, trafugata la notte del 24 gennaio 2011 dal cimitero di Dagnente, una piccola località nei pressi di Arona (Novara). La bara del celebre conduttore, morto per infarto l’8 settembre 2009, fu cercata nei posti più impensabili, con appelli dei familiari anche al Capo dello Stato. Fu rintracciata undici mesi dopo nelle campagne di Vittuone, in provincia di Milano, da un passante che notò la targa sulla quale erano incisi il nome e le date di nascita e morte del presentatore.

@antoniomurzio

(*l’articolo riporta ampi stralci di uno studio pubblicato dall’autore sul mensile  BBC History Italia nel 2013)

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