Partiti e politici

Da dove ripartiamo? Dalla sinistra o dalla sinistra socialista?

6 Dicembre 2016

Rilanciare la “questione socialista”. Nè nostalgie nè preconcetti 

La sinistra italiana deve ridefinire obiettivi, scelte politiche, equilibri interni, identità. La loro mancata definizione  ha impedito che si incidesse anche nel  palcoscenico internazionale,  europeo e non. Sarebbe, tuttavia, sbagliato pensare che scelte di ristrutturazione di partiti della sinistra siano tali da comportare, per sé, una sorta di cancellazione della “questione socialista”, che certo fa parte della storia politica italiana, ma che non per questo si può pensare di archiviare e che, anzi, mantiene una sua attualità in rapporto alle prospettive di profonda trasformazione della società contemporanea. Né si deve ritenere che si tratti di questione da risolvere tutta all’interno del PD ma sono in gioco gli sviluppi futuri della sinistra italiana nel suo complesso. Il concetto di sinistra deve coniugarsi per esistere con il sostantivo socialismo umanitario.

Ogni tentativo di collocare il socialismo in altri versanti o di creare una sinistra asocialista è clamorosamente fallito.

Il passato alle spalle

La vitalità della sinistra, di matrice e ispirazione socialista, si misura dalla sua capacità di progettare il futuro, partendo dai bisogni del presente piuttosto che dall’incapacità di regolare i conti del passato. Nella fase storica apertasi dopo il 1989, sono da ricercare le ragioni di una ricomposizione unitaria delle correnti politiche che a quella matrice fanno riferimento, lasciando alle nostre spalle e agli approfondimenti dell’indagine storiografica le divisioni, anche drammatiche, prodottesi nel corso del ‘900.

Intendiamo essere parte di una sinistra non solo europea ma internazionale dichiaratamente socialista, espressione del mondo del lavoro, capace di interpretare, in termini di trasformazione sociale e di liberazione del lavoro umano, le sfide della globalizzazione, rifiutando ogni riferimento ad un generico e velleitario radicalismo antagonista. Nel confronto che intendiamo aprire non c’è spazio per nostalgie. Se proprio dobbiamo guardare al passato, si tratta di riesaminare in una prospettiva storica i rapporti tra comunisti e socialisti e dei socialisti tra loro nel secolo scorso: dalla rottura livornese del 1921 all’impegno nella lotta antifascista, dal Fronte popolare alla rottura di Palazzo Barberini, dalla Rivoluzione Ungherese alla Primavera di Praga, dal primo centro-sinistra al compromesso storico, dalla concezione etica della militanza politica e dell’impegno nelle istituzioni alla mancata soluzione del problema dei costi della politica e del malcostume corruttivo. Tra una improbabile catarsi purificatrice e la rimozione sistematica di nodi critici e contraddizioni, noi scegliamo di occupare lo spazio in cui si pratica l’esercizio dialettico della memoria, proprio perché rifiutiamo di rivolgere il nostro sguardo perennemente al passato e miriamo alla costruzione di un futuro sulla base di ciò che ci unisce. Ciò implica la necessaria elisione di termini “comunista” e “socialista” per importare il termine sostantivante di “ sinistra sociale”.

Il futuro

Un “socialismo umanitario” rinnovato nella sua visione del mondo, nei suoi obiettivi generali, nella sua stessa concezione della democrazia, non può limitare il proprio orizzonte ad una prassi politica politicienne, che tutto riduce ad un’ansia di partecipazione ai vari livelli istituzionali di governo, ma deve saper interpretare e rappresentare la voglia di cambiamento che emerge da parti sempre più estese della società, a fronte del fallimento delle politiche liberiste, neoliberiste e conservatrici nonché dell’ideologia totalizzante del mercato, che tutto mercifica, dalla salute alla cultura, ai sentimenti, alle stesse relazioni interpersonali.

Ambiente e Energia

La prassi dominante, ispirata dal pensiero omologato dagli interessi finanziari, spesso meramente speculativi, produttivi delle multinazionali, militari e di potenza non ha risolto uno solo dei grandi problemi dell’umanità: sottosviluppo, miseria, fame, analfabetismo nonchè le epidemie letali per enormi masse umane; le crescenti minacce all’integrità dell’ambiente e alle risorse, energetiche e non, del nostro pianeta. Si assiste ad un progressivo dominio di pochi sui tanti popoli del terzo e quarto mondo: il 22% della popolazione mondiale esercita il suo potere sul restante 78%, per quanto attiene la disponibilità delle fonti energetiche e lo sfruttamento della stesse  risorse idriche e alimentari.

Questi problemi non sono lontani dal nostro quotidiano: i drammatici cambiamenti climatici e l’epocale fenomeno delle migrazioni di massa toccano ciascuno di noi e mai, come in questo periodo, cresce una paura del futuro, che se non sarà contrastata e guidata razionalmente, verrà strumentalizzata dalla demagogia e da fanatismi di ogni tipo e di qualsivoglia ispirazione ideologica, religiosa, etnica o localista che sia.

L’attuale ordine mondiale non garantisce il bene primario della pace, mortifica l’affermarsi dei diritti fondamentali dell’umanità, che dovrebbe comportare l’eliminazione del lavoro servile, in particolare dei minori, eguali opportunità e diritti di cittadinanza per donne e uomini, la messa al bando della pena di morte e di ogni discriminazione dovuta a differenze etniche, religiose o di orientamento sessuale.

Più Stato nello Stato

Solo quando questi problemi risulteranno chiari in tutta la loro drammaticità e occuperanno la priorità che loro spetta nell’agenda politica, solo allora si potrà ragionare in termini di compatibilità di bilancio o di rispetto di parametri e vincoli esterni come quelli di Maastricht, di cui respingiamo la rigidità e la logica puramente monetaria. Dobbiamo dare risposte concrete alle grandi sfide epocali attraverso interventi che privilegino la crescita dell’economia reale e produttiva, in cui la qualità del lavoro, la ricerca e lo sviluppo tecnologico svolgano un ruolo prioritario rispetto agli interessi puramente finanziari. Un ruolo importante spetta, altresì all’intervento pubblico in economia, troppo spesso superficialmente ed aprioristicamente demonizzato, alla funzione di coordinamento e controllo delle autorità pubbliche ed alla partecipazione cittadina. Lo esigono i nostri valori e il senso che attribuiamo al nostro agire politico.

Giù le mani dalla Costituzione

Intendiamo occuparci precipuamente dell’oggi e del futuro, ben sapendo che, nella realtà sociale e politica del nostro Paese, l’avversario da battere è costituito principalmente dalla diffusa presenza di tendenze ultraliberiste in economia e populiste in politica, che hanno trovato nel “fenomeno Berlusconi” e successivamente nell’esperimento Renzi le chiavi di volta di un progetto di governo, di cui abbiamo ampiamente sperimentato gli effetti nefasti. Di quel progetto, ha fatto e tuttora fa parte integrante la volontà di rimettere in discussione la Costituzione repubblicana, nei suoi stessi principi ispiratori. Quella Costituzione, nata dalla Resistenza antifascista, resta per noi un riferimento fondamentale e motivo di ispirazione della nostra iniziativa politica. Con particolare riferimento agli articoli 1, 3, 11 e 21 della Costituzione repubblicana, indichiamo come prioritari per la nostra iniziativa politica i temi del lavoro, della piena occupazione e delle pari opportunità d’accesso sia all’istruzione sia al lavoro, da garantire specialmente ai più giovani, nonché la libertà d’espressione.

Più in generale, vanno estesi e garantiti i diritti di cittadinanza per tutte e per tutti. Il diritto all’istruzione e quello alla salute devono essere riportati alla dignità costituzionale di diritti inalienabili, pienamente garantiti dallo Stato. Analogamente va rivendicato allo Stato un ruolo primario nell’organizzazione e nella regolazione di servizi essenziali, che incidono direttamente sulla qualità della vita dei cittadini, cogliendo e realizzando tutte le potenzialità offerte dall’art.32 della Costituzione.

Dalla piena applicazione del dettato costituzionale dovrà nascere una forte e diffusa ripresa della partecipazione democratica, che veda protagonista il cittadino in quanto “persona unica, irripetibile e titolare di diritti”, a partire da quello legato all’espressione del proprio voto, che deve vedere riaffermato il principio inderogabile dell’eguaglianza (“una testa un voto”) e dunque l’attuazione di un sistema elettorale sostanzialmente proporzionale, con gli opportuni correttivi tecnici.

In riferimento all’art.11 della Costituzione, occorre dar vita ad un nuovo internazionalismo pacifista, che ci veda impegnati attivamente nel recupero delle risorse umane del terzo e quarto mondo (attualmente 214 milioni di bambini non raggiungono i 5 anni d’età, per mortalità infantile), puntando al superamento dell’attuale europeismo e del suo economicismo esasperato, perché si dia vita ad un’Europa capace di darsi finalmente un’anima politica.

Sempre la Costituzione ci guida nella separazione netta tra Stato e Chiesa, in una rigorosa concezione della laicità delle Istituzioni che non ammette interferenze delle gerarchie ecclesiastiche nelle scelte del Legislatore.

Va ripensato in profondità, per riportarlo all’originario spirito della Costituzione, il ruolo dei partiti politici al pari di quello degli eletti nei diversi livelli istituzionali.

Va riportata la politica alla sua dignità di servizio alla collettività, liberandola da ogni personalismo, carrierismo, aspirazione fine a se stessa a gestire poteri politici o amministrativi.

Va collocato, in questo quadro e in un ritrovato costume di rigore e di sobrietà, il tema dei costi e dei finanziamenti della politica.

In Italia, anche negli anni del più duro confronto a sinistra, c’è sempre stato un tessuto unitario nei sindacati, nel movimento cooperativo, nell’associazionismo culturale, sportivo e ricreativo, per non parlare dei governi municipali, provinciali e regionali. Questo è il passato che più ci piace guardare, ricavando da esso il filo rosso della nostra storia utile a tessere e a disegnare il futuro: questo è il compito che assumiamo, nella consapevole certezza che resta del tutto attuale la missione del socialismo umanitario, come idea e prassi politica per una società più libera, più democratica, più solidale, più giusta.

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