Calcio

D1eg0 l’icona

26 Novembre 2020

Diego Armando Maradona se n’è andato. Ne sta parlando chiunque: non si può accendere un telegiornale, consultare un sito internet o leggere una testata stampata senza imbattersi in questa mesta notizia. Tutti ricordano il Diego calciatore, uno dei migliori al mondo se non il migliore in assoluto, qualcun altro ricorda le tante difficoltà incontrate dal Diego uomo. Tutti giudicano il Maradona calciatore, qualcun altro, non si capisce bene in base a quale metro o con quale diritto, giudica anche il Maradona uomo. Distintamente ma non troppo, da questi due aspetti ce n’è anche un terzo che riguarda la figura del numero 10 tra i numeri 10, un elemento della sua persona che non è morto il 25 novembre: quello del Diego Maradona come icona culturale.

Chi era Diego Maradona

Non mi metto qui a snocciolare statistica o fare una classifica dei suoi gol più belli o pesanti, è una cosa che ha francamente poco senso perché è sempre poco assennato giudicare la vita di un uomo secondo numeri o episodi. Specialmente nel caso di un personaggio di questo spessore. Preferisco farlo secondo le voci di chi l’ha conosciuto.

“Quando Diego arrivò all’Argentinos Juniors per il provino, rimasi davvero colpito dal suo talento. Non riuscivo a credere che avesse solo 8 anni. Eravamo sicuri che l’avremmo preso perché giocava già come un adulto. Quando capimmo che non era un bluff, decidemmo di dedicarci esclusivamente a lui.” Questo affermò Francisco Conejo, l’allenatore delle giovanili della prima squadra ove militò Maradona, l’Argentinos Juniors, l’uomo che scoprì Maradona. “Parliamo del migliore con cui abbia mai giocato. In senso assoluto.” Ha detto Mario Kempes, mentre per Franco Baresi: “Era il più grande di tutti perché faceva con le arance quello che a noi calciatori sembra impossibile fare con il pallone.

“Quando Maradona correva palla al piede o dribblava i difensori sembrava avere la palla incollata al piede.  Nei nostri primi allenamenti con lui eravamo tutti così stupiti che rimanevamo a guardarlo. Eravamo dei privilegiati a poter testimoniare giornalmente il suo genio.” Queste sono le parole con cui lo descrive Lobo Carrasco, che fu compagno di Maradona al Barcellona. “Oltre ad essere stato il più grande tra i calciatori era anche il più onesto. In campo era un modello di buon comportamento. Rispettava tutti, dai top player ai calciatori più comuni. Era continuamente tartassato di falli ma non se ne lamentava mai, non come alcuni attaccanti di oggi.” Ricorda Paolo Maldini. “Con Maradona in squadra, anche l’Arsenal avrebbe vinto la Coppa del Mondo.” O almeno così crede sir Bobby Robson.

Per Del Piero: “Uno dei grandi privilegi di chi fa questo mestiere è dare felicità alla gente e lui rappresenta sicuramente questo concetto meglio di tutti.” Secondo Totti invece: “È il calcio stesso, è il pallone, è come se ci fosse la sua faccia sul pallone che gira. Quello che ha fatto lui con la palla non lo ha mai fatto nessuno e nessuno lo farà mai. Tutto quello che c’era da fare, l’ha fatto.”

Probabilmente, il miglior ritratto di Maradona è quello di Gustavo Bernstein, psicologo e scrittore argentino non troppo conosciuto da questa parte dell’Atlantico: “Maradona è il nostro massimo punto di riferimento. Nessuno incarna la nostra essenza meglio di lui. Nessuno porta il nostro emblema in maniera più nobile. A nessun altro abbiamo offerto tanta passione. L’Argentina è Maradona e Maradona è l’Argentina.”

Foto: ilgallo.it

Ci sono moltissimi grandi calciatori e numerosi sportivi finiscono per diventare modelli da seguire, apprezzati e rispettati. Poi c’è Maradona.

Tra passione e ossessione

Il segno lasciato nella storia dello sport e del Novecento dal pibe de oro è destinato a restare in eterno, in fin dei conti le leggende non muoiono mai. Maradona aveva compiuto 60 anni il 30 ottobre e neanche un mese dopo ci ha lasciato, spegnendosi nella sua casa di Buenos Aires in seguito ad alcune complicazioni dovute ad un arresto cardio-respiratorio. Tutti sappiamo della vita di eccessi che condusse, durante e dopo la sua carriera, dunque non stupisce che il suo cuore generoso si sia fermato, abbia smesso di battere. Ciò non allevia in alcun modo la tristezza del momento, naturalmente.

Il debutto nel calcio professionistico avvenne a 16 anni, nella sfida tra Argentinos Juniors e Talleres, il 20 ottobre del 1976. Giusto il tempo di toccare il primo pallone ed ecco arrivare il primo dribbling, un tunnel ai danni di Juan Domingo Patricio Cabrera, passato alla storia come il primo calciatore ad essere superato da Maradona. Non mi è dato sapere quanto sia contento di ciò ma tant’è, gli è stato comunque riservato un posto d’onore in questa epopea. In seguito se ne sarebbero aggiunti molti altri.

Dopo il passaggio al Boca Juniors e il trasferimento across the pond, da questo lato dell’Oceano, con la sfortunata parentesi in Catalogna, in quel Barcellona dove mai si trovò a suo agio, la consacrazione definitiva lo raggiunse in Italia, al Napoli, dove ha scritto le migliori pagine della sua carriera calcistica. I due scudetti vinti con la compagine campana e gli interminabili highlights messi a segno con la maglia del Napoli sono indimenticabili non solo per i partenopei, bensì per ogni appassionato di calcio – e forse anche di sport in generale – in Italia. La scintilla che accompagnava Maradona aveva il vizio di dar vita a roghi inarrestabili; spesso e volentieri la passione per Maradona ha passato il limite e trasformandosi in ossessione.

Foto: ilgiornalelocale.it

A Rosario, in Argentina, è stata eretta la Iglesia Maradoniana, un’affiliazione para-religiosa che celebra il calciatore quasi come se fosse una divinità. All’interno della leggendaria Bombonera, il tempio del Boca, presso il Museo de la Pasion Boquense, a Diego spetta un monumento riconducibile a quello dei condottieri militari – oltre alle innumerevoli caricature e statue che lo ritraggono lungo le vie del colorato barrio di Buenos Aires. A Maradona sono state dedicate centinaia di opere: canzoni, film, documentari, fumetti, graphic novel e libri. Uno di questi, la sua autobiografia ufficiale intitolata Yo soy el Diego, è uscita nel 2000 ed è un bestseller mondiale. Maradona è ben più di un chiacchierato sportivo, è una icona visiva contemporanea di primissimo piano. In giro per il mondo troviamo milioni di disegni, murales, magliette e bandiere con la sua faccia stampata sopra; oltre ogni tifoseria, ogni oltre fazione, ogni oltre affiliazione sportiva, Maradona è un mito per chiunque.

Maradona nella cultura di massa

Diego Armando Maradona è un ragazzo che vive in un quartiere povero di Lanùs, un centro di 212mila anime a sud della capitale argentina, interno all’area metropolitana della grande Buenos Aires, quando gli chiedono che cosa vorrebbe fare da grande. La sua risposta è “ho due sogni: il primo è giocare un mondiale e il secondo è vincerlo.” Quel bimbo che dal fango di Lanùs arriverà a conquistare la cancha de Boca, lo stadio più importante di tutta l’Argentina – che, ricordiamolo, è un paese immenso – e poi giungerà in Europa, a riscattare Napoli e tutti i napoletani – e non solo – è entrato di diritto nella cultura di massa e lo ha fatto proprio perché ha simboleggiato, appunto, il riscatto, personale e di una intera generazione.

Pensiamo soltanto all’impatto che ha avuto in Italia, nel Napoli. Prima di lui, una squadra del Sud non aveva mai vinto lo scudetto italiano, tantomeno la Coppa Uefa (oggi Europa League). Soprattutto, una squadra del Sud non era mai stata l’ombelico del mondo del calcio mondiale, come divenne con il numero 10. Maradona è stato un simbolo – lo è ancora, probabilmente – a Napoli perché non ha mai tradito né ingannato la fede sportiva partenopea. Ha rifiutato la Juventus, segnando contro di essa la punizione impossibile, in una giocata che ancora è capace di galvanizzare l’intero pianeta azzurro. Lo stesso colore delle strisce sulla maglia della nazionale argentina in cui giocò e che successivamente allenò. Quella stessa selezione che portò al trionfo nel Mondiale messicano dell’86 e al secondo posto di Italia ’90, in quel Mondiale vinto tra qualche ombra – come ad esempio il rigore concesso in finale – dalla Germania Ovest, la quale dopo tre mesi si sarebbe finalmente riunificata con la parte orientale, tornando a chiamarsi soltanto Germania. Entrambi quei mondiali Diego li giocò praticamente da solo e, probabilmente, sarebbe stato assoluto protagonista anche a USA ’94 se solo il doping e la droga non lo avessero risucchiato in un vortice dal quale forse non è più riuscito ad uscire.

Maradona riuniva in un unico corpo il meglio e il peggio che uno sportivo potesse essere; da un lato un giocatore sublime, capace di lasciare tutti a bocca aperta nonostante il suo fisico fosse molto distante da quello di un atleta, dall’altro un uomo insicuro, forse persino debole, dannato e tormentato dalla cocaina, quella che i camorristi gli facevano sempre trovare sul tavolo, magari assieme a qualche escort. Maradona è stato il calcio ma è anche stato in grado di trascenderlo. Una persona come lui, indisciplinata ovunque era invece disciplinatissima sul campo da gioco, una cornice sulla quale si trasformava e migliorava anche umanamente. Con quell’eleganza inconfondibile che gli permetteva di correre a testa alta, mantenendo il pallone incollato al piede, Maradona era inarrestabile, tifato da molti indipendentemente dalle proprie convinzioni calcistiche. Lui si nutriva di quell’ammirazione, come dimostrò a Roma, nella finale di Italia  ’90, quando alcuni tifosi – più di nome che di fatto, evidentemente – italiani fischiarono l’inno argentino. Maradona, a favore di camera, li apostrofò come hijos de puta.

Come i maledetti del cinema, della letteratura e della musica; come gli eroi dei poemi epici; come le divinità sul Monte Olimpo; come anche la stessa natura umana, Maradona è stato vizio e virtù, eroe e criminale, profonda ombra e vivissima luce. La vita di Diego è stata un ossimoro poiché lo stesso Diego era un ossimoro.

Foto: palermofc.com

In quell’Inghilterra – Argentina a Città del Messico, nell’86, il mondo intero si innamorò di Maradona, lo fecero anche, di nuovo e come se fosse la prima volta, tutti coloro i quali già lo amavano, a partire dagli argentini e dal cronista della gara, Vìctor Hugo Morales, in quel caldo pomeriggio del 22 giugno. “Ecco, ce l’ha Maradona. Lo marcano in due, tocca la palla Maradona, avanza sulla destra il genio del calcio mondiale. Può toccarla per Burruchaga, sempre Maradona…genio, genio, genio…c’è,c’è,c’è…goooooool, voglio piangere…Dio Santo, viva il calcio,golazo…Diegol, Maradona, scusatemi, c’è da piangere…Maradona in una corsa memorabile, la giocata migliore di tutti i tempi, da che pianeta sei venuto per lasciare lungo la strada così tanti inglesi?Perché il Paese sia un pugno chiuso che esulta per l’Argentina…Argentina 2 Inghilterra 0…Diegol, Diegol, Diego Armando Maradona…grazie Dio per il calcio, per Maradona e per queste lacrime.” Morales non riesce neppure a nominare gli inglesi che provano ad ostacolare il numero 10, perché lui gli salta troppo velocemente; ognuna di quelle maglie è una metafora degli ostacoli che il pibe ha incontrato sulla sua strada: ostici, minacciosi, aggressivi, ma comunque non in grado di togliergli quel pallone.

Il 25 novembre Diego ha varcato la linea di porta della vita, lasciandoci un grande vuoto ma anche la fortuna di aver potuto assistere alle sue gesta.

 

 

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