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Con ghiaccio o senza? Il canto della Sibilla

11 Ottobre 2019

Cosa ci spinge a scegliere un’interpretazione della realtà piuttosto che un’altra? Cosa ci piace sentirci dire per rassicurarci piuttosto che cercare di capire cosa accade per davvero ma che potrebbe in qualche modo dispiacerci? Infine: cosa significa veramente accettare, senza se e senza ma, un movimento, una dottrina politica o religiosa, una teoria?

Alla base di tutto c’è la voracità di sicurezze che l’essere umano ha sempre manifestato, dai primordi. Almeno dai primordi documentabili con ritrovamenti archeologici, da cui si sono desunte interpretazioni di come potessero vivere gli antenati, in cosa potessero credere, quale fosse il loro grado di discernimento della realtà, attraverso gli oggetti, le espressioni artistiche, i culti funerari.

Proprio la morte è il cardine di tutto, assai più che la nascita. La domanda “e dopo che cosa c’è?”, l’ignoto, con tutte le paure e le angosce che si porta dietro, ha spinto l’uomo a inventare il tempo cioè la proiezione di una dimensione che non esiste se non come la percepiamo sulla Terra, ossia la trasformazione della materia attraverso singoli attimi. Il prima e il dopo, assai più che il durante attanagliano la mente umana e le fanno elucubrare dimensioni inesistenti con personaggi immaginari che tessono e tagliano il filo della vita, come le Parche o le Norne, o che creano la materia dal nulla – cosa impossibile per la legge di Lavoisier – e ci soffiano dentro per dare il moto a ciò che è inerte, per svago, forse, chissà. La paura del nulla, da cui deriva direttamente la paura del futuro, soprattutto di un futuro che potrebbe annullare la vita così come l’uomo la percepisce, è sempre stata alla base delle religioni e dei culti millenaristici, cristianesimo incluso. Siccome l’Occidente è, volente o nolente, permeato di cristianesimo, anche perché l’Europa (e i suoi derivati, come le Americhe, dove le culture autoctone sono state fatte estinguere per far posto alle europee) ha dovuto farci i conti per ben due millenni, con stragi, genocidi, guerre, conflitti nel nome di un dio un po’ bizzarro e umanizzato, i catastrofismi e le visioni di un futuro problematico non possono che nascere lì. Anche le visioni mistiche e le apparizioni non mancano, tuttora, e località insignificanti come Lourdes, Fátima, Medjugorje, diventano luoghi dove madonne pellegrine si affacciano a far cucù di tanto in tanto, per avvertire di segreti e sciagure se gli uomini non faranno i bravi.

Vincent Lindon e Galatea Bellugi nel film L’apparition di Giannoli, 2017

Un inquietante film di un paio d’anni fa, L’apparition (2017), di Xavier Giannoli, mostra come il bisogno di credere nel soprannaturale si possa sviluppare in un paesello delle Alpi francesi senza arte né parte, e farlo diventare meta turistica di centinaia di migliaia di fedeli, con un mostruoso marketing di paccottiglia. E già, è la fede il motore che moltiplica le cellule cancerogene e che fa crescere la metastasi della superstizione e, chissà perché, nella maggior parte dei casi i primi visionari sono spesso fanciulle o fanciulli, innocenti creature a cui la madonna decide di manifestarsi con uno spettacolo di suoni e luci. La giovane francesina a cui la luce appare (dice lei), nel film, assomiglia in maniera impressionante a tutte le vergini condottiere, da Giovanna d’Arco ai pastorelli di Fatima a Greta Thunberg, che, in nome della visione di un futuro assai nero per colpa dell’uomo, parlano parlano parlano e predicono cose che potrebbero vaticinare pure i dolcetti cinesi del destino. Che, poi, in Cina di ’sti dolcetti non ne sanno assolutamente nulla, essendo originari del Giappone. I cinesi ne furono solo il tramite della diffusione, soprattutto nella patria di tutte le superstizioni consumistiche, ossia gli U.S.A., dove il biglietto foriero di soldi e salute rischia di essere seriamente preso in considerazione. Ma questo magari lo racconteremo un’altra volta. Non vi dico come si svolge e finisce il film per non togliervi il piacere della proiezione.

Fatto sta che le varie vergini pizie riescono ad avere un seguito impressionante di gente d’ogni età e d’ogni nazionalità, unificate dalla religione, o dal vero e proprio paradigma fideistico e mistico che la veggente produce attraverso la sua visione.

Non c’è una grande differenza strutturale tra le visioni di Lúcia dos Santos e quelle di Greta, sono adeguate al momento storico e sociale in cui le vergini vivono.

È interessante notare come l’afflusso di credenti ai rispettivi culti virginali si muova per strade quasi identiche. La paura del futuro incide moltissimo. Nel 1917, anno delle apparizioni di Fátima, la Grande Guerra era già in corso da alcuni anni e aveva mostrato tutti i volti della catastrofe che fu. Un clima di sconforto e terrore si era diffuso, soprattutto dopo il periodo ottimistico della Belle Époque, in cui si era espansa, a tratti irresponsabilmente, una fiducia nel progresso senza voler vedere i germi di ciò che si sarebbe sprigionato così facilmente di lì a poco. La chiarezza di ciò che stava per succedere riuscivano ad averla solamente artisti e intellettuali che vedevano al di là delle cose e degli eventi e decifravano i continui segnali di pericolo che, comunque, arrivavano. Il periodo di sconvolgimento mondiale fu coronato anche, metaforicamente, dalla pandemia d’influenza spagnola che causò milioni di morti oltre a quelli della guerra. Un’elargizione del buon dio. Il futuro che si percepiva era pieno di incertezza e dolore e un intervento mariano avrebbe distolto il disagio e l’angoscia e ridato la speranza a un mondo dilaniato dai conflitti.

La famosa Monaca di Dresda, autrice di agghiaccianti profezie, personaggio totalmente inventato e romanzesco di Renzo Baschera (1976)

Esattamente un secolo dopo, nel 2018, arrivano le visioni di Greta e dell’estinzione dell’umanità per un’altra catastrofe annunciata da visioni e turbamenti virginali. Stavolta le guerre sono uno sfondo quasi inutile perché l’Europa non ne è toccata direttamente e la piccola è cresciuta in un continente pacifico e privilegiato dove tutto ormai è possibile per i grandi vantaggi e ricchezze che l’umanità ha in queste lande. Soprattutto per i giovani, che mai come oggi hanno una sicurezza di sopravvivere grazie ai vaccini, a un’assistenza medica molto più capillare ed efficiente, a una nutrizione più che sufficiente, a un’istruzione garantita a tutti, a giocattoli elaborati e costosi e un’informazione che un secolo fa il 90% della popolazione europea poteva sognarsi. Ma l’inquietudine per il futuro, costante paura dell’umanità, è sempre in agguato e chi si sente insicuro sono proprio quei giovani che poco avrebbero da temere. Una sorta di paradossale mancanza di consapevolezza della fortuna che hanno rispetto a molti altri in altre parti del mondo. Il problema oggi, in Occidente, non è più centrato sulla guerra dell’uomo contro il vicino ma quella dell’uomo contro la Natura, e non si manifesta tramite apparizioni mariane (almeno, non ancora!), perché , da un lato, ormai la gioventù è abbastanza istruita e scafata da non lasciarsi turlupinare in questo modo infantile e, dall’altro, la Chiesa si dimostra assai più prudente e cinica di quanto non s’immagini grazie anche all’accorto e scaltro papa argentino. Non c’è bisogno di madonne risplendenti e di danze di soli nel cielo per annunciare la catastrofe prossima ventura che la Natura ci sta preparando. Il riscaldamento globale, che starebbe sparpagliando iceberg in tutto il mondo, colle Alpi che si starebbero squagliando, e che porterà terribili carestie, sconvolgimenti e la sesta estinzione di massa, fa urlare la vergine pizia ai quattro venti, spaventando figli e genitori dell’imminente finimondo. D’altro canto sembra che non ci sia più rimedio, secondo i calcoli di alcuni scienziati: anche se si arrestassero le famigerate emissioni di anidride carbonica, la maggiore supposta colpevole (perché parliamo sempre di supposizioni, non di certezze assolute) del riscaldamento, sono quelle del passato che continueranno a far sentire gli effetti per secoli e quindi i ghiacci non smetteranno di liquefarsi, almeno per un po’, provocando inondazioni, migrazioni, devastazioni ovunque.

Il lupo Skǫll divora Sunna: la fine dei tempi

Il quadro apocalittico è sempre efficace per l’umana e congenita (?) angoscia per il futuro, e i catastrofisti ci abbagnano ’u panuzzu, come si dice dalle mie parti significando fare scarpetta nel sugo attraente e prelibato della paura. Greta miete così enormi successi, esattamente come Lúcia dos Santos e Bernadette Soubirous, con gli adepti infervorati da questo mistico e sinistro richiamo verso la Natura, deificata e torva perché minacciata dall’opera dell’uomo, il quale è colpevole sempre e comunque. La lotta al cambiamento climatico è diventata così la nuova religione del XXI secolo: non contenti delle fin troppe altre religioni sempre incombenti bisogna inventarsene un’altra se possibile ancor più primitiva, ma le cui peculiarità risiedono sempre nel cielo. Il clima ha la sua residenza proprio lì, è qualcosa di aereo, superiore: le piogge, il calore, i raggi solari, il buco dell’ozono, le minacce vengono dal cielo, il luogo eletto delle divinità, sia positive sia vendicative. È in cielo che l’orrenda anidride carbonica, che, attenzione, in sé comprende semanticamente l’oscurità del carbone, si raggruppa per offuscare i benèfici raggi del Sole, la prima divinità in ogni religione, maschile o femminile ha forse una certa importanza per il valore culturale che si dà al genere. Chissà se è un caso che, nel mondo germanico-scandinavo, mondo da cui la sacerdotessa Greta proviene, Sol o Sunna (die Sonne, Sun, da cui Sunday, eccetera), la divinità della luce solare norrena, sia femminile, la figlia di Mundilfœri e sorella di Máni, il corrispettivo maschile dio della Luna (der Mond, Moon, da cui Monday, eccetera) e che abbia conservato nella lingua e nella cultura attuali il genere femminile. Un nero lupo, Skǫll, perennemente a caccia di Sunna, la divorerà alla fine dei tempi, il Ragnarǫk , il crepuscolo degli dèi, così come il lupo fratello Hati divorerà Máni. Yggdrasill, il sacro frassino, l’albero del cosmo, si scuoterà e non ci saranno più confini, e sismi, inondazioni e ogni tipo di catastrofe naturale invaderanno il mondo. Ma, dopo la palingenesi, tutto risorgerà da una coppia che si è salvata e il ciclo ricomincerà. Chissà quanto c’è di simbolico in tutta questa storia che è stata rielaborata durante il Romanticismo da Richard Wagner nella sua monumentale Tetralogia e che ha evidenziato il potere suggestivo e allegorico della mitologia norrena. Greta viene da quel mondo nordico, le giovani generazioni crescono a merendine – chissà se saranno tassate – e Signore degli Anelli e Troni di Spade, con connessi videogiochi – questi di sicuro non verranno tassati – e questo universo mitologico viene senza dubbio assorbito anche inconsciamente. Carl Gustav Jung ci avrebbe trovato chissà quanti nessi se la piccola Greta fosse andata a farsi curare da lui.

L’urlo della Sibilla al tramonto sui Monti Sibillini

Detto questo non si può prescindere dall’aspetto mistico che questa lotta intrapresa da Greta contiene in sé. La mistica, in un periodo di materialismo che ha manifestato dei limiti perché assai mal gestito, intriso quasi unicamente di consumismo grazie alla massificazione di ogni cosa, oltre a un mascheramento di lotta globale di civiltà quando non è altro che una lotta globale per l’energia, è uno di quegli aspetti del romanticismo magico che ha una grande presa sui giovani d’Occidente. Giovani che, a dispetto della possibilità d’informazione che hanno oggi, essendo giovani sono assai più suggestionabili da una lettura epica che da una lettura economica della realtà. Tutti siamo stati giovani e tutti ci siamo cascati, all’epoca, anche a noi fu fatto credere da una scienza sempre connivente col potere che, al contrario di oggi, il mondo sarebbe diventato una palla di ghiaccio entro il 2000. Era anche il modo per far digerire al pubblico un’austerità e una fittizia mancanza di risorse energetiche dovute a un blocco delle relazioni internazionali che esistevano negli anni 70. A ciò si aggiunge una tendenza culturale millenarista che ha sempre atterrito ma affascinato i popoli. Nel 1971 l’ingegnere scrittore Roberto Vacca – che comunque scrive bene – vendette moltissimo col suo saggio catastrofico Il medioevo prossimo venturo, avventurandosi in previsioni nerissime per l’imminente regresso della civiltà.  Il saggio divenne poi un romanzo di fantascienza, La morte di megalopoli, nel 1974. Io ero giovanissimo e la lettura mi toccò molto, come d’altro canto pure successe a miei coetanei e più grandicelli. Naturalmente non si verificò alcunché delle sue previsioni, tanto che Vacca scrisse, nel 1986, Rinascimento prossimo venturo, che però non ebbe la fortuna del primo saggio. Il catastrofismo vende sempre meglio. Sarebbe utile, per i giovani d’oggi, rileggere il primo saggio in modo da capire come il mondo allora fosse diverso. Per esempio solo la connessione telefonica, oggi che c’è il wi-fi praticamente in ogni angolo delle città europee. Allora la richiesta di connessione telefonica richiedeva settimane per l’attivazione e, ricordo, poteva essere un duplex! Noi avemmo un duplex per il primo anno. Capirebbe mai un giovane moderno, che cambia almeno uno smartphone all’anno e che vi segue i movimenti di Greta in tempo reale, cosa significava? Le “catastrofi” le abbiamo vissute pure noi, sappiamo di che si tratta per prenderne oggi adeguatamente le distanze, ovviamente dopo l’analisi comparata dei dati.

D’altro canto il fascino che la Sibilla produce negli ascoltatori è un fascino magico. Eraclito, citato da Plutarco come effettivo padre della frase – ma l’attribuzione a Eraclito è oggetto di dubbi -, dice: “La Sibilla, con bocca folle, dando un suono a parole serie, senza ornamenti e senza fragranze, giunge colla voce, per mezzo del dio, oltre i cento anni”. L’ispirazione divina delle profetesse è scioccante. Chi ascolta la donna dotata di chiaroveggenza ne rimane impressionato. La bocca folle che proferisce parole serie dimostra una conoscenza al di là della razionalità e le parole serie, le cose che la Sibilla invasata dal dio vomita sugli astanti, impauriscono e scuotono un popolo fermamente convinto che il futuro non può che riservare sciagure e che, proprio per questa ragione, era propenso ad ascoltare e anche credere al lamento scomposto della Sibilla. Profetando la catastrofe la veggente almeno indicava la strada per eluderla: una volta conosciuto ciò a cui si va incontro si evita accuratamente di provocarlo. E le parole disadorne di Greta, senza alcuna componente edonistica, secondo me studiate alla perfezione, quindi senza il più vago fantasma di poesia, vanno dritte alle menti semplici che le credono come se ciò che dicesse, invasata dal dio del cambio climatico, fosse la verità assoluta e unica.

Ildegarda di Bingen, profetessa teutonica del Medioevo

Valeva per tutte le sibille tranne che per la povera Cassandra, condannata dall’irato Apollo a non essere creduta per il suo rifiuto alle profferte amorose del dio.

Questa peculiarità fatata dello star dietro alle sibille, da Wanna Marchi a Greta, di cui non riusciamo a liberarci, che vediamo continuamente in ogni manifestazione del pensiero irrazionale, e che è realmente il freno al progresso, inteso come approccio razionale alla realtà, è una cosa che non sembra interessare i giovani d’Oriente, assai più attenti alle scienze esatte che alle madonne pellegrine. Poi, comunque, in Oriente hanno pure loro tutto un altro mondo di spettri e demoni che si muove in una differente concezione del tempo, ma riguarda soprattutto le zone rurali e più depresse, dove magari il medico condotto non arriva e ci si affida allo sciamano.

La deificazione della Natura, la colpa dell’uomo e la catastrofe imminente sono i mattoni su cui costruire un nuovo credo per il XXI secolo, rinnovando e shakerando un po’ tutte le mitologie disponibili, rendendo la realtà un fantastico cartone animato per famiglie. Adeguato ai tempi di regresso, superficialità e semplificazione che stiamo vivendo.

 

© Ottobre 2019 Massimo Crispi

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