Storia
Con Ezio Mauro la cronaca di una rivoluzione
Leggere “L’anno del ferro e del fuoco”, il recente libro di Ezio Mauro sulla rivoluzione russa, è immergersi nel clima sconvolgente che segnò la fine del secolare impero zarista ed il trionfo di una rivoluzione che avrebbe dovuto dare libertà e garantire giustizia e che invece generò un regime totalitario che, per oltre settant’anni, ha imprigionato in una gabbia di terrore, sopraffazione e violazione dei più elementari diritti il popolo russo. Un libro che è cronaca degli eventi che portano alla presa del potere dei bolscevichi e del loro leader indiscusso, Vladimir Ulianovic detto Lenin, la mente della rivoluzione, che con grande lucidità l’ha condotta al trionfo. Una incisiva e tragica rappresentazione del precipitare inesorabile del regime zarista nel caos senza che i protagonisti, a partire dallo stesso zar Nicola II, se ne rendessero conto convinti, com’erano, dell’eternità dell’impero. Un regime autocratico, quello dei Romanov, che lentamente perde i caratteri sacrali che stavano al suo fondamento, che decade in autorevolezza di fronte ad un popolo stremato che sente il peso della sconfitta, che rincorre fantasmi del passato rendendosi incapace di quei gesti necessari a salvare il salvabile, che soprattutto non comprende l’irrompere delle idee nuove ed eversive che si diffondono nei grandi stabilimenti industriali della splendida capitale imperiale. Ed ancora, proprio lo splendore della città e di un mondo aristocratico che vive nel lusso più sfrenato, corrotto dal denaro e dal potere, che sembra non curarsi della miseria in cui vive la gente, che considera quella plebe sottomessa e sofferente, nonostante i tanti segnali di cui viene fatta segno, incapace di gesti di ribellione. Ed invece, il fuoco che covava, alimentato da quell’intellighentia, termine che il regime aveva messo all’indice, si trasforma ben presto in uno tsunami che nel torno di qualche mese travolge tutto. E poi, i drammi personali, a cominciare da quelli dello zar e della famiglia imperiale, la rapida caduta dall’aureola sacralità di cui era rivestito alla degradazione che non si limita alla sottrazione del potere, ma arriva alla indisponibilità della propria persona, all’essere in balia di un destino già segnato al quale non ci si può che rassegnare, un destino che sarebbe culminato, per ordine di Lenin, nella tragedia di Ekaterinburg. Ma anche la figura tragicomica di Alexander Kerenskij, l’uomo che pensava di potere governare la rivoluzione, con le ambiguità che lo portano all’unico esito prevedibile, la ignominiosa sconfitta, che segna anche la sconfitta di quello che poteva essere lo sbocco democratico della rivoluzione. Ed infine i bolscevichi, la loro idea giacobineggiante di conquista del potere assoluto, che non poteva essere “un pranzo di gala”, come avrebbe detto Mao, ma che, per sua natura, non poteva ammettere mezze misure e che necessariamente doveva essere benedetta dal sangue dei nemici di classe, che prometteva la transizione allo stato socialista ma che, nelle more, non poteva permettersi atti di umanità. E accanto a Lenin un Trotckij, allucinato dalla missione che si era imposta, il vero regista del colpo di mano che il 9 novembre portò all’instaurazione del primo stato comunista della storia. Tutto questo raccontato avendo riferimento ai luoghi, il miracolo urbano di Pietroburgo e la cappa di gelo che l’avvolge, ma anche ai grandi artisti che si trovarono a vivere quegli eventi, cercando e trovando i fantasmi di quegli anni pronti a raccontare la tragedia vissuta. Un grande libro, di cronaca e storia, e soprattutto una bell’esempio di buona letteratura, una sorta di rappresentazione sinfonica di quegli eventi che, rubiamo il titolo di John Reed, che sconvolsero il mondo.
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