Storia

Combattere per gli altri e combattere per sé: la Brigata ebraica in Italia

2 Febbraio 2015

La Brigata Ebraica, costituita da volontari ebrei provenienti dalla Palestina, allora sotto Mandato britannico, fu istituita da Winston Churchill, d’accordo col Presidente americano Roosevelt, nel settembre del 1944. Su una popolazione ebraica residente in Palestina di circa 550 mila persone, trenta mila tra uomini e donne si presentarono alle autorità inglesi come volontari.
Era la prima opportunità in cui qualcuno, poteva prendere in mano legittimamente un’arma e usarla.

Facciamo un fermo immagine su questa scena.
Nella scelta di prendere le armi entra nel conto morire, ma soprattutto, anche senza dirlo a se stessi, quando sono i civili a prendere un’arma in mano,ciò che entra in questione è se si è disposti ad uccidere. Il tema diventa perché si è disposti, fino a qual punto lo si è e in base a quale fine.
Il problema è anche che cosa significa che altri vedano te con un’arma in mano, quanto è per loro sorprendente, o incredibile.
In nessuna andata alle armi per la libertà degli altri si combatte solo per gli altri. Si va a combattere anche per sé, Quella scelta non è solo altruistica, è anche egoistica. E’ importante sottolinearlo. Forse è banale, ma è importante.

La decisione di combattere include alcuni aspetti che è opportuno considerare.
Si sceglie di combattere in relazione a un’idea di riscatto che si ha e si vuol comunicare.
E’ importante sottolineare quest’aspetto perché esso rinvia al tema della scelta.
La scelta di voler andare in guerra ha una radice comune con un’esperienza propria del combattentismo civile che ha una sua prima manifestazione nella scelta del combattente per la libertà d’inizio Ottocento.

La figura di cui sto tentando di delineare la fisionomia inizia a prendere corpo nell’Europa della Restaurazione con l’idealizzazione dell’eroe civile che si trasforma in eroe nazionale, dell’uomo non destinato alle armi o alla gloria, ma che sente che la sua battaglia per la libertà non si limita a quella che può combattere a casa propria. Nella condizione dell’impossibilità di combatterla in alcuni momenti storici, allora la sua scelta è di non perdere l’opportunità laddove essa si presenti perché convinto che per quella via anche la sua battaglia, momentaneamente bloccata o non praticabile riacquista uno spazio.
E’ un’esperienza che attraversa molti processi e battaglia per l’indipendenza nel corso dell’Ottocento.

Talvolta si va in guerra in un altro paese per ritrovare il senso di una guerra che si è precedentemente perduta (è ciò che accade ai garibaldini italiani che vanno in Francia a combattere nel 1870 contro la Prussia o che nel 1897 vanno a Creta a combattere per l’indipendenza dell’isola contro i turchi).
E’ l’esperienza che nel corso del Novecento, prima degli anni di cui stiamo parlando avviene per esempio con la guerra civile spagnola.
Si va in Spagna tra il 1936 e il 1939 non in nome di un ideale nazionale da difendere, ma di un’idea di libertà da affermare.
Forse nessuno meglio Carlo Rosselli lo ha descritto nelle parole che pronuncia il 10 febbraio 1937 ad Argenteuil, nella banlieue parigina, rivolgendosi ai volontari i partenza per la Spagna repubblicana.

Quel discorso, importante per chi lo pronuncia, certamente è importante solo per chi lo ascolta, ma soprattutto lo diventa per chi mesi dopo lo legge. Il testo esce nel numero del settimanale “Giustizia e Libertà” del 18 giugno 1937, il numero pubblicato e distribuito nel giorno dei funerali di Carlo e Nello Rosselli, a dimostrazione che, contrariamente a quanto pretendeva Mussolini, i morti raccontano la storia, e continuano a raccontarla ben dopo la loro scomparsa. In ogni caso la loro morte non li mette a tacere, come invece si proponevano i loro assassini.

“Dopo lunghi anni di esilio – dice Carlo Rosselli in quell’occasione – io confesso che fu solo quando varcai le frontiere della Spagna, quando mi iscrissi nelle milizie popolari e rivestii la tuta, divisa simbolica del lavoro armato e imbracciai un fucile, che mi sentii ridiventare uomo libero, nella pienezza della mia dignità. All’estero siamo sempre e sempre saremo dei minorati, degli esuli. In Spagna no. In Spagna ci sentiamo pari, fratelli. Dopo essere stati obbligati tanti anni a chiedere, magari solo il sacrosanto diritto al lavoro e alla residenza, in Spagna abbiamo la gioia di dare. (Carlo Rosselli, Perché andammo in Spagna, in Id., Scritti dall’esilio, vol. II, Einaudi, Torino 1992, p. 459).

Il tema include l’idea di riscatto. Si va a combattere in casa d’altri, insieme a quelli che là, a casa loro, stanno combattendo per la loro libertà, perché quel loro diritto alla rivolta è anche la testimonianza del nostro diritto alla rivolta. Si va là perché la possibilità del futuro include la scelta, e la scelta vuol dire che quel futuro, la possibilità di averne uno, non è un regalo. In ogni caso la scelta di esserci in quella lotta, racconta e testimonia che il tuo diritto, quello che percepisci e rivendichi come un diritto, non è un regalo.
Come sappiamo dalla partecipazione alla guerra civile per molti l’uscita è verso una delusione e un rifiuto della politica (sarà così per Simone Weil, per George Orwell, per esempio). In ogni caso segna la crisi di un modello, non la fine di un’esperienza.

L’esperienza di poco successiva delle resistenze europee se da una parte dimostra che la voglia di impegnarsi non è spenta tuttavia non produce internazionalizzazione dela figura combattente. Le Resistenze nonostante abbiamo l’esigenza di dover ripensare un continente, di sapere che il domani include una riflessione intorno al tema dell’Europa, in gran parte avvengono come scelta nazionale, come cura del proprio gruppo, come presa in carico dei propri.
Ci sono dei margini e degli spazi che lasciano aperti dei percorsi inquieti. Il primo riguarda la fisionomia dell’Europa dopo la prova della guerra e dei totalitarismi. E’ la questione del superamento dello Stato nazione, della fondazione di un’Europa federata.

Il secondo riguarda i soggetti che insieme alla liberazione dai totalitarismi, rivendicano il diritto alla loro libertà.
L’esperienza della brigata ebraica si colloca qui.

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