Storia
Coltano, l’inferno dei repubblichini
La polvere degli anni ricopre la memoria di tante storie drammatiche soprattutto del nostro secondo dopoguerra, narrazioni spesso imbarazzanti che anche gli storici più rispettosi della verità hanno preferito rimuovere.
Il riferimento, particolare, è al campo di concentramento di Coltano, una frazione del comune di Pisa, gestito dalle forze armate USA, nel quale furono richiusi almeno 30.000 ex repubblichini, cioè soldati dell’ex esercito della R.S.I, catturati o arresisi dopo il 25 aprile 1945.
Si trattava molto spesso di irriducibili giovani fascisti che si erano arruolati volontari per reazione al cosiddetto “tradimento badogliano” che aveva causato quella che Ernesto Galli della Loggia definì “morte della patria”.
A Coltano, fra gli altri, furono richiusi diversi personaggi che avrebbero avuto un ruolo pubblico importante e che nel prosieguo avrebbero in parte riletto quell’esperienza giovanile.
Fra essi, lo scrittore Marco Ramperti – di cui Montanelli, ironicamente, diceva che “non si lavava mai” – il grande orientalista Pio Filippani Ronconi, gli attori Walter Chiari, Enrico Maria Salerno, Raimondo Vianello, l’atleta Pino Dordoni, medaglia d’oro alle olimpiadi di Helsinki, il giornalista Enrico Ameri, famosissimo per le sue radiocronache sportive, il matematico Giovanni Prodi, fratello del più famoso Romano ex presidente del consiglio, i politici Ezio Maria Gray, Mirko Tremaglia, Giuseppe Turini, il giornalista Vito Mussolini, nipote del duce, già direttore del Popolo d’Italia, i generali Agosti, Berti, D’Alba, Farina, Frigerio, Bonomi, Adami Rossi, Gambara, Carloni, Lotti Mischi e Canavari, l’ex segretario del PNF prof. Aldo Vidussoni, che Giuseppe Bottai definiva “un fesso”.
I reclusi di Coltano, la cui sorveglianza era stata affidata a prigionieri tedeschi particolarmente gratificati dal compito che per rendersi graditi ai loro carcerieri infierirono sui sorvegliati.
I prigionieri di vennero, infatti, trattati con estrema durezza dagli americani che li sottoponevano, come ricordano diverse testimonianze, a tanto sistematiche che severe punizioni quasi sempre consistenti o nell’esposizione per ore al sole o al freddo senza alcuna protezione o nella privazione di somministrazione del rancio quotidiano.
In queste condizioni, molti dei reclusi finirono per ammalarsi anche gravemente e ci fu qualcuno che “uscì fuori di senno”.
Perché le cose cambiassero, bisognò attendere il 1° settembre del 1945, quando gli americani passarono la gestione del campo ai militari italiani, un passaggio di solo qualche mese, perché all’inizio dell’inverno del 1945, dopo una veemente campagna giornalistica che denunciava le condizioni del campo di prigionia di Coltano – per tutti l’articolo Basta con l’inferno di Coltano del 19 settembre del 1945 pubblicato dal quotidiano “L’uomo qualunque”- quasi tutti i reclusi poterono tornare a casa.
Degli oltre 30.000 prigionieri, a solo circa 1700, considerati illiberabili a causa dei crimini o dei reati politici commessi, non fu restituita la libertà anche se, preso atto della invivibilità del campo di Coltano, furono trasferiti in altri luoghi di detenzioni più civili fra i quali Regina Coeli.
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