Storia
Clarise Petacci, in arte Claretta
Dunque Claretta, non era lo svago o una persona «al servizio».
Aveva personalità, progetto, determinazione, e nel tempo di Salò (ma ora sembra si possa sostenere anche molto prima di quel tempo) ambiva ad essere la figura forte e di riferimento dell’apparato nazista in Italia.
Mirella Serri con questo suo libro non solo riapre un dossier ma ci consegna un profilo umano e politico della «donna di Benito Mussolini» sostanzialmente molto diverso dal mito della donna «fedele» e «sottomessa» che segue il suo uomo fino all’ultimo.
Quel profilo era già stato indicato almeno in parte da Mimmo Franzinelli in un suo libro del 2012 dedicato proprio al profilo intimo di Benito Mussolini nei 18 mesi di Salò.
Studiando il Benito Mussolini, privato più che quello pubblico e, soprattutto servendosi dell’archivio di Claretta Petacci, soprattutto del ricco epistolario tra i due Franzinelli, metteva già in questione un rapporto di forza tra i due in cui non era difficile intuire che la figura forte fosse rappresentata più da lei che non lui.
E che Claretta non fosse solo un aspetto privato della vita del duce, ma rappresentasse e indicasse un problema strutturale del sottogoverno, del malgoverno e degli «affari di famiglia» (di tutta la famiglia Petacci, fratello, madre, padre, e sorella) da tempo è un dato acquisito.
Un dato su cui recentemente la ricerca storica ha concentrato la sua attenzione.
Mauro Canali e Clemente Volpini con la loro indagine sui «ladri di regime» hanno fatto luce in maniera convincente sugli «affari di famiglia» (il capitolo dedicato agli affari della famiglia Petacci è molto significativo per mettere a fuoco la distanza che separa ciò che il regime era, da ciò che diceva di essere.
Parallelamente Paolo Giovannini e Marco Palla hanno messo a fuoco la realtà profonda del regime: truffe, tangenti, arricchimenti inspiegabili, legami con la mafia: il fascismo tutto fu tranne che una «dittatura degli onesti». Un regime, che pretendeva di forgiare un «uomo nuovo» e di correggere i mali dello Stato liberale, vedeva in realtà estendersi il malaffare fino ai gangli centrali dello Stato.
Mirella Serri non solo conferma e accentua questo quadro, ma ricostruisce il complesso di quel rapporto anche privato, anche intimo con Ben (così lui si faceva chiamare da lei) che comunque non era solo una «storia di alcova» (iniziata nel 1932) guardandolo e raccontandolo dalla parte di lei e non di lui.
La scelta dell’angolo prospettico è molto importante e consente di ricostruire quel quadro «a parte intera».
Se dunque Canali e Volpini avevano complessivamente messo a fuoco una storia di affari, interessi e malaffari, di raccomandazioni, di protezione, per certi aspetti non così diversa da altre vicende di interessi privati, e di uso personale di fondi e soldi dello Stati che nella storia italiana si sono ripetute spesso, il vero nodo di questioni nuove che Mirella Serri mete a nudo in questo libro non sta tanto appunto nello “scoop finanziario” ma nella vicenda politica che delinea il profilo di Clarise Petacci, in arte Claretta
Il tema non è l’amore, è la convinzione di essere una voce nella politica, di pesare nel sistema di regime ovvero di voler giocare, soprattutto nel periodo di Salò, un ruolo politico per davvero.
Insime, e non solo: usare le sue relazioni «intorno a Mussolini» per crearsi una sua funzione pubblica che riguarda la propria autoimmagine simile a quello della “favorita” del re nei tempi dell’assolutismo. Un ruolo che presume non solo una funzione «ancillare», ma anche complice e partecipe delle scelte del sistema, un ruolo nei conflitti e, soprattutto, una scelta negli scontri di potere dentro al sistema. Ovvero con chi stare.
In quel ruolo, non si tratta solo di scegliere ilpersonaggiopoltico a cui appoggiarsi per contare. Contare, e misurare il propriopeso politico, è anche (ma non solo) in funzione di favorire la carriera pubblica del padre, di lanciare il fratello, di ottenere prestiti e vantaggi per costruire una villa di famiglia alla Camilluccia che, per giudizio unanime, il livello economico della famiglia non potrebbe permettersi.Tutti elementi che confermano e indicano direttamente il grado di corruzione del regime come di quello di tutta la famiglia Petacci, nessuno escluso.
Quel ruolo, o meglio l’ambizione di assumere quel ruolo, segue la parabola della progressiva vicinanza di sentimenti e non solo tattica tra fascismo italiano e nazismo tedesco ed è parte del fascino che Clarise Petacci avverte sempre più profondo per la politica razziale a cui guarda con passione, prima ancora che con interesse.
In questo profilo rientra il suo entusiasmo per la crescita della campagna razziale tra primavera e estate 1938, il fascino che prova nei confronti di Adolf Hitler nei giorni del viaggio del Fuhrer in Italia nel maggio 1938 (la primavera hitleriana la chiamerà Eugenio Montale), una tappa della storia del regime ora ricostruita da Franco Cardini e Roberto Mancini, ma soprattutto restituita nei sentimenti da Ettore Scola nel suo Una giornata particolare (1977).
Conseguenza diretta il fatto che già a partire dal 1939 sia forte e profonda, comunque non occasionale, la sua vicinanza a Guido Buffarini Guidi, Sottosegretario agli Interni dal 1933 al 1943 e poi ministro degli interni nel tempo della Repubblica Sociale Italiana e essenziale figura di congiunzione della RSI con gli apparati amministrativi politici e militari della Germania nazista. Proprio in relazione a questo legame politico Clarise Petacci coltiverà tra ottobre 1943 e aprile 1945 un rapporto particolare con lui, tanto da divenire una degli interlocutori di Rudolf Rahn Plenipotenziario civile del Reich presso il governo di Salò. Attraverso Clarise Petacci l’obiettivo era controllare direttamente Mussolini.
Se, appunto, la convinzione era che il capo del fascismo italiano fosse una figura in declino, nei giorni di Salò il tentativo di Clarise Petacci fu quello di proporsi, anche per proteggere Mussolini, come la figura di riferimento e di garanzia con l’alleato tedesco
Insomma una dimensione e una missione che esulavano complessivamente da quella di “cocotte” del Duce. Ma anche uno spessore e un profilo diversi da quelli di altre donne che con Mussolini hanno avuto storie extramatrimoniali (Alice Corinaldesi e Fonseca; Romilda Ruspi; Giulia Carminato Brambilla, tra le tante): non una sciocca, non soltanto una delle «mantenute di Stato» – le amanti del Duce che percepivano uno stipendio dal regime – ma un’abile e astuta calcolatrice. Pronta ad avvalersi delle informazioni riservate di cui era depositaria per gestire attività ad altissimo livello e fare ( o proporsi di fare) una «politica sua».
Devi fare login per commentare
Accedi