Storia

Bella Ciao. For Ever e for Everybody

25 Aprile 2020

Quella di Bella Ciao è una storia viva che parla delle passioni.

Sottolinea Marcello Flores all’inizio del suo libro sulla storia di Bella Ciao, che  quella canzone può assumere un carattere di sfida, come se fosse un nuovo Robin Hood, visto il suo uso in La casa de papel, storia di una grande rapina – andata in onda dal 2017 e vincitrice nel 2018 di un International Emmy Award, che ha avuto grande risonanza non solo in Spagna ma anche in Italia (col titolo La Casa di carta), Argentina, Brasile.

Un testo che anche per questo non è la storia di un monumento o di un’icona.

“Una ragione non secondaria – scrive Flores nelle ultime righe che chiudono il libro dedicato a Bella Ciao uscito in questi giorni (In libreria ci sarà dal 4 maggio, ma già da questa settimana è acquistabile nei negozi online) – che ha permesso a Bella ciao, più che ad altri canti, di conoscere una fortuna crescente a livello europeo e mondiale è stata quella di accompagnare, nel percorso di «memoria» che dal dopoguerra conosce un itinerario complesso e articolato, una riduzione della Resistenza alla sua essenzialità storica, per quello che ha rappresentato, almeno, a livello internazionale: la vittoria sull’invasione nazista dell’Europa, la fine della dittatura, il sacrificio in nome della libertà. Non c’è in questo percorso nessuna minimizzazione, né perdita di carica ribellistica o contestataria, né espressione di moderatismo o di «valori nazionali»; al contrario, esso riassume e simboleggia il connotato politico più forte e imprescindibile rappresentato dalla Resistenza italiana ed europea, che il binomio oppositivo morte/libertà è capace di trasmettere così come quello amore/morte era riuscito a fare per tanto tempo nella canzone popolare”.

 

Forse un tempo non sarebbe stato necessario, ma ora sì.

Dentro la storia di Bella ciao, c’è senza dubbio un pezzo di Resistenza in tempo reale (come dimostra ampliamente Marcello Flores). Insomma, la convinzione più volte ribadita da Giampaolo Pansa, ripetuta anche in questi giorni che Bella ciao sia un canto nato molto dopo che con la Resistenza non abbia niente a che vedere, è una bufala.

Tuttavia, quel testo non nasce con la Resistenza e contiene molta parte della storia italiana che precede e segue quella stagione.

C’è da una parte, come ricorda Flores sulla scorta di un giovane Umberto Eco molto carduccianesimo e dannunzianesimo, ma c’è soprattutto un modo di vedere come funziona la macchina della memoria pubblica.

“I canti della Resistenza – sottolinea Flores – sono stati molto più spesso quelli che gli studiosi hanno chiamato di tipo antropologico-strutturale («cioè canti che servono da testi ideologici su materiale musicale che appartiene a mondi ideologici diversi, anzi addirittura contrari») che non di tipo ideologico-strutturale («quelli in cui ad una nuova ideologia corrisponde una struttura antropologica musicale pertinente»).

Il che – prosegue Flores – ha significato adattare parole di taglio «resistenziale» a vecchi canti di montagna, risorgimentali, borbonici o addirittura fascisti”.

Molti dicono di averla sentita nei giorni della Resistenza ma nessuno sa trovare un luogo in cui nasce (In Emilia dicono alcuni, altri vicino a Imperia, altri ancora in Molise). Sia l’attacco della canzone che l’ultima strofa compaiono dell’inno della Brjgata Maiella – Sul ponte fiume Sangro.

Non solo le parole rinviano a una storia lunga le cui tracce portano a Fior di tomba, testo presente alla raccolta dei Canti popolari del Piemonte realizzata da Costantino Nigra nel 1888, così come tracce di Bella ciao si trovano nelle trincee della Prima guerra mondiale, nei canti delle mondine, nel Veneto. Quei versi hanno molti luoghi e nessun luogo.

E tuttavia, anche in forza di questa storia stratificata in cui si sovrappongono e coabitano molte vicende e molti momenti della storia italiana, è un errore scrive Flores “Caricare il successo progressivo avuto da Bella ciao nel corso del dopoguerra di un ruolo esageratamente significativo – come simbolo, effetto, risultato – nella storia della «memoria» della Resistenza, del racconto che se ne fece pubblicamente, della percezione e del giudizio di cui furono promotrici le istituzioni e le forze politiche, nonché l’opinione pubblica, è un errore che occorre evitare, per rimettere nella giusta dimensione storica il senso e il ruolo di questa canzone”.

In questo ruolo sta anche la sua dimensione non eroica, riflessiva, per certi aspetti “ferita”.

Bella ciao, ad ascoltarla con attenzione, fuori dalla emozione o dal carico emotivo che la sostanza, è una canzone d’amore e di tristezza (il senso della storia che narra non è forse fondato sul lutto?). E tuttavia forse anche in forza di questa dimensione più che l’inno alla vittoria, o della rivoluzione che avanza, Bella ciao è stata la canzone che ha espresso la dignità nel dolore, la determinazione, pur in una condizione non felice, di comunicare la volontà di non arrendersi e di ricominciare, nei momenti di grande prostrazione o di lutto.

Canzone che significativamente, forse anche per questo suo tratto di testimonianza di durata nel tempo, ha avuto molte traduzioni, soprattutto nelle lingue oppresse: in catalano, in curdo, e anche in sinto piemontese.

Canzone che forse rappresenta un segmento essenziale dell’immagine dell’Italia.

Ma anche canzone che in forza di questa funzione “ritrovata” (più che inventata) è stata spesso intonata degli sconfitti, o dai sopravvissuti che dicono a se stessi, “ne è valsa la pena”, ma anche, rivolgendosi ai nuovi sterminatori di oggi: “non ci avrete” Noi siamo più forti. Ovvero canzone che ha la funzione di invitare alla sottoscrizione di un patto per domani.

Algeria, giugno 2004 Ferrat Mehenni la canta in cabilo ai funerali de figlio contro il potere politico e contro i fondamentalisti islamici.

Anni dopo, nel2013, il chitarrista Dan Kaufman  con la sua band Barbez ripercorre le vicende della comunità ebraica di Roma e propone Bella ciao proprio lavorando su questo sentimento.

Ma è a Parigi, nei giorni del lutto dopo la strage a “Charlie Hebdo” che Bella ciao acquista definitivamente una nuova dimensione. È ’11 gennaio 2015 l’attore comico Christophe Alévêque partecipa a una trasmissione in solidarietà a “Charlie Hebdo”.

Tutti sono molto composti in quello studio televisivo. L’unica scritta che compare è “Je suis Charlie”. Improvvisamente Alévêque attacca a cantare Bella Ciao sommessamente poi sempre più freneticamente mentre il pubblico prima sorpreso si mette a battere il ritmo con le mani.

Non è una scena casuale e quel binomio dolore/determinazione ha la sua codifica nella forza dell’interpretazione proposta da Goran Bregovic a partire dai primi anni Duemila.

Quando Goran Bregovic, con la sua Wedding and Funeral Orchestra, parte dolente, poi un colpo di tamburo accelera il ritmo, trasforma Bella ciao in una danza ebbra di gioia, mentre stantuffa il suono degli ottoni gitani, lì si compie un passaggio fondamentale.

Quel passaggio non è volto a celebrare, ma a stimolare, a «risvegliarsi», avremmo detto un tempo. A prendere con consapevolezza la responsabilità di sfidare domani. Che è il domani di oggi.

 

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