Storia
L’armadio vuoto dei misteri. I documenti scomparsi delle stragi
Una settimana fa, è morto Franco Giustolisi, il giornalista de L’Espresso cui si deve la scoperta del cosiddetto “Armadio della vergogna”, il mobile con le ante rivolte verso il muro in modo che nessuno le aprisse per vedere che cosa c’era dentro, rinvenuto nel 1994 in un locale di palazzo Cesi-Gaddi (sede di vari organi giudiziari militari). L’armadio conteneva 695 fascicoli d’inchiesta e notizie di reato, relative a crimini di guerra commessi sul territorio italiano durante l’occupazione nazifascista.
Ignoro che cosa avrebbe scritto Giustolisi dopo che l’apertura degli armadi segreti, la declassificazione degli atti segreti sulle stragi che insanguinarono l’Italia dal 1969 al 1984, proposta come operazione trasparenza non ha nei fatti dato luogo a nessuna novità. “Una beffa, un rotolone polveroso e vano. Un cestino di cartacce”, ha scritto Filippo Ceccarelli su la Repubblica.
Anche se comprensibile non mi sento di condividere il senso di amarezza o di delusione. Per scrivere la storia di qualsiasi evento, e ancor di più di una stagione che tutti ormai siamo abituati a guardare e ad avvicinare con sospetto, indubbiamente occorrono i documenti e una politica della loro gestione accessibilità e fruibilità. Significa una legge che ne consenta davvero la declassificazione. Soprattutto che la regoli in forma trasparente.
Ma dobbiamo anche sapere che di per sé avere i documenti, per quanto necessario, non sara sufficiente. Per leggere quegli anni e gli eventi di quegli anni, prima di tutto occorre una mente sgombra da dietrologie. Quindi, prima di tutto, per analizzare quegli anni occorre dismettere una mentalità fondata sul sospetto o che fa del culto del sospetto lo strumento essenziale e più accorto per spiegarli.
Questo implica avere una visione di ciò che i documenti ci possono dare. Dai documenti al più si può ricavare il certo, ma non si ricava il vero. E questo perché per quante ricerche verranno fatte non avremo mai tutte le carte. Dobbiamo esserne consapevoli. Questo non deve indurci a dichiarare l’impossibilità di ricostruire tutto ciò che avvenne, ma ci deve far riflettere sul fatto che una soglia minima è raggiungibile e che da essa si parte per tentare di ricostruire ciò che accadde.
Questo anche per sfuggire alla tentazione della visione totalitaria del potere, quale George Orwell ci consegna nel suo 1984 : la continua ritrascrizione del passato, riscrivendo documenti o togliendoli. Insomma aggiornando continuamente l’archivio. Un’immagine attraente, ma che racconta solo le proiezioni mitiche del complottismo. E con ciò senza nessuna dimostrazione sul vero e soprattutto senza nessuna prova sul certo.
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