Storia

Addio a Del Boca, lo storico che raccontò il colonialismo italiano per davvero

6 Luglio 2021

Di Angelo Del Boca, morto poche ore fa a Torino, ci sarà tempo per provare a riflettere su come la storia del colonialismo italiano, tema estremamente marginale nella storiografia italiana, sia oggi ineludibile, senza passare per le pagine dei suoi libri.

Tuttavia prima di ricostruire complessivamente una riflessione sulla sua dimensione di storico, si devono ricordare almeno tre temi intorno a cui torna un tratto strutturale della generazione degli storici italiani nati negli anni ’20 e vissuto così a lungo da poter misurare intorno alla loro dimensione culturale pubblica non solo e non tanto una storia della storiografia italiana, ma soprattutto una dimensione pubblica e civile di chi tra anni ’50 e anni ’60 intraprende il percorso di storico, spesso a partire da una pratica di giornalista.

Primo tema: la resa dei conti con le proprie scelte.

Quando nel 1963 Feltrinelli pubblica La scelta (oggi riproposto da Neri Pozza) autobiografia dei mesi della guerra civile tra 1943 e 1945, il tema è come raccontare la propria doppia esperienza.  Angelo Del Boca è un giornalista eppure la storia della sua milizia nella Repubblica sociale italiana e poi del suo abbandono e del passaggio dall’altra parte per finire nelle fila di “Giustizia e Libertà” inaugura una pratica di resa dei conti che non è una consuetudine nella storia italiana. L’episodio più clamoroso, almeno sul piano della discussione pubblica, quello delle memorie dello storico Roberto Vivarelli e del suo fare e non fare in pubblico il resoconto della sua milizia repubblichina, dicono che la pratica della resa dei conti non sia parte del costume strutturato degli intellettuali pubblici in Italia.

Secondo tema: la storia della presenza italiana in Africa, soprattutto in Africa orientale.

Del Boca inizia una ricostruzione sistematica a metà degli anni ’70, ma poi sono soprattutto le tecniche della guerra sporca, ovvero l’uso dei gas a segnare definitivamente la sua dimensione pubblica. Non è il tema di partenza della sua ricostruzione. È l’esito di un percorso durato venti anni a cui Del Boca è portato anche perché l’immagine nostalgica del colonialismo buono, a cui molti sono attaccati lo costringe a non mettere veli al alla sua ricostruzione critica. La storia del confronto con Indro Montanelli convinto sostenitore di un colonialismo buono e costretto poi ad ammettere l’uso dei gas provato dai documenti ministeriali italiani che Del Boca trova e su cui costruisce il suo I gas di Mussolini nel 1996 definiscono un prima e un dopo nella discussione pubblica.

Terzo tema: la riflessione sull’autorappresentazione di noi italiani come «bravi». Italiani brava gente è una conseguenza dei due percorsi precedenti.

In quel libro Del Boca ricostruisce gli episodi di crudeltà compiuti da noi italiani nel tempo compreso tra l’unità e la fine della seconda guerra mondiale.  Ma soprattutto si sofferma su un punto con cui non riusciamo a confrontarci e a tollerare: le stragi che Del Boca ricostruisce sono state compiute da «uomini comuni», non particolarmente fanatici, non addestrati alle liquidazioni in massa. Uomini che hanno agito per spirito di disciplina, per emulazione o perché persuasi di essere nel giusto eliminando coloro che ritenevano «barbari» o «subumani».

È un percorso che nella riflessione storica in Italia inaugura un tema estremamente sensibile e su cui in anni recenti hanno scritto David Forgacs e Gabriella Gribaudi, non senza misurarsi costantemente con la diffidenza, l’irrigidimento, il fastidio di una parte consistente dell’opinione pubblica che della storia raccontata accetta la dimensione vittimaria ma si rifiuta di affrontare i punti oscuri o controversi.

Se c’è una lezione da trattenere nella dimensione pubblica di Angelo Del Boca, che dovremo conservare e fare di tutto per non smarrire o dimenticare credo sia proprio qui: l’impegno dello storico a non demordere la dimensione civile del racconto della storia.

 

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