Partiti e politici
Alla ricerca del centro perduto
Sciolta la Democrazia Cristiana, e crollata la Prima Repubblica sotto i colpi di Mani Pulite, si sono susseguiti numerosi tentativi di ricostruire un centro perduto. Nessuno però ha mai superato la prova delle urne. Tutto lascia pensare che non andrà meglio all’improvvisato duo Calenda-Renzi.
La ricerca del centro perduto ha inizio nel 1994, subito dopo lo scioglimento della DC, con due ex democristiani, il leader referendario Mariotto Segni e il segretario del neonato Partito Popolare Mino Martinazzoli che insieme lanciano il Patto per l’Italia. Più che un centro, quello doveva essere un centrodestra democristiano alternativo alla sinistra, come nel resto d’Europa. Ma Berlusconi scende in campo e cambia tutto: il Patto si ferma al 15.63%, cannibalizzato dal Polo berlusconiano e dalla gioiosa macchina da guerra di Occhetto. Non solo: il Patto aveva implicitamente aiutato la destra ad affermarsi in molti collegi del centro-sud e proprio dal Patto arrivano quei voti che mancavano a Berlusconi per assicurarsi la fiducia anche al Senato. Il nuovo assetto bipolare impone una scelta: il PPI sceglierà il nascente Ulivo di Prodi, mentre Rocco Buttiglione (che del PPI era segretario) fonda il CDU, con cui se ne andrà nel Polo portandosi via anche lo scudo crociato.
Tra il 1998 e il 2000, il Presidente emerito Cossiga si fa ispiratore di un nuovo centro che dovrebbe guardare a sinistra: è il centro-sinistra col “trattino”. Fonda, con, Mastella e Buttiglione l’Unione Democratica per la Repubblica che dura dura poco più di sei mesi: Mastella lascia e con l’UDEUR aderisce all’Ulivo, mentre Buttiglione ricostituisce il CDU e torna a destra. Cossiga, invece, rilancia: con una piccola pattuglia di parlamentari fonda l’Unione per la Repubblica sulle ceneri dell’UDR, e propone ai socialisti dello SDI e ai Repubblicani del PRI di unirsi nel Trifoglio. Nemmeno questa alleanza durerà oltre i sei mesi: UpR e PRI andranno a destra, mentre lo SDI resterà nell’Ulivo.
Nel 2001, entrambe le coalizioni hanno una forte componente centrista: nell’Ulivo c’è la Margherita, nell Casa delle Libertà c’è il Biancofiore. Fuori dai poli, invece, ci riprovano un sindacalista, due ex premier, un ministro e un conduttore televisivo. Non è una barzelletta, sono i fondatori di Democrazia Europea: Massimo D’Antona, Giulio Andreotti, Emilio Colombo, Ortensio Zecchino e nientepopodimeno che Pippo Baudo. Nonostante l’eccezionale parterre di sponsor, Democrazia Europea si ferma al 2,4% e poco dopo vira a destra per fondare l’UDC con CCD e CDU, cui però non aderiscono né Andreotti né Colombo, che resteranno nel Gruppo Misto del Senato.
Il 2006 è l’elezione più polarizzata della storia: ci sono solo due coalizioni, l’Unione di Prodi e la Casa delle Libertà di Berlusconi, con dentro di tutto. Non c’è dunque il centro anche se entrambe le coalizioni cercano di rappresentare il centro perduto: oltre all’UDC e all’UDEUR, ci sono anche i Democratici Cristiani Uniti di Mongiello e la nuova DC di Piazza, che stanno con Prodi, e la DC per le Autonomie di Rotondi che si schiera con Berlusconi. Come inizia la legislatura, iniziano a farsi sentire i malpancisti che, tanto nell’Unione quanto nella CdL reclamano un nuovo Centro. Così l’UDC perde Follini, che passa al neonato PD, e Tabacci che fonda una “Rosa per l’Italia” con Pezzotta. Mastella molla Prodi e prova a rifare la DC all’ombra di Berlusconi. Pure Lamberto Dini molla l’Ulivo perché è ora di fare un centro Liberal Democratico, ma poi preferisce riparare nelle liste di Berlusconi.
Così nel 2008 toccherà a Pierferdinando Casini con tutta la sua UDC lanciarsi alla conquista del centro. Non va benissimo neanche all’UDC (5,62%) e “il principale esponente dello schieramento avverso” vi c’è a mani basse contro il PD a vocazione maggioritaria di Walter Veltroni. A metà legislatura, complici le cene eleganti, le leggi ad personam e lo spread, si moltiplicano gli appelli per un Terzo Polo. Francesco Rutelli lascia il PD per fare l’Alleanza per l’Italia con Tabacci, Fini lascia il PdL e fonda Futuro e Libertà per l’Italia, e il Terzo Polo insieme a Casini è cosa fatta.
Alla prima prova, però, il “Nuovo Polo per l’Italia” fa una misera figura ed è lo stesso Casini a twittarne la fine: “il Terzo Polo non è in grado di rappresentare la richiesta di cambiamento e novità”. Poi però arriva Mario Monti che, con la sua Agenda (in fondo le lodi all’Agenda Draghi sono le stesse che si sentivano per l’Agenda Monti dieci anni prima), si lascia convincere a mettersi alla guida di un Terzo Polo. Con lui ci sono anche Fini e Casini, mentre Rutelli si ritira a vita privata e sostiene la lista del Centro Democratico alleata della coalizione di centrosinistra. Alle elezioni del febbraio 2013 Scelta Civica svuota le liste alleate, ma non sfonda: si ferma sotto il 9%, abbastanza per far mancare a Pier Luigi Bersani i voti per vincere in alcune regioni-chiave e per mettere fine alle aspirazioni quirinalizie di Mario Monti.
Che al centro ci siano ormai più partiti che voti ormai l’ha capito anche Casini, che infatti per farsi rieleggere in Parlamento molla l’UDC e vira leggermente a sinistra, mentre l’UDC orfana del suo leader torna a casa, cioè dalle parti di Berlusconi. Nel 2018 non c’è un centro autonomo, ma tanto a destra quanto a sinistra si fanno ancora liste di centro per presidiare questo nonluogo: col PD c’è la petalosa Civica Popolare di Beatrice Lorenzin, che fa uno 0,54%, mentre a destra c’è Noi con L’Italia-UDC, che arriva all’1,3%.
Calano i voti del centro, ma le liste le liste di centro si moltiplicano, come quella di “Noi moderati”, che a destra prova a mettere insieme l’UDC con tre liste personalissime: Brugnaro, Lupi e Toti, mentre nel centrosinistra ci prova Tabacci con un Luigi Di Maio recentemente riscopertosi moderato e riformista.
Ma il Centro, o Terzo Polo, quest’anno se lo sono presi a colpi di tweets Matteo Renzi e Carlo Calenda, che dopo essersi tirati gli stracci hanno trovato accordo su programma candidati e simbolo. Dicono di voler dare una casa ai molti elettori delusi dalla svolta sovranista di Forza Italia, così come hanno ospitato molti parlamentari fuoriusciti dal partito di Berlusconi. Dicono di essere gli interpreti fedeli dell’Agenda Draghi, ma parlano come i populisti per cui destra e sinistra non esistono. Dicono di essere l’argine a Giorgia Meloni, ma poi attaccano Letta, sperando di pescare qualche voto tra gli elettori tradizionalmente allineati col PD.
Scommesse su come andrà a finire?
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