Storia
Aldo Manuzio, l’uomo che ha inventato il libro moderno
Che cos’è un libro senza un indice? Senza i numeri delle pagine? Senza una presentazione? Lo riconosceremmo con difficoltà.
Soprattutto senza una promozione, ovvero un’operazione di marketing che lo proponga, in breve “che lo spinga”, quel libro esisterebbe fisicamente, ma non nella domanda di un suo potenziale lettore. Semplicemente giacerebbe impilato in qualche magazzino, oppure messo a scaffale, rigidamente “di taglio” (comunque mai “di piatto”, ovvero a far nostra di sé con la sua copertina) in uno scaffale di libreria.
È facile immaginare il suo destino: mai richiesto, esce velocemente di scena, per andare in qualche deposito e poi essere destinato “al macero”. La vita di un libro, spesso non è conseguente a ciò che sta nel suo testo, ma nelle sue «soglie», ci aveva già detto molti anni fa Gérard Genette, ovvero in tutti quei segnali che fanno che un libro ci arrivi in mano e non sia “anonimo”.
Sbaglierebbe chi pensasse che di per sé il libro contenga già all’inizio tutti questi dati o sia il risultato di queste azioni, intenzioni e operazioni.
Il libro così come noi oggi lo conosciamo è conseguente a un atto di nascita.
Ha un luogo (Venezia); un tempo (più o meno la fine del XV secolo); un momento culturale (l’inizio dei quello scambio culturale che siamo soliti indicare con il termine di Rinascimento quando le idee, e la parola, soprattutto se scritta, inizia a costruire uno scaffale intellettuale perché spesso fondata su una lingua condivisa). Infine,e soprattutto, ha un nome: Aldo Manuzio.
È Aldo Manuzio, ci ricorda Alessandro Marzo Magno in questo suo libro, avvincente e anche godibile, che mette insieme tutti quegli elementi che oggi per noi sono i veicoli di lettura: ci fanno leggere un libro, ritrovare quel passo su cui ci siamo soffermati.
È Aldo Manuzio il creatore e inventore di quei paratesti che appunto fanno sì che un libro non sia solo un manoscritto rilegato anche stampato a caratteri mobili, ma ancora una raccolta di fogli.
Soprattutto Aldo Manuzio è colui che lancia il carattere a stampa (un profilo di linea che con un giro lungo precipita poi a nel carattere “Times New Roman” il carattere che Microsoft sceglie come carattere di default per il sistema operativo Windows). Quel libro diventa allora riconoscibile, rispetto a tutto gli altri libri. Non solo per il carattere a stampa, ma anche per il marchio che lo produce: per il logo che compare in copertina o sul frontespizio. Sono gli elementi che costituiscono la “firma d’autore” dell’editore. Se ilpodotto è convincente, alla fine, comunicano la garanzia circa la qualità del prodotto stesso.
È il 1501 quando Francesco Griffo, il disegnatore, incide e disegna quel carattere.
In quello stesso 1501 inizia a produrre libri in ottavo, con caratteri piccoli, ma leggibili, di poco peso. Insomma, il tascabile.
Per farlo Manuzio non propone solo testi brevi, ma commissiona anche la produzione di una carta a dimensioni diverse, più stretta e più alta da cui siano ricavabili più pagine, che ora non sono più a doppia colonna, ma a colonna unica (ovvero la pagina del libro come noi la conosciamo).
Ad aprire questa nuova linea le composizioni di Catullo, già note allora e lettura diffusa a testimoniare il carattere di quella linea di formato editoriale che è propria del tascabile dei nostri tempi: un testo noto, che deve costare poco, trasportabile, leggibile con facilità.
Insieme a Catullo nei dieci anni successivi Manuzio pubblica Virgilio, Orazio, Ovidio, Giovenale, Persio, e fra gli antichi greci Aristotele, Aristofane, Tucidide, Sofocle, Erodoto, Demostene.
Ma è soprattutto un italiano che fa la fortuna della sua impresa e che costruisce i percorsi della lettura come piacere: Petrarca e il suo Canzoniere (proposto insieme ai Trionfi, con il titolo Le cose volgari).
Dante arriverà dopo e sarà una Divina Commedia assolutamente nuova rispetto alle edizioni tradizionali. L’edizione avrà per titolo Le terze rime. Scompare il commento di Cristoforo Landino che si era imposto come imprescindibile accompagnatore del testo dantesco a partire dalla prima edizione fiorentina del 1481. Il testo di Dante è così restituito alla sua vocazione narrativa e alla capacità di avvincere il lettore grazie al formato tascabile, alla mise en page dagli ampi margini e soprattutto attraverso la soppressione degli apparati storico-filologici e della lezione interpretativa.
Cambia il libro, il suo formato, la motivazione alla lettura. Prima del tascabile, leggere risponde al bisogno di sapere ed è in relazione con il lavoro che si svolge. Il tascabile indica il piacere di leggere. Leggere non è più solo parte del tempo di lavoro, ma inizia ad essere anche un modo di impiegare il tempo libero. In questo senso, anche se il viaggio nel tempo sarà molto lungo, è vero quello che ha scritto una volta Alfonso Di Nola (nel lemma “Libro” di Enciclopedia Einaudi, vol.8), ovvero il fatto che a partire da questo momento, pur lentamente, “il libro viene sottratto alla casta e al ceto, e dal Rinascimento in poi si struttura come mezzo di comunicazione collettiva”.
Come sappiamo infatti, non è un processo automatico il fatto che la nascita del libro a stampa e la costruzione di un mercato del libro portino automaticamente alla sua diffusione. È la funzione della lettura come motivazione per l’azione a far sì che l’impresa editoriale in quello scorcio di tempo acquisti una funzione.
Di questa avventura Alessandro Marzo Magno descrive l’attimo aurorale con una grande capacità narrativa. Una lettura piacevole nel tempo della pandemia. Perché, anche se non si può fare tutto, leggere e far leggere aiuta.
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