Lavoro
Aigues-Mortes, 1893: l’eccidio degli «artieri» italiani
Nel 1882, l’appena nominato direttore del manicomio provinciale di Cuneo Oscar Giacchi, si trova a fare i conti con il primo rilevante problema della sua direzione: l’aumento progressivo degli ingressi. Nei due anni successivi alla sua nomina sono stati rispettivamente 186 nel 1880 e 191 nel 1881. Due anni dopo, nel 1883 avrebbero raggiunto la cifra di 216 individui[1]. Il dato sarebbe cresciuto anche negli anni successivi, fino a raggiungere la cifra di 535 presenti nel 1893. L’amministrazione provinciale, responsabile del manicomio, vuole capire le ragioni di una tendenza che rischia di mettere in serie difficoltà il bilancio provinciale, per questo sollecita la direzione sanitaria affinché spieghi la situazione. Il direttore Giacchi, così, a partire dalla annuale «Relazione clinico-statistica» dell’annata 1881-1882, cerca di spiegare l’andamento, di individuare le cause e le origini del fenomeno. Tra i motivi indicati la «triste abitudine degli abusi alcoolici […] e l’aumento della pellagra nel contado»[2]. Entrambi rimandano al contesto di povertà delle campagne e delle vallate montane cuneesi, zone spesso difficili da coltivare, che obbligavano le famiglie contadine a esistenze dure e ai limiti della sopportabilità. Se infatti la consuetudine con le bevande alcooliche veniva letta dalla direzione sanitaria come una strategia per anestetizzare le difficoltà quotidiane, l’aumento della pellagra indicava l’impoverimento della dieta contadina e il ripiego sul monofagismo maidico[3]. Accanto a queste due cause Giacchi ne nominava un’altra, sempre legata alla povertà diffusa e alle miserie del territorio: l’emigrazione. In particolare aveva in mente quella degli «artieri», soggetti «che vendono le loro braccia alla nazione vicina per tornarsene in patria spesse volte più poveri di prima, quasi sempre più ricchi di cattivi sentimenti e di affetti depravati»[4].
Gli «artieri» cuneesi erano lavoratori periodici che abbandonavano casa e famiglia per andare in Francia a svolgere quelle occupazioni che i francesi si rifiutavano di fare, perché la paga era scarsa o le condizioni di lavoro troppo dure. Secondo il direttore Giacchi questi soggetti erano facilmente soggetti al crollo psico-fisico a causa di un’esistenza infelice e spesso ai limiti della sopravvivenza. Inoltre le privazioni cui erano costretti gli «artieri» per riuscire a portare a casa qualcosa, le fatiche, lo stato di tensione perdurante con i locali, li spingeva ad abusare di “sostanze spiritose”, così che non erano infrequenti i casi di ricoveri in manicomio per patologie legate all’uso smodato di liquori di scarsa qualità.
Una delle zone di riferimento di questa emigrazione per necessità era la Provenza, in particolare la Camargue, una zona umida e paludosa a sud di Arles, fra il Mediterraneo e i due bracci del delta del Rodano. Nello specifico, nella cittadina di Aigues-Mortes erano presenti delle imponenti saline – ancora oggi visibili nella loro estensione dalle mura della città – presso le quali lavoravano soprattutto contadini provenienti dalle montagne delle Cévennes. A seguito del potenziamento della rete stradale e della ferrovia ci fu un aumento della produzione che rese necessaria ulteriore manodopera, per questo incominciarono ad arrivare in Camargue, soprattutto in estate, toscani, piemontesi, lombardi e diversi veneti. Raccoglievano sale dalle prime ore dell’alba fino a sera tarda, a ritmi forsennati e per una misera paga. I francesi erano convinti che gli italiani si accontentassero di poco e che la loro disponibilità potesse spingere gli amministratori della Compagnia delle saline ad abbassare ulteriormente la paga. Così la tensione tra italiani e francesi era costante, frequenti erano le risse e questo clima era reso incandescente da politici locali che avevano tutto l’interesse ad aizzare gli animi e a mantenere alta la tensione.
Fu proprio il pretesto di una presunta rissa, nel mese di Agosto del 1893, ad aizzare gli animi dei francesi. Si era infatti diffusa la voce che 4 loro connazionali erano stati massacrati dai “delinquenti italiani”. Ciò scatenò la caccia all’immigrato. Uomini e donne armati di fucili, coltelli, bastoni, forconi aggredirono i lavoratori italiani senza che le autorità facessero granché per fermarli: l’esercito rimase bloccato – non si seppe mai il perché –, alla stazione di Nîmes, mentre i gendarmi locali erano troppo pochi e, forse, neanche troppo intenzionati a fermare il massacro. La sera, quando l’esercito si mosse, l’eccidio era terminato: sul terreno c’erano 10 morti e un centinaio circa di feriti. Questi i nomi dei defunti: Vittorio Caffaro, 29 anni di Pinerolo, e Bartolomeo Calori, 26 anni di Torino; Giovanni Bonetto, 31 anni di Frassino, e Giuseppe Merlo, 29 anni di Centallo, entrambi cuneesi; l’alessandrino Carlo Tasso, 58 anni di Cerrina; l’astigiano Secondo Torchio, 24 anni di Tigliole; il savonese Lorenzo Rolando, 31 anni di Altare; il bergamasco Paolo Zanetti, 29 anni di Alzano Lombardo; il toscano Amaddio Caponi, 35 anni di San Miniato. Il decimo morto non venne identificato e rimase senza nome. Era il 17 agosto 1893.
Il massacro per lungo tempo è rimasto sconosciuto ai più, anche in Italia, dove i manuali di storia non dedicano all’evento – nel migliore dei casi – che un fugace riferimento. Per chi volesse informarsi sull’eccidio sono oggi disponibili diversi studi, tra i quali mi sento di consigliare quello di Gérard Noiriel, Le massacre des Italiens: Aigues-Mortes, 17 août 1893[5] e quello di Enzo Barnabà, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes 1893[6]. Entrambe le ricerche, oltre a ricostruire gli eventi, inquadrano il contesto storico sottolineando elementi quali la paura sociale, l’odio verso lo straniero, la tensione sociale esistente.
In definitiva, quella di Aigues-Mortes fu sicuramente una tragedia della miseria, della povertà, della paura e dell’ignoranza, certo, ma anche l’effetto di un clima venutosi a creare nei mesi e negli anni precedenti, nella tacita accondiscendenza di politici interessati a rafforzare un orizzonte di xenofobia e paura dell’altro per ragioni elettorali. Una prassi, questa, ancora attuale e che non si è conclusa con l’eccidio di Aigues-Mortes.
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[1] Archivio della Provincia di Cuneo [d’ora in avanti APCN], Quadro dimostrativo del movimento generale dei pazzi ricoverati nel Manicomio Provinciale di Cuneo (1881-1883), in Atti del Consiglio Provinciale di Cuneo 1883.
[2] Ibidem.
[3] Sulla pellagra ancora oggi utile la lettura di A. De Bernardi, Il mal della rosa. Denutrizione e pellagra nelle campagne italiane tra ‘800 e ‘900, Franco Angeli, Milano 1984.
[4] APCN, Quadro dimostrativo del movimento generale dei pazzi ricoverati nel Manicomio Provinciale di Cuneo (1881-1883)…cit.
[5] Cfr. G. Noiriel, Le massacre des Italiens: Aigues-Mortes, 17 août 1893, Fayard, Paris, 2005.
[6] Cfr. E. Barnabà, Morte agli italiani! Il massacro di Aigues-Mortes 1893, Infinito ed., Formigine 2009.
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