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A che serve morire per questo Paese?

23 Settembre 2018

Gran parte, se non tutta, la stampa italiana ha ignorato l’anniversario della morte, avvenuta il 23 settembre 1943, di Salvo D’Acquisto, il giovane carabiniere napoletano di ventitre anni che, in un momento drammatico della storia del nostro Paese mentre cioè tutti pensavano a salvare la pelle magari degradando la propria dignità di uomini liberi e capaci di scelte autonome, scelse di onorare la propria divisa fino al sacrificio supremo.

 Salvo D’Acquisto – come spero qualcuno ricorderà, se non altro per avere visto il film Romolo Guerrieri interpretato in modo brillante da Massimo Ranieri – era in quei giorni che seguirono l’armistizio dell’8 settembre, il comandante della stazione dei carabinieri di Torrimpietra (Fiumicino).

Proprio lì, nella frazione di Torre Polidora, il giorno 22 si  verificò un’esplosione, che costò la vita a due soldari tedeschi. Sebbene  il sottoufficiale avesse cercato di far capire che non si trattava affatto di un attentato ma piuttosto di un incidente, i tedeschi non vollero sentire ragioni e applicarono il principio della rappresaglia secondo l’ordinanza del feldmaresciallo Kesselring, comandante delle truppe tedesche in Italia.

Lo stesso D’Acquisto, reo di avere insistito nella sua versione, dopo essere stato più volte malmenato, fu associato agli ostaggi rastrellati per essere passati per le armi. Inutili furono le proteste di innocenza, i tedeschi non erano disposti a tornare indietro nelle loro decisioni.

E qui il colpo di scena, la grandezza dell’eroe che sceglie di immolarsi per il bene degli altri. Salvo D’Acquisto, infatti, si autoaccusò del presunto attentato decidendo di sacrificare la propria vita per salvare quei 22 padri di famiglia destinati a sicura morte.

Di fronte alla nobiltà del gesto, risalta la miseria del carnefice. I tedeschi non ebbero pietà.

Il brigadiere, secondo la testimonianza di uno degli ostaggi, davanti al plotone d’esecuzione ebbe il tempo di gridare “Viva l’Italia” prima che la scarica fatale lo uccidesse.

Ricordare oggi questo giovane e nobile carabiniere, in un tempo come il nostro nel quale tengono banco tante ipocrisie umanitarie, mentre odio e violenza sembrano essere divenuti la cifra che scandisce la nostra vita quotidiana, dovrebbe essere dovere civico e quasi imperativo categorico a cui sia gli organi di informazione sia le istituzioni pubbliche non avrebbero dovuto dunque sottrarsi.

Ma si sa, in Italia, questi doveri e questi imperativi categorici passano in second’ordine, più importante è sapere le ultime su Al Bano e Romina Power, o ascoltare le idiozie di personaggi come molti di quelli che oggi occupano i vertici dello Stato.

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