Storia
8 settembre 1943, la morte della Patria
Alle 19,42 dell’8 settembre 1943, le trasmissioni radio in corso vennero interrotte per lasciare la voce al Presidente del consiglio, maresciallo Pietro Badoglio, che annunciava la sottoscrizione dell’armistizio fra l’Italia e le forze della “soverchiante”alleanza anglo-americana.
Un annuncio drammatico che seguiva, di poco più di un’ora, quello letto dai microfoni di radio Algeri dal generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate in Europa.
Per l’Italia, già fortemente ferita da una guerra che durava da tre anni ed alla quale era arrivata impreparata, si apriva una delle pagine più brutte della sua storia. Il testo letto da Badoglio era volutamente ambiguo e rifletteva la situazione di grande difficoltà in cui si trovava il governo italiano in quel problematico passaggio.
Infatti, già da agosto, i tedeschi, diffidando dell’alleato italiano, avevano avviato una sistematica occupazione del territorio in attuazione della cosiddetta Operazione Achse.
Si trattava di una reazione preventiva all’eventuale sganciamento dell’Italia dall’alleanza siglata a Berlino il 22 maggio del 1939. L’annuncio dell’armistizio, le cui conseguenze drammatiche si sarebbero manifestate di lì a qualche giorno, colse invece di sorpresa il Paese provocando uno sbandamento generale e la impossibilità di organizzare risposte valide alle eventuali minacce dell’ex alleato tedesco.
In particolare ne scontarono gli effetti le decine di migliaia di soldati italiani che operavano fuori dal territorio nazionale che, in mancanza di collegamenti e disposizioni a cui attenersi, furono praticamente abbandonati al loro destino.
A quei soldati i tedeschi avrebbero imposto la scelta fra il proseguire la guerra, rinnegando così il proprio governo, o depositare le armi restando in balia del nuovo nemico.
La stragrande maggioranza scelse di depositare le armi e la resa aprì quell’altra terribile pagina dei deportati nei campi di lavoro in Germania sulla quale gli storici farebbero bene a prestare maggiore attenzione.
Tornando alle conseguenze dell’annuncio e alla gravità del momento, non si può tralasciare la scelta del sovrano e del governo di lasciare immediatamente Roma per rifugiarsi a Brindisi, sotto l’ombrello protettivo delle truppe alleate.
Una “fuga” sulla quale il giudizio degli storici si è diviso, alcuni l’hanno infatti considerata uno sconsiderato atto di viltà, una sorta di capitano che abbandona la nave che affonda, mentre per altri fu un atto di grande responsabilità necessario a garantire la continuità dello Stato.
Le conseguenze di questi maldestri comportamenti furono, sia sul piano materiale che su quello morale, molto gravi per il Paese e tali da rischiare di pregiudicare la stessa unità dello Stato-nazione conquistata nel corso delle dure lotte dell’epopea risorgimentale.
Proprio in questo contesto si iscrive, infatti, la spaccatura fra nord e sud che seguì all’annuncio dell’armistizio.
I tedeschi, che tenevano saldamente il controllo del territorio nella parte settentrionale del paese, favorirono infatti la nascita della Repubblica sociale italiana, stato fantoccio completamente nelle loro mani.
Nella parte d’Italia, sotto il controllo alleato, continuava invece a resistere quel che rimaneva del Regno d’Italia.
Una spaccatura non solo fisica ma, anche, morale che spinge Ernesto Galli della Loggia a parlare, a proposito dell’8 settembre, di “morte della patria” che , tradotto in parole più semplici, è poi la sconfitta storico-ideologica del concetto di patria risalente proprio all’unità, facendogli aggiungere che “la disfatta militare non era stata solo la disfatta del regime fascista ma anche di tale idea di patria…un’idea che la Resistenza, per le sue caratteristiche ideologico-politiche, non aveva potuto far nulla per rimetterla in piedi”.
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