Geopolitica
7 novembre: la rivoluzione russa, avvenuta, scomparsa e mai esistita
C’è stato un tempo in cui il 7 novembre era una data pubblica. Per chi si fosse perso qualcosa del Novecento, il 7 novembre era l’anniversario dela “rivoluzione d’ottobre”. Già qui una difficoltà (spiegabile con il calendario russo che era traslato di una quindicina di giorni rispetto a quello gregoriano).
A lungo quella data, anche per chi ormai era convinto da tempo che quella russa fosse una rivoluzione abortita, o tradita, o finita, era comunque una scadenza. Era un modo di proporre un bilancio, di contare il tempo, di dividere un prima da un dopo.
Quella data aveva la funzione non solo di segnare un evento, ma anche di essere pensata o definita come una tappa, come un punto di passaggio.
La sua declassificazione perciò non dice solo di una realtà che è stata ora dichiarata conclusa, bensì di un evento che si può dimenticare, ininfluente. Vale per la rivoluzione russa, il giudizio che Benedetto Croce dette del fascismo, ovvero rappresentare una parentesi (una vacanza?) nella storia contemporanea?
Tuttavia, dire questo implica cambiare radicalmente registro e probabilmente, senza che molti lo vogliano ammettere, dare un diverso ordine alla storia moderna e contemporanea. A lungo nel corso del Novecento, quel momento di conflitto è stato percepito e rappresentato come una frattura tra sistemi di pensiero, proposte di vita, modelli di società.
Sia quelli che difendevano l’evento “rivoluzione d’ottobre” sia quelli vi si opponevano perché lo intravedevano come il modello di società radicalmente opposto alle loro aspettative, dunque sia quelli che lo vedevano come il migliore dei sogni sia quelli che lo intravedevano come il più terribili degli incubi, vi si identificavano o vi si opponevano in base a un linguaggio e a un progetto di tipo universalistico.
Con la fine del ciclo che si apre con la presa del palazzo dì’inverno, non scompare l’idea di trasformazione violenta, o il conflitto. Il conflitto da allora ha cambiato natura. L’immaginario rivoluzionario non parla più da tempo un gergo universalistico, ma uno essenzialmente geografico. riguarda due rotture profonde (1) la fine della dimensione della laicità e (2) la supremazia dei saperi locali identitari su quelli universalistici (al massimo travestendo di universalismo il proprio).
Quell’immaginario rivoluzionario, come i totalitarismi, non è più in nome del progetto emancipativo generale, ma in quello affermativo del gruppo di appartenenza (al massimo gli altri possono ambire a godere dello status di semiliberi). Che se ne fa di una data celebrativa? E quand’anche l’avesse perché gli altri dovrebbero condividerla?
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