Partiti e politici

25 luglio 1943: quando Dino Grandi fece cadere Mussolini e il fascismo

25 Luglio 2024

Il 25 luglio è una data cruciale per la storia del nostro Paese. Nel 1943, esattamente 81 anni fa, il Gran consiglio del fascismo sfiduciò Benito Mussolini, dando il pretesto utile al re Vittorio Emanuele III per sollevarlo dal suo incarico di Capo del governo.

Contesto storico

Mentre l’Italia fascista proseguiva nella sua fallimentare guerra, il 12 giugno 1943 le truppe angloamericane sbarcarono a Pantelleria. Il 10 luglio arrivarono in Sicilia conquistandola in poche settimane. Le poche difese dell’isola non riuscirono infatti a contenere gli alleati, che non trovarono nessuna ostilità neanche da parte dei locali, che anzi li accolsero come liberatori.

Con lo sbarco degli alleati il fascismo toccò un punto di non ritorno, ma la crisi che lo attraversava già da tempo riguardava il malcontento popolare per le condizioni delle città dopo i bombardamenti e la crisi alimentare.
Il regime, già screditato dai continui insuccessi militari, si trovò a dover fronteggiare una serie di scioperi operai nelle grandi città industriali (Torino in particolare) e l’organizzazione di attività legate a nuclei clandestini comunisti.

La fine del fascismo e la caduta del suo capo carismatico non furono però causate dal malcontento popolare, quanto da una “congiura monarchica” che riguardava le alte sfere del sistema politico-economico.
Era parere comune di alcuni esponenti del mondo militare, degli industriali, e in particolare dei sostenitori della Corona e di un’ala monarchica-conservatrice del Partito fascista, che il re dovesse riprendere il comando supremo delle Forze armate e, in quanto unica figura di riferimento indipendente da Mussolini, dovesse guidare un fronte che escludesse il duce dalla vita politica per portare il Paese fuori da una crisi ormai insormontabile.

Lo sbarco alleato in Sicilia aveva infranto ogni residua speranza di vittoria, e questo tracollo militare venne considerato di responsabilità del regime e di Mussolini. Grandi lo accusava di aver compromesso i vitali interessi della nazione portandola sull’orlo della sconfitta.

La notte della caduta

La notte tra il 24 e il 25 luglio 1943 si tenne una riunione del Gran consiglio del fascismo nella quale venne votato e approvato, con una forte maggioranza, l’ordine del giorno a firma di Dino Grandi che invitava il sovrano a riprendere il controllo dell’esercito e che di conseguenza sfiduciava Benito Mussolini.

La riunione del massimo organo collegiale del fascismo, che non si riuniva dal 1939, avrebbe dovuto avere tre ordini del giorno: quello di Grandi, uno di Farinacci e uno di Scorza. Dopo che l’ordine di Grandi fu accolto, Mussolini decise di non mettere ai voti gli altri due.

Il consiglio iniziò alle 18:15 del 24 luglio, ma la votazione avvenne a notte inoltrata, alle 2:30.

I voti a favore furono 19:

  • Acerbo;
  • Albini;
  • Alfieri;
  • Balella;
  • Bastianini;
  • Bignardi;
  • Bottai;
  • Ciano (genero di Mussolini);
  • De Bono (vecchio generale e quadrumviro);
  • de Marsico;
  • De Stefani;
  • De Vecchi;
  • Federzoni (presidente dell’Accademia d’Italia);
  • Gottardi;
  • Grandi (presidente della Camera dei Fasci e delle Corporazioni);
  • Marinelli;
  • Pareschi;
  • Rossoni;
  • Cianetti (che però ritirò il voto il giorno dopo).

Gli 8 voti contrari furono di:

  • Biggini;
  • Buffarini-Guidi;
  • Farinacci;
  • Frattari;
  • Galbiati;
  • Polverelli;
  • Scorza (segretario del Partito fascista);
  • Tringali Casanova.

Infine Suardo si astenne.

Il testo dell’ordine del giorno

Il Gran Consiglio del Fascismo, riunendosi in queste ore di supremo cimento, volge innanzi tutto il suo pensiero agli eroici combattenti di ogni arma che, fianco a fianco con la gente di Sicilia, in cui più alta risplende l’univoca fede del popolo italiano, rinnovano le nobili tradizioni di strenuo valore e d’indomito spirito di sacrificio delle nostre gloriose Forze Armate. Esaminata la situazione interna e internazionale e la condotta politica e militare della guerra;

proclama

il dovere sacro per tutti gli italiani di difendere ad ogni costo l’unità, l’indipendenza, la libertà della Patria, i frutti dei sacrifici e degli sforzi di quattro generazioni dal Risorgimento ad oggi, la vita e l’avvenire del popolo italiano;

afferma

la necessità dell’unione morale e materiale di tutti gli italiani in questa ora grave e decisiva per i destini della Nazione;

dichiara

che a tale scopo è necessario l’immediato ripristino di tutte le funzioni statali, attribuendo alla Corona, al Gran Consiglio, al Governo, al Parlamento, alle Corporazioni i compiti e le responsabilità stabilite dalle nostre leggi statutarie e costituzionali;

invita

il Governo a pregare la Maestà del Re, verso il quale si rivolge fedele e fiducioso il cuore di tutta la Nazione, affinché Egli voglia per l’onore e la salvezza della Patria assumere con l’effettivo comando delle Forze Armate di terra, di mare, dell’aria, secondo l’articolo 5 dello Statuto del Regno, quella suprema iniziativa di decisione che le nostre istituzioni a Lui attribuiscono e che sono sempre state in tutta la nostra storia nazionale il retaggio glorioso della nostra Augusta Dinastia di Savoia.

Dopo la sfiducia

Con l’approvazione dell’ordine del giorno Grandi, tutte le funzioni e le prerogative previste dallo Statuto Albertino, che la dittatura aveva concentrato nelle proprie mani, tornarono al sovrano e al Parlamento. Il pomeriggio stesso Vittorio Emanuele III convocò Mussolini a Villa Savoia, lo invitò a dimettersi, e lo fece arrestare.

L’ormai ex Capo del governo fu portato via all’interno di un’ambulanza e fu poi tradotto sul Gran Sasso.

Alle 22:45 la radio annunciò la caduta di Mussolini e diede notizia del conferimento dell’incarico di formare un nuovo governo al generale Pietro Badoglio.

L’Italia venne attraversata da un’onda di “giubilo” che portò la gente a festeggiare per la caduta del regime scagliandosi contro simboli e sedi del fascismo, ma senza spargimento di sangue.

Il fascismo, almeno nella forma conosciuta sino ad allora, era finito. Non era però finita la guerra, e il nostro Paese dovette affrontare ancora tanti morti, fame, la fuga del re e del governo, l’occupazione tedesca e la divisione tra Repubblica di Salò e Regno del Sud.

Qui il racconto di come si arrivò all’Armistizio dell’8 settembre 1943 e qui sotto il documentario di Ezio Mauro, trasmesso da La7, “La caduta – Cronache della fine del fascismo”.

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