Storia

10 marzo 1872, muore Mazzini, un apostolo in solitudine

10 Marzo 2022

Giuseppe Mazzini, di cui oggi ricorre il 150° anniversario dalla morte, è a buona ragione considerato uno dei quattro grandi protagonisti – gli altri sono Vittorio Emanuele II, Camillo Benso conte di Cavour e Giuseppe Garibaldi – del processo che portò all’unificazione del Paese ma, ad un tempo, è anche colui che per la coerenza e per la dirittura morale che lo contraddistinse non ricevette, in vita, i riconoscimenti che avrebbe in realtà meritato.

Come infatti era vissuto, prima che i tanti staterelli in cui era divisa divenissero un regno unitario, in semi-clandestinità braccato dalle polizie dei sovrani che di lì a qualche anno sarebbero stati spodestati, continuò a vivere dopo la conclusione del processo unitario fu, infatti, un uomo solo costretto alla clandestinità, rifugiandosi spesso all’estero, per sfuggire alla cattura segnato dalla nomea del pericoloso sovversivo.

Una vita da emarginato, spesso in miseria, confortato da una fede laica nella capacità del popolo di ribellarsi ai tiranni. Ostile anche alle monarchie costituzionali, il suo era un’ideale repubblicano che si alimentava di forti tensioni etiche.

Aveva, infatti, fatto proprio il trittico dei rivoluzionari francesi aggiungendo alla liberté, all’égalité e alla fraternité anche l’idea di Patria e di umanità nella quale ultima vedeva l’immagine di Dio sulla terra. Il compito che si era in questo senso intestato fu dunque quello di educare il popolo alla libertà e alla democrazia per fare emergere da esso l’idea di nazione così renderlo protagonista della storia italiana.

Ma questa idea di nazione, per la quale aveva fondato l’associazione “la Giovane Italia”, eticamente plasmata dal senso del dovere, era un concetto ben lontano dalle degenerazioni nazionaliste, oggi si direbbe sovranista, che avrebbero contraddistinto il percorso postunitario, ma piuttosto nella sua visione avrebbe dovuto costituire un punto di partenza per avviare un processo più largo, che guardava all’Europa.

Nel suo progetto c’era infatti un’Europa unita fondata su valori democratici e solidaristi.

Non è un caso che avesse fondato l’associazione “Giovane Europa” che avrebbe dovuto promuovere in primo luogo l’avvicinamento fra i popoli europei e, poi, l’integrazione fra gli stessi stati in cui era diviso il vecchio continente.

In questo senso Mazzini, anche se questo aspetto è stato sempre poco sottolineato, deve essere considerato a buon diritto l’antesignano del processo di integrazione europea.

La forte componente spirituale che lo animava, a fronte della presa d’atto della questione sociale – che sicuramente non gli sfuggiva – lo tenne inoltre lontano dalle correnti materialistiche elaborate soprattutto da Marx ed Engels, con i quali non si stancò mai di polemizzare.

Mazzini contestava, infatti, il primato dell’economia, affermava che anteporre l’economia al sentimento avrebbe finito per rendere la società schiava di una poco producente lotta infinita fra classi sociali. Pertanto, rigettando il classismo caldeggiato dai socialisti, come ebbe ad affermare nel suo intervento alla prima internazionale, proponeva in contrapposizione una visione interclassista, ed anche in questo caso lo si può considerare un precursore.

Le sue idee, considerate sovversive, fecero ben presto molti proseliti, alcuni dei quali, come Giuseppe Garibaldi e Francesco Crispi si sarebbero dalle stesse emancipati tradendo, in nome della realpolitik, il loro profeta.

Altri, invece, come accadde ai fratelli Bandiera o a Carlo Pisacane, sarebbero andati incontro ad un tragico destino nel tentativo di suscitare rivolte popolari. E proprio a causa di questi eclatanti fallimenti, che tuttavia non incrinarono mai la sua fiducia nel sollevamento del popolo contro i tiranni, a Mazzini sarebbe stato rimproverato di avere mandato tanti giovani generosi al macello. Fatto l’unità e costituito il Regno d’Italia, Mazzini rifiutò di accettare il fatto compiuto: una monarchia amputata della sua capitale naturale.

Mentre infatti continuava ad alimentare l’idea repubblicana, incurante dei precari equilibri su cui si reggeva lo Stato unitario, guardava con sempre più insistenza al completamento del disegno unitario con la annessione di Roma al nuovo Stato.

Nasceva proprio da queste spinte mazziniane il tentativo di Garibaldi, partito dalla Sicilia al grido di “Roma o morte”, di prendere con un colpo di mano la città eterna. Tentativo miseramente fallito ad Aspromonte.

E la Sicilia, che considerava terra eletta per il suo progetto rivoluzionario e che l’aveva visto più volte presente nel corso dell’avventura garibaldina, vide uno dei suoi ultimi tentativi di pedagogia rivoluzionaria quando nel 1870, a due anni dalla morte, tentò sotto mentite spoglie di sbarcarvi per incontrare i locali circoli rivoluzionari.

Un’avventura che non ebbe esito favorevole, visto che fu riconosciuto e rispedito al nord.

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