Storia

1 settembre 1939, il tempo dell’Apocalisse

1 Settembre 2019

Il primo settembre del 1939, l’esercito tedesco varca il confine della Polonia dando inizio alla più grande tragedia del ventesimo secolo; la seconda guerra mondiale, che durò per sei anni, costò infatti la vita a oltre 55 milioni di persone, e per la prima volta in un conflitto in maggioranza civili,  ma costò, anche, distruzioni materiali e devastazioni incalcolabili di ricchezza e, come scrisse Stefan Zweig, soprattutto “un regresso morale mai prima d’allora subito”.

Una tragedia, in qualche modo, annunciata perché coda, quasi naturale, dei problemi irrisolti dopo la Grande guerra, e di quelle clausole leonine, imposte agli sconfitti dal trattato di Versailles, che suscitarono enormi risentimenti nelle popolazioni tedesche e austriache spingendole verso i regimi totalitari.

Ma, anche, effetto della debolezza della Società delle Nazioni, l’organismo pensato dal presidente Wilson e istituito, all’indomani della fine della guerra, dalle potenze vincitrici con l’obiettivo di mantenere la pace e di promuovere la cooperazione internazionale.

Una debolezza certificata nel 1938 dalla quasi resa incondizionata delle potenze democratiche di fronte alla prepotenza della Germania nazista che si era annessa i Sudeti, territori appartenenti alla repubblica cecoslovacca, denunciata con uno storico intervento alla Camera dei comuni, da Winston Churchill.

Precondizioni  tutte che hanno portato gli storici a confermare la tesi, come scrisse Troskij, che la seconda guerra mondiale sarebbe stata “una continuazione dell’ultima guerra”, cioè della prima guerra mondiale.

Infine, non poca responsabilità, almeno in questa prima fase, va caricata al disegno egemonico panslavista del capo del comunismo internazionale  Iosif Stalin il quale, con il patto Molotov-Ribbentrop dell’agosto del 1939, diede il via libera all’aggressione della Polonia da parte della Germania nazista in cambio della parte orientale della stessa Polonia, cui seguirono, sempre con l’assenso di Hitler, l’annessione delle repubbliche baltiche e l’occupazione della Finlandia.

Più della prima, la seconda guerra mondiale fu guerra totale, infatti coinvolse tutti e cinque continenti, che ha impegnato milioni di uomini in uno sforzo di produttivo di lunga durata eccezionale da cui è venuta fuori l’arma che potrebbe mettere fine al genere umano il cui possesso è stata premessa di un nuovo e, purtroppo, spesso instabile ordine mondiale.

Ma fu anche un conflitto nel quale, per la prima volta, hanno avuto un ruolo di primo piano le ideologie, i responsabili di quella tragedia furono, infatti, portatori di Weltanschauung politiche diverse e contrapposte poste a giustificazione del loro impegno militare.

Proprio in queste visioni ideologiche affondano le radici di quello che è stato il dramma, che costituisce macchia indelebile per il popolo tedesco, più sconvolgente degli anni della guerra; ci si riferisce alla deportazione in massa degli ebrei, reclusi in condizioni disumane nei campi di concentramento, che comportò lo sterminio di oltre sei milioni di ebrei, un genocidio che Claudio Magris ha definito “vertice supremo del male”.

Facendo memoria di quella tragedia, delle incertezze, delle pavidità e delle colpe, mi pare opportuno ricordare quanto scrisse, riflettendo su quegli eventi, Herbert Marcuse e cioè che “Se la tolleranza democratica fosse stata ritirata quando i futuri capi cominciarono la loro campagna, l’umanità avrebbe avuto la possibilità di evitare Auschwitz e una guerra mondiale.”

 

 

 

 

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