Medicina
Una startup (al femminile) di Verona contro la sindrome di Sjogren
Nel febbraio del 2014 il magazine inglese The Economist scriveva: “There are reasons to hope that the latest biotech boom will not be followed by another bust”. Forse The Economist non ne capirà granché di politica italiana, ma quando si parla di business ci azzecca spesso: non solo il biotech non ha conosciuto nessuna implosione, ma continua la sua corsa. Negli USA e nel Regno Unito (pensiamo solo al nuovissimo Francis Crick Institute), in Asia e nei paesi nordici, ma anche in Italia, che secondo l’ultimo rapporto di Assobiotec è terza in Europa per numero di imprese biotech.
Una startup promettente in questo campo è la DIAMANTE, che ha sede a Verona, a pochi passi dal policlinico di Borgo Roma. Il nome della giovanissima impresa è un acronimo, che sta per DIAgnosi di Malattie Autoimmuni mediante NanoTEcnologie. Si tratta di una società di capitali impegnata nella produzione e vendita di innovativi strumenti diagnostici, che ha come punto di forza l’uso delle piante (sì, delle piante) per produrre in modo ecosostenibile e sicuro nanoparticelle basate su virus vegetali modificati.
Linda Avesani è una delle tre fondatrici della DIAMANTE. 40 anni, ricercatrice presso il dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona, è manager scientifico della startup. Mi spiega:
Diamante rappresenta per me tante cose. Da una parte la vedo come una concreta possibilità di impresa fondata sulla ricerca in campo biotech, e spero che in futuro possa costituire un’opportunità di lavoro per i giovani ricercatori. Dall’altra costituisce una sfida: quella di trasformare un progetto di ricerca in una realtà produttiva in grado di portare un vantaggio concreto alla società.
Insomma, l’obiettivo è quello di fare innovazione. Cosa non facile, specie in un paese come il nostro, dove la ricerca è spesso di eccellente livello (lo prova ad esempio il fatto che i ricercatori italiani, secondo il think-tank Ambrosetti, battono i colleghi europei per numero di referenze pro capite), ma l’innovazione latita. E in effetti la parabola della DIAMANTE è anomala, e ricorda più certe storie dalla “Silicon Fen” o dalla “Medicon Valley” che una vicenda italiana. Eppure…
DIAMANTE parte da un progetto di ricerca finanziato dal MIUR di cui sono stata coordinatrice a livello nazionale. Il progetto si focalizzava sull’uso di virus vegetali per la diagnosi e la terapia di malattie autoimmuni. Nell’ambito di questo progetto sono stati ottenuti risultati entusiasmanti. In particolare, nell’ambito diagnostico è stato sviluppato un kit per la diagnosi della sindrome di Sjogren, che al momento presenta notevoli problematiche (basti pensare che i tempi medi per la diagnosi della malattia sono di quattro anni). Il nostro sistema permette invece di arrivare a una diagnosi in tempi molto brevi. Il sistema è stato brevettato, ed è stato oggetto di pubblicazione scientifica su una rivista internazionale.
Il passo che ha portato dai risultati scientifici alla creazione della startup è stato breve. Con due giovani donne di business, Valentina Garonzi e Roberta Zampieri (rispettivamente CEO e presidente della società) la Avesani crea, appunto, DIAMANTE. Che si sta preparando a lanciare sul mercato il kit per diagnosticare la sindrome di Sjogren:
DIAMANTE, al momento, sta lavorando per ottenere le certificazioni europee necessarie all’immissione del kit sul mercato, e all’implementazione di collaborazioni con ospedali e laboratori di ricerca per la promozione dello stesso. Per quanto riguarda il fronte della ricerca, invece, stiamo studiando lo sviluppo di nuovi kit per la diagnosi di altre malattie autoimmuni usando il sistema già testato con il kit per la sindrome di Sjogren.
Le fondatrici di DIAMANTE sono ambiziose. Il kit dovrebbe essere commercializzato in Italia alla fine del 2017, e arrivare sul mercato europeo nella primavera del 2018 e su quello statunitense per il 2020. Il fatturato, spiegano, è ancora limitato, ma prevedono di raggiungere la soglia del break-even alla fine del 2018. Le risorse economiche, per adesso, arrivano grazie a grant e premi, ma è stata già predisposta una strategia di equity fund rasing che dovrebbe concretizzarsi nella ricerca di un paio di investitori. Non è tutto: sono anche previste un paio di assunzioni, una buona notizia in qualsiasi paese del mondo, ma fantastica in Italia.
Certo, non è facile fare innovazione nel nostro paese. Anzi.
È un momento sicuramente difficile, perché la ricerca è spesso percepita come un lusso. Credo tuttavia che dalle sinergie con le università possa scaturire una spinta che potrebbe rappresentare una svolta in questo panorama.
La Avesani parla con cognizione di causa, dato che ha potuto contare sul supporto fattivo dell’ateneo scaligero, sia in termini di contatti, che di servizi e spazi di laboratorio. Rimane il fatto che quello dello startupper è un mestiere difficile. Tanti gli ostacoli di tipo burocratico ed economico, ardua la strada per reperire sostegno finanziario. Servirebbe un ruolo più forte dello Stato (e la cosa non deve scandalizzare i benpensanti anti-statalisti, dato che come ci insegna Mariana Mazzucato nel suo saggio “Lo Stato innovatore”, spesso è proprio il tanto vituperato intervento statale a far decollare gli ecosistemi innovativi).
Oltre a provvedere a uno snellimento burocratico, lo Stato dovrebbe garantire la possibilità di raccogliere finanziamenti e fondi per il lancio delle aziende, e incentivi volti all’assunzione di nuovo personale e all’internazionalizzazione delle aziende. Ancora, dovrebbe provvedere alla presenza di spazi di network dove condividere strutture e fare rete con altri imprenditori.
E se la DIAMANTE ricevesse un milione di euro in finanziamenti extra, che ne farebbe? La risposta fornitami dalla Garonzi, CEO della startup, è davvero interessante.
Lo investiremmo nello sviluppo dell’azienda e nell’accesso a nuovi mercati, attraverso l’ampliamento della capacità produttiva con la creazione di un nuovo laboratorio e l’assunzione di nuove figure, campagne di marketing mirate e nuovi progetti di ricerca e sviluppo.
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