Benessere
Un giro dentro la Nudge Unit inglese, dove si decide per noi
È un’assolata giornata londinese d’ottobre quando esco alla fermata di Pimlico e mi dirigo verso Greycoat Street, per conoscere da vicino la Nudge Unit inglese. Visto il potere che si propone di esercitare – e in parte già ha esercitato – sui cittadini del Regno Unito, le aspettative sono alte e l’immagine mentale che mi sono costruita un incrocio fra l’ufficio centrale di Jack Bauer in 24 e un covo di brillanti accademici determinati a migliorare il mondo. Ad accogliermi, in realtà, trovo il secondo piano di un anonimo condominio moderno di Londra Sud e due responsabili dalle maniere formali.
Lanciata e fortemente voluta da James Cameron nel 2010, sull’onda del successo del libro Nudge e delle scienze comportamentali, da due anni il Beavioral Insight Team (più noto appunto come Nudge Unit) è ora una “social purpose company” semi privata e parzialmente proprietà del Governo Britannico, con cui ancora lavora a stretto contatto, oltre a dispensare consigli ad altri Stati e ad avere distaccamenti in Australia e Singapore. La BIT studia metodi per presentare bollette personalizzate, elaborare messaggi persuasivi, etichettare in modo oculato i prodotti di consumo in modo forse più efficiente che informativo, ovvero tenendo conto dell’innata propensione dell’uomo (tanto come consumatore quanto come cittadino) a fare scelte non tanto sulla base di oculati ragionamenti quanto su un mix di irrazionalità, istinto, norme sociali, conformismo, scorciatoie mentali e abitudini. Una miscela complessa ma non del tutto imprevedibile che, se ben studiata, può favorire da parte dei cosiddetti policy makers la creazione di “ambienti di scelta” in cui, senza nemmeno rendercene conto, adottiamo comportamenti più saggi e virtuosi in termini di salute, inquinamento, risparmio e produttività.
In UK questi ambienti di scelta sono già una realtà: secondo quanto riporta l’edizione inglese dell’Huffington Post, nei 5 anni della sua esistenza la Nudge Unit ha aumentato la donazione di organi, traghettato verso un impiego il 10% dei disoccupati che usufruivano dei benefit del Job Center e incrementato il superamento dell’esame d’ammissione alle forze alla polizia da parte di esponenti di minoranze etniche. Tutto questo grazie alle scienze comportamentali. O, meglio, agli esperimenti andati a buon segno (lo stesso capo della BIT David Halpern racconta nel suo recente libro Inside the Nudge Unit che non sempre accade) in quella fetta di ricerca che incrocia psicologia, economia, sociologia e statistica e che prende il nome di Behavioral Studies. E che molto si appoggia alla teoria dei nudge, ovvero le piccole ma miratissime spinte verso la direzione giusta (sorta di marketing virtuoso) la cui elaborazione è precisamente quello a cui è dedicato questo ufficio.
In Greycoat Streat vengo accolta da Francesca Tamma, italiana laureata a Edimburgo, giovanissima ma con già alle spalle anni di esperienza nelle politiche sociali inglesi, e dal responsabile Owain Service. Avevano ritagliato 30 minuti per me ma, visto che il traffico londinese mi ha fatto ritardare, possono concedermene solo 15. Niente giro degli uffici: posso solo sbirciare un piccolo open space e credere loro sulla parola quando mi dicono che in tutto ci lavorano in 55 persone. Tamma, consulente nell’area Energia e sostenibilità, mi spiega che circa la metà sono economisti, un buon 40% viene dalla psicologia e il resto degli impiegati della BIT ha un background da campi limitrofi, come l’antropologia e le neuroscienze. Spiega anche che i loro esperimenti sfruttano la metodologia dei randomized trials, gli stessi usati in ambito medico. Poi passa a snocciolarmi una serie di ricerche e dati, mentre Service chiarisce con evidente orgoglio che il team americano, recentemente vezzeggiato dallo stesso Obama, è modellato sul loro, e che non è vero che il pubblico medio non sa niente di nudge e di scienze comportamentali, che basta andare sulla sezione “media” del sito per trovare centinaia di articoli di testate anche generaliste.
In realtà qui è più che mai evidente il gap comunicativo tra le persone che mi trovo davanti e questo famoso pubblico, che in realtà no, mediamente non è informato sull’attività né spesso della stessa esistenza di team governativi e semi-governativi dedicati a come influenzare al meglio i cittadini affinché ci guadagni la comunità nel suo insieme. E quando lo è non sempre le informazioni che riceve sono pro-comportamentalismo. Per esempio in UK il Daily Mail ha più volte attaccato gli studi comportamentali in generale e la Nudge Unit in particolare, che ha recentemente definito una “manipolazione sponsorizzata dallo Stato”. Mentre in Italia, come si diceva in un precedente post, la conoscenza pubblica di questi tempi è pari a zero e solo il lavoro di alcuni economisti e del Nudging Network italiano li porta avanti, per ora senza legami noti con politica e amministrazioni. Ma potrebbe essere solo questione di tempo
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