Medicina
Sulla felicità artificiale. Quando saremo macchine?
Il cervello e l’intero sistema nervoso sono governati da fenomeni elettrici ai quali la composizione chimica e l’architettura biologica dei tessuti forniscono un territorio fertile, ossia conduttivo. Il grado di sofisticazione delle strutture neuronali e delle loro interconnessioni è tale da permettere un funzionamento che per molti aspetti si avvicina a quello di un circuito digitale. È legittimo, oggi quasi scontato, pensare che un sistema logico come un circuito o un processore possa essere in grado di dialogare con una materia biologica così logicamente organizzata.
Si fa presto a dire Cyborg, ma non c’è bisogno di andare così lontano e di usare tanto la fantasia.
La realtà è più evoluta di quanto molti immaginino. L’impianto di dispositivi elettronici in grado di interagire con le funzionalità cerebrali è pratica comune da oltre un decennio. Dispositivi impiantabili sono impiegati con successo per la cura dei sintomi di alcuni importanti disturbi neurologici come il morbo di Parkinson oppure la distonia. Si tratta di sistemi elettronici miniaturizzati innestati attraverso un’operazione chirurgica nel corpo del paziente ed i cui terminali raggiungono aree di interesse del cervello per effettuare allo stesso tempo rilevazioni del segnale neuronale e stimolazioni elettriche. L’obiettivo, nella maggior parte dei casi, è sopprimere o modificare alcuni comportamenti anomali di neuroni degenerati e annullarne (o almeno attenuarne) gli effetti visibili sulla persona. Soltanto per il trattamento dell’epilessia, più di 80.000 persone nel mondo possiedono impianti simili.
Il crescente utilizzo clinico di dispositivi di questo tipo ha allargato la possibilità di sperimentare tecniche di stimolazione e di sviluppare dispositivi sempre più sofisticati o “intelligenti”, dotati cioè di logiche programmabili in grado di riconoscere con crescente precisione le condizioni fisiologiche dell’individuo e “scegliere” la terapia migliore. Nonostante alcuni ritardi dovuti in prima istanza all’inerzia delle poche grandi compagnie americane rappresentanti l’oligopolio industriale di questo tipo di dispositivi, i più recenti e sofisticati sistemi impiantabili sono prossimi alla commercializzazione. Il settore è in forte crescita. Medtronic, St. Jude Medicals, Cybertronics sono sono alcune delle multinazionali del settore che hanno visto il valore delle loro azioni quasi raddoppiare negli ultimi cinque anni e all’appello non mancano numerose nuove start-up. Questa spinta è dovuta in parte all’invecchiamento della popolazione del primo mondo e del relativo aumento dell’incidenza di malattie neurologiche, ma in parte anche al crescente interesse che le maggiori compagnie del settore dei semiconduttori (in cerca di ossigeno in atmosfere lontane dal sempre più saturo pianeta degli smartphones) nutrono verso applicazioni alternative come quelle bioelettroniche.
Lo sviluppo tecnologico è prossimo ad un punto di incontro tra due mondi. Da un lato anni di ricerca e sperimentazione di neuroscienze hanno contribuito a aumentare le conoscenze circa il funzionamento del sistema nervoso, del cervello e anche delle emozioni. Dall’altro la tecnologia del silicio, consolidata da decenni di intensa evoluzione, è già una risorsa disponibile per realizzare sistemi dalle potenzialità che superano la fantascienza. Quali esattamente? Solo la ricerca, gli investimenti e il tempo lo diranno, ma alcuni indizi suggeriscono scenari emozionanti, inquietanti o quantomeno suggestivi, a seconda dei punti di vista.
All’interno di importanti settori della medicina e dell’industria sta prendendo forza un’ idea e cioè che la bio-elettronica possa presto rappresentare una risorsa più efficace della cura farmacologica nel trattamento di moltissimi disturbi. Esiste la possibilità concreta che entro un decennio sistemi elettronici miniaturizzati possano essere già in grado di correggere (curare?) importanti disturbi psichiatrici. Da circa due anni tecniche di stimolazione cerebrale profonda (Deep Brain Stimulation, DBS) derivate dall’esperienza nel trattamento del Parkinson sono in corso di sperimentazione per la cura del disturbo bipolare. Succede anche in Italia.
Sperimentazioni preliminari su disturbi depressivi maggiori negli Stati Uniti hanno mostrato risultati incoraggianti. Alcuni soggetti, a distanza di poche settimane dall’impianto e nonostante una marcata attenuazione dei sintomi, richiedevano un ulteriore incremento della stimolazione perchè desideravano “essere di buon umore”. A fianco di discreti successi, laddove si sperimenta un (apparente) fallimento si concentrano anche i maggiori sforzi per aumentare la comprensione dei circuiti neuronali. Così, in un circolo che finora si sta dimostrando virtuoso, una volta che si è compreso abbastanza un circuito cerebrale se ne costruisce un altro in silicio per correggerne i disordini e continuare ad indagarne i segreti.
Oggi l’utilizzo di neurosensori e neurostimolatori ci sta permettendo di sconfiggere alcuni disturbi neurologici non degenerativi e di alleviare per anni i sintomi di quelli degenerativi. In un futuro non molto lontano, vere e proprie Brain-Machine Interfaces costituite da microchip cerebrali dotati di elettrodi in materiali con un più elevato grado di biocompatibilità potrebbero realizzare nei fatti una delle più grandi fantasie dell’era moderna, sempre più desiderata in un occidente che mai come oggi è in cerca di conforto dalle sue ansie.
La pillola, o forse sarebbe meglio dire il pulsante, della felicità.
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