Scienze

Sondaggi: sempre probabili mai attendibili

5 Aprile 2017

La domanda è nell’aria da sempre: ma questi sondaggi rispecchiano veramente la realtà? E come si può con un sondaggio capire dove soffia il vento per un intero paese? Lo chiediamo a Roberto Baldassari, presidente dell’Istituto Piepoli, istituto di sondaggi, ricerca marketing e consulenza, attivo in Italia dagli anni sessanta.

Presidente come nasce un sondaggio?

Ci sono differenti tipi di sondaggi. Prima di tutto vorrei fare presente una cosa ci sono delle organizzazioni internazionali che dettano regole a cui tutti gli istituti seri si attengono e aderiscono queste sono: Assirm, Esomar, Wapor . Il sondaggio per monitorare la fiducia in un leader ad esempio è dato da domande e metodologie standard e controllato da regole ferree fissate da queste organizzazioni a cui noi aderiamo. Certo avere queste certificazioni ha un costo e alcuni istituti preferiscono non aderire. Detto questo voglio precisare subito che un sondaggio è probabile in base a dei dati attendibili ma non è mai di per sé attendibile. Non c’è mai una assoluta certezza. Nascono anche dalla voglia eterna dell’uomo di conoscere il futuro e i pronostici presenti su un futuro prossimo o lontano sono mai certi? No. Detto questo i sondaggi sono prodotti richiesti da un cliente al pari molti altri presenti sul mercato. Noi dobbiamo fornire al cliente l’opinione su un determinato argomento. Sono spesso aziende che vogliono capire quanto un loro prodotto può avere successo sul mercato. Trasferito in ambito sociale sono gli istituti o i politici che vogliono comprendere invece quanto alto è il gradimento nei loro confronti.

Sinceramente non capisco come si possa dare degli orientamenti intervistando 1500 persone in un paese dove ci sono più di 60 milioni di abitanti

Certo se ragioniamo sui numeri piuttosto che sui segmenti è facile fare questo considerazione. Va capito che non possiamo intervistare ogni volta un intero paese ma dei segmenti precisi detti “cluster” che sono dei campioni. Contattiamo un numero sensibilmente inferiore di soggetti, che sono rappresentativi della popolazione del segmento di cui vogliamo conoscere l’opinione. Questa scelta del campione si basa su vari criteri a seconda del tipo di sondaggio: sesso, l’età, il grado di istruzione, la condizione professionale, residenza, e alle volte caratteristiche fisiche. Non è importante la quantità ma la qualità del campione, tanto più è rappresentativo del segmento sociale più ampio di cui si vuole conoscere l’opinione tanto più i risultati saranno credibili. Per quanto riguarda i sondaggi politici, procediamo con una clusterizzazione secondo variabili sociodemografiche standard.

Come ottenete i nominativi?

Li prendiamo da liste anagrafiche, elettorali, elenchi del telefono, dalla rete. Li intervistiamo telefonicamente o sempre tramite web. Non è semplice condurre queste interviste e anche qui mettiamo in campo personale specializzato e qualificato. Niente viene lasciato al caso. Noi arriviamo a 70mila interviste l’anno, 1500 interviste alla settimana.

Quindi ripercorriamo i passaggi un committente vi chiede un sondaggio, voi lo eseguite e poi?

Noi consegniamo la nostra ricerca al committente a da quel momento può farne quel che vuole. La ricerca non è più nostra proprietà. Quindi se lui fa opera di marketing politico gonfiando i risultati o altro non è certo una nostra responsabilità. Noi rilasciamo una certificazione e siamo sottoposti all’autorità del garante del Consiglio dei ministri, ma in un primo momento non possiamo impedire la divulgazione di dati diversi. Spesso nell’opinione pubblica sfugge questo passaggio , quello cioè tra noi e il committente e veniamo identificati come il solo soggetto interessato. Accade magari perché divulghiamo noi i dati, perché ci esponiamo noi mediaticamente, ma in realtà siamo degli esecutori di un compito affidatoci da un secondo soggetto. Alle volte i dati che vengono fuori non piacciono. Sa quante ricerche sono rimaste nel cassetto? Chiaro che il cliente deve pagarla ugualmente, ma non viene diffusa.

Quale preparazione e attitudini deve avere una persona che intende lavorare per un istituto di sondaggi?

La laurea è un requisito fondamentale. Sono importanti competenze riguardanti la statistica, l’economia, sociologia e psicologia, buone conoscenze culturali sui temi relativi all’attualità. Lo spirito di gruppo e’ una delle caratteristiche più importanti

Dicono che la mania dei sondaggi sia arrivata dall’America

Veramente i sondaggi esistono fin dai tempi dei romani. Alcuni imperatori mandavano i loro emissari in mezzo al popolo per capire gli umori dei sudditi, era la prima forma rudimentale di sondaggio. Stessa cosa per Mussolini che inviava uomini in tutti Italia perché cogliessero il clima presente nel paese. De Gaulle era un patito dei sondaggi . Li usava per questioni di secondaria importanza e per prendere decisioni di indirizzo politico. In Italia, il primo grande istituto che iniziò ad operare in materia fu la Docsa subito dopo la seconda guerra mondiale, poi istituti come il Nicola Piepoli che è nato nei primi anni sessanta. Anche il mito dell’americanata va smentito.

Può smentire il fatto che ci sono state deformazioni di questo strumento nel nostro paese?

Non smentisco perchè è vero. Del resto si sa che in Italia la politica domina su tutto e sono stati creati dei circuiti per cui si è avuta una mania dei sondaggi con dati diffusi in modo spregiudicato e personalistico . Sinceramente come le ho detto non è un nostra responsabilità, siamo supervisionati da un’autorità e non ci interessa la politica professionalmente parlando. Certo che ognuno ha le sue opinioni ma in tutta onestà non influiscono sui risultati che raccogliamo, sarebbe davvero controproducente. Le dirò di più, come sorta di controllo vicendevole un team deve essere composto da persone di diversi orientamenti politici, per non creare un gruppo di professionisti riconducibili ad una certa area. Il nostro lavoro non è la politica ma sondare il mercato per le aziende, è questa la nostra fonte di mantenimento e reddito certo. La politica rappresenta il 13% del nostro lavoro, anche se è il settore che ci dà il 100% di visibilità.

Una visibilità non sempre facile da affrontare e gestire

Esatto. Pensi soltanto alle ultime elezioni americane il clamoroso flop degli exit poll che davano Trump perdente. E’ facile sbagliare perché è un terreno scivoloso e incerto quello delle elezioni. E’ vero che non si sa mai come andrà a finire e c’è sempre una percentuale di rischio molto alta, la previsione sbagliata è dietro l’angolo. Eppure non produrre proiezioni in queste occasioni per un istituto di ricerca è come mancare ad un mondiale di calcio, sbagliare il tiro durante un mondiale significa avere per sempre una macchia sul curriculum, ecco per noi è la stessa cosa. Rischiamo molto per un guadagno minimo. Del resto ogni lavoro ha i suoi inconvenienti.

 

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