Scienze
Smascherare le menzogne dei negazionisti del virus
Nei giorni scorsi è uscito uno studio che si propone di indagare la letteratura sull’analisi costi benefici riguardante le misure di confinamento implementate dai vari stati. L’autore, fin dalle prime pagine, sostiene che l’implementazione di queste misure rimarrà nella storia come uno dei più grandi fallimenti di policy implementato in tempo di pace.
Leggendolo, non si può che rimanere sorpresi: come sia possibile che una persona possa aver condensato una tale mole di idiozie in così poche pagine rimarrà un mistero.
Basterebbe leggere le prime pagine per capire che la trattazione sarà viziata, volutamente, dall’autore. Egli infatti afferma che non prenderà in considerazione paesi come Nuova Zelanda e Australia nella sua trattazione. Questo significa non aver compreso, dopo un anno, la differenza fondamentale che intercorre tra un lockdown di eliminazione e un lockdown di mitigazione. Su questo fraintendimento, probabilmente guidato dalla malafede, l’autore costruisce la sua trattazione.
Non riporterò qui tutte le castronerie riportate nello studio. Sarebbe uno spreco del mio e del vostro tempo. Mi limiterò ad alcune parti che sono, se non folli, fortemente errate.
Partiamo da quella che è forse la più grave.
human networks are limited and this can limit the spread of the virus
Questa affermazione è falsa. L’autore parte dal presupposto, condivisibile, che i modelli SIR e affini non sono adatti a spiegare l’andamento del contagio. Non c’è dubbio che una rappresentazione aggregata- come direbbero gli economisti- possa risultare inadeguata per trattare la diffusione. I modelli si basano sull’ipotesi homogeneous mixing. Non tengono conto quindi delle differenze individuali. Per questo negli ultimi anni la trattazione si è sempre più orientata verso la diffusione su network. Questi permettono una descrizione microscopica della diffusione del virus.
Tuttavia affermare che per via della limitatezza dei virus la diffusione del virus sarà limitata dimostra totale ignoranza. Anche i modelli basati su equazioni differenziali ordinarie o su sistemi di queste hanno come limite la popolazione. Non solo: il teorema fondamentale di questi riguarda il famoso parametro Rt. Quando questo scende al di sotto di uno, la fase di espansione dell’epidemia si conclude.
Ma, passando ai network, la loro limitatezza non corrisponde a una diffusione limitata. La diffusione, infatti, dipende dalla topologia del network. Forse l’autore ha basato questa sua affermazione sul fatto che, come è, i network reali sono sparsi. Questo in alcun modo preclude l’esistenza di giant component, in cui invece il contagio scorre velocemente. Anzi, sono proprio i superspreader event a trainare l’epidemia.
L’affermazione, paradossalmente, è forse la dimostrazione teorica che i lockdown servono. Ho già scritto insieme a Lorenzo Ruffino dell’utilità del lockdown servendomi dei modelli SIR o comunque di modelli aggregati. Questo mi dà l’occasione di dare una spiegazione anche per i modelli network.
Come è ovvio, i network variano nel tempo. Se immaginiamo un network come l’insieme delle relazioni che uniscono le persone, questi ovviamente hanno un andamento variabile nel corso del tempo: un amore può finire così come un’amicizia.
Cosa fa il lockdown? Il lockdown, per usare una terminologia leggermente tecnica, spezza il network in sottocomponenti connesse. Questo sono gli stay home orders: intervenire sulla socialità delle persone per far sì che il virus possa diffondersi soltanto tra i pochi nodi che fanno parte del sottografo. Quando si afferma che il lockdown avrebbe aumentato i contagi nelle case- nonostante gli studi siano controversi sull’household transmission-questo è semmai il prezzo da pagare: i contagi in casa sono infatti facilmente rintracciabili e non danno luogo a cascate sul network.
La seconda idea dell’autore è quella del lockdown naturale dovuto a effetti behavioural. L’idea si basa, però, su un’ipotesi talmente forte che nemmeno gli economisti si sono spinti a supporla: la razionalità totale sociale. Fin dalla sua fondazione con Von Neumann la teoria dei giochi, su cui l’economia si appoggia, suppone agenti razionali. Ovvero agenti che sono in grado di valutare ed elaborare le informazioni, dando una risposta che ottimizza la loro utilità. L’ipotesi di un lockdown naturale, come quella sostenuta dall’autore, richiede che non solo gli individui si comportino razionalmente, ma che ottimizzino l’utilità di tutti gli altri agenti. Se già l’ipotesi di razionalità ha subito critiche nel corso del tempo- non solo quella di Simon o quelle di economisti non mainstream come Dosi, perfino Farhi, recentemente scomparso, cominciò ad usarne forme meni forti- quella di razionalità sociale appare totalmente esagerata. Senza misure restrittive imposte, la varietà dei comportamenti individuali avrebbe sì ridotto Rt ma non abbastanza da eliminare il virus- come invece avrebbero dovuto fare gli Stati Europei.
Si potrebbe andare avanti.
Il confronto, a livello di calo del PIL, tra Svezia e Gran Bretagna è fazioso. Paesi che hanno fatto un lockdown-seppur meno rigido rispetto ai paesi dell’Europa del sud dove il virus è arrivato prima- come Norvegia e Finlandia hanno avuto un calo del PIL nel secondo quadrimestre minore rispetto a quello della Svezia. Ma l’idea che ci sia un trade off tra salute ed economia è, ripeto, alquanto forzata. Come scrivevo ieri, quei paesi che hanno implementato lockdown di eliminazione sono tornati alla vita normale e alla crescita economica.
Il paper non considera effetti di lungo periodo come quelli che emergono dal Long Covid anche nelle persone più giovani e non tiene conto delle mutazioni che intervengono quando si lascia il virus scorrere liberamente.
Questi studi, che sono un’accozzaglia di Cherry Picking senza senso, dovrebbero causare la damnatio memoriae per l’autore, che si era già contraddistinto per commenti non del tutto progressisti sulle persone omosessuali. E invece verranno utilizzati dalla propaganda negazionista- perché di questo si tratta- per diffondere teorie anti-scientifiche riguardo al virus. L’ultima cosa di cui oggi avremo bisogno.
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