Scienze
Se i ricercatori scappano, qualche buon motivo c’è. E io ne so qualcosa
Mi e’ piaciuto molto il pensiero di mia figlia sulla questione dei ricercatori all’estero. Ilaria, ingegnere informatico è da circa dodici anni negli Stati Uniti dove si occupa di ricerca genetica al Mount Sinai di Manhattan. Il legame con l’Italia è talmente forte che la prima cosa che fa appena si sveglia, è leggersi Repubblica e altri giornali. Non si perde nulla della nostra attualità. E partecipa con vigore a tutto.
Ecco quello che ha scritto su Facebook sul lavoro dei ricercatori…
“Mi dispiace ma non avete ancora capito. I concorsi truccati esistono eccome ma sono solamente parte del problema. Per poter ottenere un finanziamento per una ricerca non basta la bravura dei ricercatori. E’ necessario anche il supporto del dipartimento in termini di spazio, strutture, macchinari e mentorship. In Italia questi finanziamenti non arrivano principalmente per questo motivo. I baroni fanno danno non solo perche’ si scelgono spesso persone incompetenti ma soprattutto perche’ instaurano competizioni all’interno dello stesso dipartimento, invece di creare un ambiente collaborativo e di supporto. Sono gli stessi che non ti mandano a fare il loro esame in Erasmus perche’: “nessuno e’ piu’ bravo di me”. Che questa ragazza si sia laureata in Italia o in olanda poco conta, quello che piu’ conta e’chi ha scommesso su di lei. E’ questo che la Giannini non capisce. Quel premio e’ andato in olanda. Ed e’ sbagliato vantarsi come se fosse andato in Italia.
Se siete cosi’ offesi da tutti noi che dopo esserci laureati in un’universita’ pubblica con i soldi di tutti, poi ce ne siamo andati, beh allora scrivete alla Giannini e fatele notare che il problema delle universita’ Italiane non e’ chi va, ma chi non viene. Perche’ mancano le risorse e il supporto (a volte anche la conoscenza della lingua inglese). Che questi baroni si scegliessero pure i candidati, ma che se ne prendessero le responsabilita’. E che smettano di buttare fondi di ricerca pubblici in dipartimenti che non producono. Anche quelli sono soldi vostri.”
Conosco tante realta’ diverse, avendo lavorato al Miur. Per diversi anni sono stata caporedattore di Atenei, la rivista del Ministero edita da LeMonnier e autrice della news letter. Conosco bene il mondo della ricerca e ho avuto modo di raccontarla anche dalla mia angolatura. Non e’ indolore veder partire un figlio sapendo che non tornerà più indietro. Ma saperla felice allevia la mancanza e per fortuna gli strumenti moderni mitigano il distacco….
“Inizia tutto con la partecipazione agli scambi culturali tra Università del progetto Erasmus. Pochi mesi in Europa che non toccano poi tanto. Con la laurea arriva l’attesa chiamata dell’Università straniera e ogni partenza diventa un distacco doloroso.
Li chiamano “cervelli in fuga”. Non sono però uno slogan, ma persone con legami affettivi che lasciano tutto per un mondo e un lavoro migliore. E troppo spesso questa nuova emigrazione intellettuale ha un epilogo: diventa definitiva.
Quel giorno in aeroporto mi chiedevo: tornerà mai indietro? Sono passati tre anni ( ora ne sono dodici) e il dottorato si è concluso. E ora? Ora c’è la ricerca del lavoro, ma lì, oltreoceano. D’altronde cosa possiamo offrire noi? Chi vuole continuare a lavorare nel proprio campo, faticosamente conquistato in terra straniera, si adatta a cambiare realtà di lavoro. Conservo gelosamente la mail del suo professore che mi scrive: sarebbe veramente un peccato se sua figlia lasciasse la ricerca, tutti le riconoscono delle doti particolari. No, mia figlia non lascia la ricerca, ma lascia l’università e quindi lascia per sempre anche il suo Paese. Il suo lavoro di ricerca, infatti, che sarà per le Aziende americane, allontana definitivamente da me la speranza che torni. L’emigrazione si è compiuta. E con essa anche la sconfitta per noi tutti.
Chi lo avrebbe mai detto che anche noi oggi avremmo vissuto le stesse esperienze e sofferenze dei genitori di un secolo fa?”
Per fortuna Ilaria non ha lasciato la ricerca e questo mi consola, pur sapendo che rimarrà sempre là. E che tanti altri che non meritano, invece sono qua.
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