Lavoro
Reddito di cittadinanza: qualche riflessione dall’esperimento finlandese
Il reddito di cittadinanza ormai è legge.
Il Ministro per lo Sviluppo Economico Luigi Di Maio ha presentato, con grande soddisfazione, misura e portale dove fare richiesta, parlando anche della platea interessata e dei soldi stanziati.
Per la verità, già sui numeri ci sono diverse questioni aperte: il leader 5Stelle parla di 1,375 milioni di famiglie interessate, per circa 5 milioni di beneficiari. I soldi stanziati per il 2019 sono poco più di 6 miliardi, però, il che porta a un contributo medio di poco superiore ai 100 euro mensili, secondo aritmetica, anche se a detta di molti esponenti del governo, invece, il reddito mensile dovrebbe essere circa di 500 euro.
Istat e Inps hanno pesantemente tagliato le stime dei beneficiari della misura, parlando di 2,7 e 2,4 milioni di individui.
Cosa saranno mai 2,5 milioni di persone in più o in meno: che faccio, lascio?
L’introduzione del reddito di cittadinanza, in ogni caso, aveva già scatenato da mesi un dibattito furioso all’interno dell’arena politica e nel mondo degli economisti, dove si fa fatica a trovare qualcuno, in verità, che sia a favore della riforma.
Gli argomenti sono davvero molti: la mancanza di coperture per una spesa sociale che andrà ad appesantire il già affaticatissimo bilancio pubblico; lo sforzo titanico di riformare le agenzie per l’impiego, oggi altamente inefficienti, necessarie al pieno successo del RdC; i molti dubbi sulla capacità del reddito di cittadinanza di modificare la struttura degli incentivi in modo tale che un disoccupato, in sostanza, cerchi più e meglio di prima un inserimento sul mercato del lavoro.
Tralasciamo poi l’opacità nella nomina di Domenico Parisi, molto probabile, a responsabile dell’agenzia ANPAL che, per l’appunto, si occupa dell’organizzazione e gestione delle agenzie per l’impiego, nonché i forti dubbi legati al ruolo che avrà l’economia sommersa (che vale qualcosa tra il 15% e 20% del PIL italiano, in base alle stime) nel generare effetti potenzialmente perversi, quali ad esempio il caso di persone che già lavorano in nero e che saranno ancora più incoraggiate a rimanere nell’ombra mentre, in via ufficiale, percepiscono il reddito di cittadinanza.
Mentre noi parliamo e pubblichiamo articoli su articoli, animati dal più cordiale disprezzo l’uno nei confronti per l’altro, arriva però dal Nord Europa una notizia, e soprattutto il risultato di uno studio, che potrebbe un po’ gelare l’atmosfera dalle parti del Palazzo d’Inverno dei 5Stelle.
In Finlandia, infatti, si è conclusa dopo 2 anni la sperimentazione di una misura di reddito minimo che potremmo considerare davvero ‘di cittadinanza’ (quanto meno rispetto a certe condizioni) e che ha suscitato grande attenzione in tutto il mondo.
In che cosa è consistito?
Per 2 anni, 2000 disoccupati di lunga durata e giovani disoccupati, scelti casualmente (la randomizzazione, si ricorda, è elemento imprescindibile di un esperimento ben congegnato) all’interno della popolazione, hanno fatto parte del gruppo di ‘trattamento’, in cui il trattamento stesso consisteva in una misura di reddito, pari a circa 560 euro mensili, versati a ciascuno delle persone coinvolte per due anni continuativamente.
Premessa: lo stato sociale finlandese è già, come è tradizione dei paesi nordici, molto ricco di strumenti di sostegno al reddito. L’esperimento, dunque, attecchiva su un terreno fertile e l’obiettivo del governo, più che introdurre una misura radicalmente diversa dalle esistenti, era quello di provare a ristrutturare il welfare in funzione dei nuovi bisogni e delle trasformazioni del mercato del lavoro.
In Finlandia, fino ad oggi, i disoccupati di lunga durata erano già coinvolti in programmi di ricerca attiva del lavoro e percepivano sussidi condizionati, appunto, a questa ricerca.
Inoltre, i programmi di reddito di inserimento erano e rimangono means-tested, che vuol dire che se una persona guadagna 1 euro lavorando, ne perde 1 di reddito di inserimento. Facciamo un esempio ancora più chiaro: se si ha uno stipendio di 1000 euro al mese, non si percepisce più il reddito di inserimento perché si è appunto superata la soglia che dà diritto ad usufruirne.
Ecco, la sperimentazione del governo finlandese, per i 2000 disoccupati coinvolti, ha eliminato queste due clausole (se vogliamo, non troppo diverse dalle misure che impone il reddito di cittadinanza italiano), il che significa che per i 2 anni della sperimentazione i disoccupati hanno percepito 560 euro al mese senza condizioni, nè di ricerca attiva del lavoro nè legata al dover dichiarare extra-guadagni che potessero erodere il diritto al sussidio.
Piccola nota polemica a margine: questo sì che è qualcosa che si avvicina a un reddito di cittadinanza per i soggetti coinvolti.
Si tratta di una sperimentazione seria e rigorosa (una delle più rilevanti a livello mondiale su un tema tanto delicato) che mostra una volta di più quanto il silenzio e il rigore scientifico, in certe sedi, siano necessari come il pane per la credibilità di una politica pubblica.
Il risultato che si voleva osservare era il seguente: i disoccupati che percepiscono il reddito, alla fine dei 2 anni, trovano lavoro con maggiore probabilità rispetto a tutti gli altri disoccupati finlandesi, che rappresentavano il gruppo di controllo?
Detto in soldoni: la carota funziona più del bastone nel modificare gli incentivi per la ricerca del lavoro?
Heikki Hiilamo, professore di Social Policy dell’Università di Helsinki e responsabile scientifico dell’esperimento, mostra risultati preliminari in cui la risposta è: NO.
Non c’è una differenza statisticamente significativa, dunque, nella probabilità di trovare lavoro per un disoccupato che percepisce il reddito di cittadinanza finlandese e gli altri disoccupati.
In prima istanza, sembrava che, per lo meno, i percettori di reddito mostrassero un maggior benessere soggettivo, ma anche questi risultati sembrano non affidabili dopo un attento scrutinio degli statistici, perché legati a profonde distorsioni nell’inchiesta tesa a studiare questa dimensione.
Per riassumere: non si trova lavoro più facilmente e neppure si è più felici.
Si tratta di risultati interessanti, per tanti versi. Il primo è che, probabilmente, all’interno di una certa popolazione (disoccupati di lunga durata e giovani) a contare di più non sono le misure di sostegno al reddito e la loro entità, ma la riqualificazione professionale e la formazione di competenze, oltre alle condizioni di salute che sono fondamentali per poter giocarsi tutte le cartucce sul mercato del lavoro.
Ma la riflessione che vorrei fare qui è un’altra: quello che il caso finlandese ci può e ci deve trasmettere è un esempio di buona Politica, proprio con la maiuscola. Di un governo (per la cronaca, ora governa la coalizione di centro-destra del premier Sipila, dopo decenni di socialdemocrazia) o, meglio, di una classe di rappresentanti dei cittadini che si affida alla scienza per la misurazione imparziale, trasparente e rigorosa degli effetti di un intervento pubblico.
Cercate di cogliere la naturalezza di alcuni aspetti: si promuove una misura di sostegno al reddito ma la si sottopone a una sperimentazione.
Quella sperimentazione dura per 2 anni e, durante l’intero periodo, non si fa caciara da una parte e dall’altra: si aspettano i risultati perché solo quelli potranno fornire validi argomenti all’una o all’altra ipotesi. Anzi, si mette a tacere consapevolmente ogni querelle tesa a minare i risultati dello studio.
Si risparmiano, infine, parecchi denari, perché testare una misura su una sotto-popolazione, qualora i risultati non fossero soddisfacenti, significa poter destinare le risorse a un altro impiego.
Penso a tutto ciò con sincera ammirazione e una bella punta di invidia, perdonatemi: in fin dei conti è il semplice civismo di una nazione i cui cittadini si riconoscono parte attiva di una comunità.
Ma torniamo a occuparci del nostro tinello e dei fatti di cosa nostra, dove una tradizione millenaria di cazzari ci offre un pasto completo e l’ammazzacaffè a base di rancore.
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