Partiti e politici

Psicodemocrazia. Quanto l’irrazionalità condiziona il discorso pubblico

22 Settembre 2016

Riceviamo e pubblichiamo un estratto della prefazione di Angelo Panebianco al libro di Gabriele Giacomini dal titolo Psicodemocrazia. Quanto l’irrazionalità condiziona il discorso pubblico, Mimesis Edizioni, Milano-Udine 2016.

Le più fini menti sociologiche tra fine ottocento e primo novecento, da Max Weber a Joseph Schumpeter, lo avevano compreso e ne avevano tratto le conseguenze: il cittadino informato e razionale immaginato dalla teoria democratica classica, colui che fa scelte politiche a ragion veduta, dopo avere considerato e soppesato le diverse alternative, non esiste. Poiché il cittadino-elettore è vittima del suo disinteresse per la cosa pubblica, della sua ignoranza e dei suoi stereotipi, spinto da passioni “calde” anziché da freddi ragionamenti, l’unico modo per salvare il salvabile degli ideali democratici era, per quelle menti, ridefinire in chiave realistica la teoria della democrazia: la democrazia altro non era, né poteva essere, che il luogo del confronto e della competizione fra élites impegnate a disputarsi il voto di elettori su cui il richiamo emozionale fa normalmente più presa delle proposte e dei ragionamenti programmatici.

Le ricerche empiriche sugli atteggiamenti e i comportamenti degli elettori condotte dai politologi statunitensi a partire dagli anni venti/trenta e in seguito anche dai politologi europei diedero nuova linfa, offrirono le indispensabili pezze d’appoggio a quei teorici – da Robert Dahl a Giovanni Sartori, da Raymond Aron a Norberto Bobbio – che scelsero di continuare l’opera dei fondatori della teoria realistica della democrazia.

Ma davvero, una volta accertata la debole razionalità dei cittadini-elettori, non c’è nessun spazio per interventi che, senza poterli eliminare, siano almeno in grado di arginare o mettere sotto controllo gli aspetti più irrazionali del funzionamento delle democrazie? Non ne è convinto Gabriele Giacomini, l’autore di Psicodemocrazia: quanto l’irrazionalità condiziona il discorso pubblico (Mimesis Edizioni, 2016). Giacomini è un filosofo politico che sa muoversi sapientemente all’interno di vari filoni disciplinari e che qui utilizza al meglio le risorse intellettuali offertegli dalla psicologia sperimentale, dalla scienza politica e dalla teoria normativa della democrazia.

Il suo punto di partenza è il divario fra l’attore tratteggiato dalla teoria della scelta razionale e le persone in carne ed ossa così come vengono fotografate, nei loro atteggiamenti e comportamenti, dalle ricerche sia di survey sia sperimentali. Nella più celebre e pionieristica applicazione della teoria della scelta razionale al comportamento degli elettori delle democrazie, nel 1957, l’economista Anthony Downs disegnava un elettore razionale, calcolante, capace di fare scelte alla luce delle sue preferenze programmatiche. Anche se quella di Downs era una teoria normativa, il distacco tra le prescrizioni della teoria e i comportamenti effettivi dei cittadini-elettori risultò assai ampio alla luce delle conoscenze che le ricerche empiriche andavano accumulando. Giacomini prende in considerazioni due fasi distinte. In una prima fase le ricerche, condotte prevalentemente da politologi e da sociologi nella prima metà del XX secolo, mostrarono che i fattori che maggiormente incidevano sulle scelte degli elettori erano le loro propensioni latenti (largamente inconsapevoli), l’identificazione di partito, l’influenza dei leader d’opinione. Già queste ricerche ebbero l’effetto di “derazionalizzare” l’elettore. Era chiaro che gli elettori non corrispondevano affatto all’ideale del cittadino consapevole e informato.

La seconda fase delle ricerche è quella dominata dalla psicologia cognitiva. Alle surveys delle ricerche sociologiche e politologiche precedenti viene ora sostituito l’esperimento. Le evidenze sperimentali accumulate delineano un quadro piuttosto chiaro: alla razionalità “olimpica” (come la chiama Herbert Simon) della teoria della scelta razionale dobbiamo sostituire la razionalità limitata, soggetta a forti vincoli cognitivi e informativi, delle persone in carne ed ossa. Euristiche (scorciatoie cognitive), effetti framing o cornice (le scelte variano a seconda di come i problemi vengono presentati), bias dominano il comportamento. Una delle più celebri teorie cognitiviste, la “teoria del prospetto”, come Giacomini sottolinea giustamente, mostra bene il divario fra i comportamenti quotidiani e la concezione standard della razionalità. La conclusione però non è che le persone siano irrazionali. Piuttosto, appare plausibile la concezione dualistica che distingue fra due processi mentali, il primo dominato dalle emozioni e largamente inconscio, e il secondo caratterizzato dal calcolo razionale. Entrambi i processi influenzerebbero i nostri atteggiamenti, i nostri giudizi e i nostri comportamenti.

L’evidenza empirica deve farci concludere che la democrazia è impossibile e che è necessario sostituirla con la tecnocrazia? Come osserva Giacomini in Psicodemocrazia questa idea va incontro a due obiezioni. La prima (sostenuta da Bobbio e dagli altri fautori della teoria realistica della democrazia) è che, comunque, la democrazia serve a tutti, anche in assenza del cittadino-elettore informato e razionale, perché consente il ricambio pacifico nei ruoli di governo, consente di impedire o di ostacolare la formazione di oligarchie chiuse e inamovibili. La seconda obiezione è che la tecnocrazia è una pseudo-soluzione: gli esperti, i tecnici, sono certamente utili anche in una democrazia in virtù delle loro competenze specifiche ma è anche accertato che, come tutti gli altri, sono vincolati dalla razionalità limitata.

Giacomini però non si ferma qui. Pensa che si possa andare oltre le indicazioni della teoria realistica (o minima) della democrazia. È noto che alla teoria realistica si è sempre contrapposta la teoria detta dialogica (il cui più celebre proponente è Jurgen Habermas). L’idea è che, tramite il dialogo, sia possibile costruire forme di consenso razionale sulle decisioni pubbliche. Con cautela Giacomini sottoscrive l’idea della democrazia dialogica. Ma la pensa, alla luce delle conoscenze empiriche accumulate, come una democrazia dialogica imperfetta, nella quale si tratta di accrescere un po’ il tasso di razionalità delle decisioni anche sapendo, però, che ciò è possibile solo entro certi limiti.

Proporre nuove idee in tema di democrazia richiede conoscenza e padronanza della dottrina, della teoria politica democratica, nonché dei risultati delle ricerche, empiriche e sperimentali, accumulate dalle scienze sociali. Giacomini mostra in questo libro di sapere maneggiare questi diversi materiali con perizia e creatività.

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