Geopolitica
Pólemos: così la guerra fa da schema al nostro discorso pubblico
L’esercizio diagnostico su Putin rischia di essere non solo deludente e culturalmente povero, ma potrebbe addirittura portare a conclusioni pericolose per la credibilità stessa della psicologia clinica. Non è di alcun interesse scoprire che l’uomo dei topi possa avere un disturbo narcisistico di personalità, che sia incapace di provare empatia, che in lui alberghino desiderio di rivalsa e di dominazione. Questo tipo di analisi potrebbe anzi far scoprire che tratti psicopatologici accomunano molti leader, che l’incapacità di immedesimarsi negli altri sia addirittura una qualità in politica, così come il tradurre cinicamente ogni relazione, interazione, persona e anima in voti e accrescimento di potere.
Decisamente più rilevante è invece imbastire una lettura in termini di psicologia sociale, spostando l’attenzione sui percorsi di senso attraverso i quali il potere diventa relazione sociale, sulle démarche interpretative lungo le quali due popoli in partenza affini si trasformano in aggressore e aggredito, sul come lo schema della guerra, per usare le parole di Flavio Lotti, si trasforma nello schema di polarizzazione dell’opinione pubblica.
L’antitesi alla propaganda dovrebbe essere la pura e semplice esposizione dei fatti nella loro completezza ovvero la descrizione della realtà nella sua interezza. La Russia è al 150º posto nel World Press Freedom Index, mentre i Paesi europei e gli Stati Uniti si collocano per la maggior parte entro i primi cinquanta posti; il dato connota la contrapposizione tra Russia e Occidente come propaganda vs verità, e la memoria dell’assassinio di Stato di Anna Politkovskaja conferma lo schema: Russia sta a Occidente come propaganda e totalitarismo stanno a verità e libertà.
Lo schema, tuttavia, pur nella sua pulizia, non tiene sempre. Gli Stati Uniti nel 2019 figuravano in cima a un elenco di 70 Paesi in cui la rete risultava essere manipolata, attraverso campagne di disinformazione avviate da politici e riecheggiate da influencer; anche l’Italia è rientrata nel medesimo elenco. Secondo la logica del paradosso della tolleranza, il campo della stampa libera e della libertà in generale risulta pieno di insidie, l’agire libero è un agire insicuro, “apertura” significa lasciare una porta di ingresso a notizie false, gruppi di troll, informazione-spazzatura; e se è vero che in questo senso l’influenza russa è notevole, è altrettanto corretto però non dare la colpa solo ai bot asiatici: sono occidentalissimi i politici che si lasciano affascinare dai valori di ordine, controllo, quadratura, efficacia espressi dal presidenzialismo putiniano. Nel loro discorso lo schema diventa: Occidente sta a disordine come Russia sta a ordine.
Le analogie sono un modo molto potente per veicolare rapidamente pensieri, riflessioni, argomenti. Se n’è occupato abbondantemente Keith Holyoak a partire dagli anni ‘80, identificando la struttura analogica come un dispositivo inferenziale rapido e, all’apparenza, infallibile, in quanto capace di imporre alla realtà schemi interpretativi invisibili e potentemente realistici. In un lavoro del ‘92 l’Autore si domandava: “Se Saddam è Hitler, allora chi è Bush?”. All’epoca, gli Stati Uniti cercavano di giustificare l’intervento militare in Iraq, in seguito all’invasione da parte di Saddam Hussein del Kuwait. La risposta alla domanda, tuttavia, non era univoca, bensì dipendeva da come si riempisse il vuoto nell’analogia: se Bush era come Churchill, allora gli Stati Uniti si stanno difendendo da una minaccia, ma se era come Roosevelt allora stavano attaccando con piglio imperialistico, portando a valutazioni morali opposte del medesimo fatto.
Putin è come Hitler. Ha invaso l’Ucraina, che in questa analogia sta al posto della Polonia; e l’Occidente pacifista che fa? Sta a guardare, percosso e attonito, come fecero gli Alleati all’inizio della Seconda Guerra Mondiale, quando ancora era possibile prevenirne lo scoppio. L’Italia, in particolare, oggi appare rammollita, come la Francia degli anni ‘30, che onorando la propria liberté assistette passiva all’invasione; oppure, cambiando schema analogico, l’Italia è come l’Italia fascista, che con Putin deve avere il coraggio di allearsi, fosse anche solo per evitare le ricadute delle sanzioni. E non mancano ulteriori torsioni dello schema analogico. Sulle colonne de Il Giornale si definisce Putin come Stalin, ma se fosse così Zelensky sarebbe come…? Come l’Occidente, minacciato dal serpeggiante comunismo illiberale. D’altro canto, Putin, dal canto suo, non manca di paragonare l’Occidente a Hitler, il che pone la Russia dalla parte dei Paesi liberi che desiderano autodeterminarsi, o addirittura dalla parte dei popoli perseguitati.
Le analogie sono strumenti di comunicazione potenti, capaci di forgiare il ragionamento e di conferire una parvenza logica totale a tutto il percorso che dalle premesse va alle conclusioni; sono altresì insidiose, in quanto le premesse su cui si fondano (del tipo “X è come Y”) sono difficili da confutare, dal momento che si basano su un vago criterio di somiglianza; secondo lo storico David Lowenthal le analogie sono efficaci nel semplificare uno scenario di politica estera, riconducendolo a dicotomie che si saldano in modo arbitrario. In questo senso il mondo della comunicazione in tutta la sua estensione – dal giornalismo al social media management, dagli influencer ai formatori – ha grosse responsabilità, e nel parlare di guerra dovrebbe essere consapevole del fatto che il pensiero analogico è buono per la propaganda, ma non per la riflessione critica.
«Non dimenticatevi che siamo in guerra», affermava Joe Biden mentre prendeva corpo la campagna vaccinale. La guerra, pólemos, sta emergendo come grande metafora che permea la contemporaneità; la matrice di ogni narrazione; il criterio che guida e orienta le scelte politiche; la grande curva storica di cui ogni storia singolare è la derivata. In tal senso, potrebbe giovare l’uscita dalla dicotomia buoni vs cattivi, che fa da sfondo a tutta la produzione incessante di analogie, e interrogarsi su cosa ci sta rivelando del nostro tempo questa guerra.
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