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Paguro e le altre: quando le piattaforme off-shore diventano oasi marine
Nel 1965, 12 miglia a largo dalla costa di Ravenna, la piattaforma metanifera off-shore Paguro esplose ed affondò, andando ad adagiarsi interamente sul fondo del mare. Abbandonato a sé stesso sul fondo marino fangoso dell’Adriatico, nel giro di pochissimi anni, il relitto, da ricordo sommerso di un incidente, si è trasformato in una vera e propria oasi biologica sommersa, colonizzata da tantissime diverse creature marine e pesci di ogni tipo. E così, subito divenne meta per i subacquei sportivi, in virtù dell’eccezionale ricchezza di vita marina che aveva trovato il modo di svilupparsi in quell’inedito reef artificiale, protetta dalle reti dei pescatori. Il 10 febbraio del 2010, con Legge Regionale, l’Emilia-Romagna ha istituito ufficialmente il relitto della piattaforma Paguro quale primo Sito di Importanza Comunitaria marino regionale all’interno della RETE NATURA 2000.
L’Adriatico è un bacino biologicamente fertilissimo grazie sia ai nutrienti portati dal Po sia alla sua conformazione geomorfologica. I fondali sabbiosi e fangosi non consentono, però, agli organismi marini di attecchire e fissarsi, e quindi di creare comunità biologiche fisse e stabili, e non permettono la creazione di comunità complesse di organismi. E’ stato osservato, quindi, che le piattaforme estrattive off-shore costituiscono un habitat ideale, grazie al quale la vita marina può crescere e proliferare. In alcuni casi queste ultime possono diventare delle vere e proprie oasi di ripopolamento della fauna marina, una scogliera artificiale che aiuta l’aumento di biodiversità diventando un vero “hot spot”. La struttura complessa della piattaforma, costituita da balaustre, scale, tralicci, consente un’ottima circolazione dell’acqua; l’elevato rapporto tra superficie e volume consente, inoltre, la colonizzazione di organismi sessili, che a loro volta diventano cibo per molte specie ittiche, che vanno così a popolare l’area. La struttura fornisce differenti habitat a diverse profondità, consentendo una stratificazione di specie a diversi livelli.
Per questo motivo, Eniscuola, in sinergia con il Distretto Centro-Settentrionale Upstream di Eni e in collaborazione con la Fondazione Eni Enrico Mattei (FEEM) e la Fondazione Onlus Cetacea per la parte didattica, ha realizzato il progetto Vita in piattaforma con l’obiettivo di avvicinare i più giovani alla biologia marina attraverso attività di educazione ambientale e divulgazione naturalistica alla scoperta delle forme di vita nell’Adriatico.
«Dobbiamo immaginare l’Adriatico come una grande vasca in cui gira di tutto. Se mettiamo qualcosa di solido all’interno del mare le uova e le larve che circolano vi si attaccano e crescono. Si crea pertanto un habitat diverso da quello tradizionale sul fondale, e a noi uomini più facile da osservare», afferma a Gli Stati Generali il professor Luca Vignoli che ha studiato ed elaborato proprio un progetto in cui propone il riutilizzo delle piattaforme metanifere ENI off-shore in via di dismissione attraverso il loro posizionamento sul fondo marino adriatico, al fine di creare una rete di oasi naturalistiche marine artificiali subacquee a tutela della biodiversità marina, utilizzabili anche come parchi sommersi di sviluppo turistico subacqueo, naturalistico e sostenibile.
«Le piattaforme – continua Vignoli – (che siano funzionanti o meno), come i relitti delle navi, o i reef artificiali posizionati sul fondale sono un’attrazione per la vita marina. Più il substrato è complesso poi, più c’è biodiversità. E le piattaforme sono strutturalmente complesse. Pensiamo inoltre al fatto, che, per esempio, gli impianti offshore di Eni nel Mare Adriatico sono dedicati alla produzione di gas naturale, la più sostenibile tra le fonti fossili. Certamente il discorso dell’inquinamento è delicato ed è giusto non abbassare la guardia, ma noi mangiamo le cozze che crescono sulle loro piattaforme e le analisi ci dicono che sono a posto».
Nella primavera del 1997 è stato attuato un primo progetto per il riutilizzo di piattaforme off-shore dismesse al fine di incrementare il “reef artificiale” del relitto del Paguro, all’interno della “zona di tutela biologica”. Sul fondo marino, sono state posate, ad un centinaio di metri dal relitto, 5 tralicci di sostegno off-shore dismessi dall’ENI-Agip come da progetto approvato dal tavolo di tutti gli Enti interessati (tra cui la Capitaneria di Porto, la Regione Emilia-Romagna, i vari Ministeri, ecc…). La zona di influenza biologica marina è diventata pertanto ecologicamente più estesa, e con essa il suo valore di tutela della biodiversità biologica marina ancor più elevato. Le immersioni sono aumentate, portando a Ravenna subacquei da tutto il mondo.
https://www.youtube.com/watch?v=Smb-R3VzZO4
Attualmente in mare Adriatico sono attive molte piattaforme di estrazione metanifera off-shore. Se all’atto della loro dismissione esse verranno tutte trasportate a terra e poi smantellate, tra 20-30 anni al posto delle piattaforme ci saranno altrettanti residui di buchi nella sabbia; se invece si seguisse l’esempio del relitto Paguro, oggi parco marino, tra qualche decina di anni potremmo avere 80 oasi marine di ripopolamento biologico talmente vicine da poter creare una vera, e preziosissima, rete ecologica marina, fruibile turisticamente.
Secondo quanto affermano esperti biologi e subacquei le piattaforme, quindi, non sono così dannose e nocive per la vita marina, per la pesca e persino per il turismo in secondo luogo. Tanto che il presidente dell’Associazione Paguro, Giovanni Fucci, che da 20 anni gestisce ed organizza le escursioni subacquee al relitto della piattaforma Paguro, progetti di studio, monitoraggio e ricerca scientifica sul relitto stesso, nel mese di febbraio, ha scritto una lettera contro “la demagogia e le falsità sulle piattaforme offshore”.
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