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Oblivion soave
Se fossi sicuro di dover condividere l’immortalità con certa gente, preferirei un oblio in camere separate.
(Karl Kraus)
Ieri parlavo di memoria. Oggi ve ne riparlo, in forma un po’ varia, ma sotto un altro aspetto. Che è il suo esatto opposto, l’oblio. I due poli hanno molti più punti in comune di quanto si pensi, e spesso si scambiano i ruoli, soprattutto nella nostra società contemporanea, dove tutto va a una velocità sempre più frenetica, tanto da superare le barriere biologiche dell’uomo. E già, perché non si deve assolutamente dimenticare che l’uomo è una bestia e quindi ha dei ritmi biologici a cui deve comunque sottostare: l’alternanza di luce e oscurità, l’attività e il riposo, i pasti, i bisogni fisiologici. Tutto ha un suo ritmo e tutto si espleta in una giornata che ha solo ventiquattro ore, ne una di più né una di meno.
Il secolo breve ha lasciato il passo al secolo ipercinetico, dove ognuno corre a perdifiato, spesso inutilmente, per raggiungere standard di vita (il cosiddetto successo) per molti irraggiungibili, solo per pochi raggiungibilissimi e illusoriamente prossimi ai molti di prima. E del secolo ipercinetico, di cui siamo solamente al primo ventennio, è già difficile calcolarne la velocità, anche perché va e viene, ci sono black out imprevisti in cui si ferma ogni cosa, come la recente pandemia ancora in corso e una guerra apparentemente locale che invece condizionerà il futuro energetico di tutti: fermarsi diventa un problema enorme, perché costringe all’immobilità interi continenti. I fautori del no vax, no questo, no quello e manco quell’altro sono gli schiavi di quell’ipercinesia che fermi proprio non ci vogliono stare, si sentono in trappola, arrivando addirittura a dire che c’è la dittatura sanitaria, forse perché in una vera dittatura non hanno mai vissuto e quindi aprono la bocca lasciando libere le loro stronzate di invadere l’etere e molestare le orecchie di chi invece capisce la gravità, anche perché magari ha perduto parenti e amici, e cerca di adattarsi per come può.
L’ipercinesia sembra avere come motore la tecnologia, sempre più invadente, benefica e malefica al contempo, sempre la solita storia dell’uso della scienza da parte del potere. Ma la tecnologia di questi ultimi trent’anni è veramente qualcosa di diverso rispetto alla precedente. Il controllo totale attraverso la rete, già prefigurato in romanzi distopici verso la metà del Novecento, oggi è realtà. Ciò ha permesso anche di sgominare, quando si è voluto, bande di mafiosi, controllando con droni, tabulati telefonici, microfoni, nei punti critici. Questo significa che, se si volesse, si potrebbe fare sempre e in ogni momento e che le mafie avrebbero veramente finito di esistere. Se si volesse, appunto. Molti governi colle mafie ci vanno a braccetto, noi ne abbiamo avuto alcuni, esternamente tutti brillantini e ballerine, internamente labirintici e avviluppati alla malavita organizzatissima. Erano soprattutto di destra ma a volte sono spesso coinvolti anche personaggi di sinistra o di centro. Quindi non stupiamoci se le discariche in Sicilia (e non solo, perché al Nord, che si fregia di essere lindo e pinto, i legami dei governi regionali colle mafie locali fanno parte della famosa devolution, d’altro canto la “famiglia” è sempre uno dei punti di forza della società italiana) sono ancora in mani mafiose, c’è evidentemente una volontà precisa di non molestare gli affari perché colla tecnologia odierna si potrebbero scoprire tutti i movimenti sospetti. Basta saper e voler armeggiare coi tasti, pensa un po’. Ormai si riescono perfino a scoprire città precolombiane nella giungla americana figurarsi operazioni che avvengono alla luce del sole. Meglio obliare.
Ma non è questo il punto su cui voglio soffermarmi oggi.
La tecnologia portatile di cui l’uomo del secolo ipercinetico dispone ha rivoluzionato i suoi movimenti, esaltandoli da un lato, riducendoli, paradossalmente, da un altro. Se in un periodo di fermo totale come nel 2020-21 questa tecnologia ha permesso alla gente di sopravvivere, agli studenti di recuperare, almeno un po’, il tempo sottratto allo studio quotidiano dal vivo, di ordinare a domicilio la spesa e di offrire un servizio di spedizioni ovunque, dall’altro ha reso visibili i pericoli insiti in un uso continuato della stessa tecnologia, soprattutto per i più giovani.
Il telefono portatile ha sostituito la socialità, soprattutto attraverso le reti sociali: facebook, instagram, tweeter, telegram, eccetera. I giovanissimi, che sono nati col cellulare nella culla, non si accorgono che i rapporti umani si possono creare più sanamente in un’altra maniera (anche perché molti genitori non glielo hanno nemmeno spiegato, abbandonandoli agli schermi voraci per farsi i cazzi loro) e se il cellulare non funziona o è scarico si sentono perduti, perché non funzionano nemmeno le mappe. Non studiando più la geografia, materia obliata perché oggi si usa così, e non sapendo nemmeno che forma hanno la propria città e i dintorni perché tanto ti ci porta google map, se tutto è oscurato è il panico. Col telefono scarico non c’è nemmeno l’accesso a Wikipedia, fonte principale della sapienza quotidiana, non serve più neanche studiare perché tanto Wikipedia ti dice tutto. Anche cogli errori, non importa, è il vangelo.
Ma il pericolo più grande non è nemmeno questo. La bidimensionalità del mezzo ha fatto sviluppare una tendenza già accentuata a una visione binaria del mondo. Le reti sociali ne hanno la principale responsabilità perché, alla fine di qualsiasi messaggio o foto o video postato dal titolare del profilo, gli utenti lettori possono, se vogliono, lasciare un pollice in alto o un pollice verso, mi piace o non mi piace, approvo o non approvo. Non ci sono altre opzioni, ossia sì, mi piace, però forse questo lo avrei detto diversamente. No. O mi piace o non mi piace. Addirittura si può cancellare ogni traccia, con un clic. L’oblio perpetuo.
Questa tendenza a una visione binaria del mondo si è venuta a innestare su un campanilismo e una tifoseria molto tipici non solo degli italiani, ma che in Italia sono particolarmente accentuati. Tutto, ormai, è una tifoseria continua. La politica innanzitutto, dove qualsiasi stronzata postata dal politico di turno, spesso di pancia, nemmeno riflettuta, o, se invece riflettutissima dai manager e consiglieri di quei politici, che nel web ci vivono, ancora più grave perché intenzionalmente rivolta ai tifosi, ha un peso enorme, influenzando i dibattiti nel sistema mediatico e tra la gente comune, spesso aumentando l’aggressività e l’arroganza tipica delle tifoserie. Il giorno dopo se ne parlerà ancora e poi cadrà nell’oblio, il politico si meraviglierà e dirà: “ma io questo non l’ho mai detto”, anche perché, nel frattempo, magari lo staff ha provveduto a cancellare la corbelleria o la provocazione. Ecco come la memoria s’intreccia all’oblio, con disinvoltura.
Un tempo come questo l’uomo non l’aveva mai vissuto, a meno di non credere a certi presentatori di Focus che ipotizzano che creature terrestri ma di origine extraterrestre di centomila anni fa avessero già raggiunto tecnologie per noi inarrivabili. Lui ci crede, ci crede anche Red Ronnie, la cui parodia fatta da Crozza è semplicemente geniale, e pochi altri squinternati.
Il mi piace e il non mi piace è infido. Basta un pollice in su o in giù per sentirsi protagonisti delle più colossali sciocchezze e si sa che se una sciocchezza diventa condivisa da più persone e viene ostentata e propagata poi diventa addirittura verosimile e, per molti, addirittura vera. La beffa delle sirene che esistono fu creduta per vera dalla deputata delle Cinque Stecche, ne ho parlato qualche giorno fa. Le minchiate dette da Trump sono diventate ordini da seguire acriticamente per un’orda di dementi “patrioti” e “sciamani” che ha assaltato il Congresso USA.
La veridicità non è più importante, l’importante è apporre il proprio assenso o il proprio dissenso, perché è visto (meglio dire è confuso) come un diritto della nostra democrazia, se un post mi piace io devo poter esprimere che mi piace o no, senza neanche bisogno di scrivere qualcosa a commento, anche perché magari non ne sarei capace. Il pollice in su o in giù è molto più comodo e, soprattutto, anonimo, così non si rischia di essere linciati ma nel contempo mostra la mia presenza invisibile e un orgoglio privato nell’aver contribuito al successo o all’insuccesso di quel post.
L’essenza di questo atteggiamento nevrotico si traspone in ogni minima manifestazione della vita quotidiana. Per i giovani soprattutto, perché nati con questa realtà virtuale, peraltro in una scuola dove ormai i quiz hanno la meglio sul componimento in lingua: addirittura gli studenti si sono lamentati perché quest’anno sono tornati gli scritti agli esami di MATURITÀ! Avendo giocherellato tutto l’anno col telefono intelligente o il computer ormai erano disabituati a scrivere civilmente anche un solo pensiero degno di questo nome. Questo sarà un danno permanente che affliggerà tutti nei prossimi anni perché, possibilmente, questi giovani occuperanno posti di lavoro e magari si dovranno occupare di pratiche pubbliche che riguarderanno me, voi che leggete e persone, magari più anziane, che sono abituate a tutt’altra forma mentale. E che magari lottano contro il nonsenso.
L’ipercinesia di questi giovani, che sembrano velocissimi a smanettare su tastiere di qualsiasi tipo, dal telefono intelligente ai computer, dalle play station ai telecomandi, non implica che ciò che facciano velocemente abbia un reale valore assoluto. E abbiamo visto che se la batteria è kaputt resta poco da fare. Tutto consegnato all’oblio.
Ormai anche una cena da amici risulta fastidiosa, almeno per me, perché accanto alle posate deve trovar posto il telefono, che inevitabilmente vibra, squilla, emette parossistici bip bip, e la gente non si guarda più negli occhi né è più capace di parlare. Io questo mondo non lo voglio. Anch’io uso la tecnologia ma ho voglia anche di incontrarmi colle persone, ridere, scherzare senza questa presenza incombente del telefono.
Che, per carità, ha anche lati molto positivi, soprattutto nelle emergenze, perché si può segnalare dove ci si trova in caso di bisogno di aiuto, oppure mostrare a casa se il prodotto che si cercava al supermercato è proprio quello, oppure anche condividere un tramonto. Molti lo usano per condividere concerti, opere liriche, eventi, magari in luoghi dove si prega di tenere i telefoni spenti. Nulla, c’è sempre il cretino che lo lascia acceso, anche per usarlo per riprendere abusivamente, e il telefono squilla, magari in un pianissimo del violinista o del cantante.
Diciamo che una tecnologia che si è diffusa così rapidamente, e che è sempre più veloce, è difficilissima da gestire, e lo sarà sempre di più, perché è già entrata dentro il costume dell’uomo contemporaneo. Il diavolo fa le pentole… Il video inconsapevole di una ragazzina che magari dà un bacio a un ragazzo n. 2, inviato al ragazzo n. 1 da un anonimo o da un “amico”, può scatenare impulsi omicidi nel ragazzo n. 1. Lo abbiamo visto cosa può succedere. La visione binaria della realtà attraverso questa tecnologia è uno dei più grandi problemi sociali che dovremo affrontare prossimamente, anche perché, essendo in corso, non sappiamo realmente che effetti produrrà. Alcuni, nefasti, già si vedono. Ma soprattutto accentuerà quest’orribile dualismo del mi piace e non mi piace senza argomentare.
Probabilmente anche per questo soprattutto le destre, che si nutrono e comunicano per slogan sui social, a cui si appongono i pollici in su e in giù, hanno la meglio su un popolo ormai assuefatto e acritico.
P.S. Questa nuova forma mentale del mi piace e non mi piace, in questo caso camuffata da coscienza critica, o proposta come tale, l’ho vissuta personalmente in una recente scheda di lettura del XXXV Premio Calvino a cui ho partecipato con un romanzo. Il compilatore (o compilatori, o compilatrice), peraltro anonimo, non ha fornito una vera scheda di lettura. Ha semplicemente scritto, in maniera assolutamente superficiale e distratta, senza capire i nessi tra i personaggi, i dialoghi, la vicenda, cosa gli piaceva e cosa non gli piaceva, come se avesse letto un altro libro. Assolutamente superflua, non serve a nulla, tempo buttato via per lui e soldi miei buttati ugualmente via: esattamente compilata con la mentalità del pollice su e del pollice giù. Complimenti al Premio Calvino, dove se la tirano parecchio, che ha dimostrato la sua inutilità per migliorare la letteratura contemporanea. Da consegnare all’oblio.
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