Scienze

#NoiStiamoConLaScienza: buoni libri per dare forza a uno slogan

31 Gennaio 2021

Giovedì 28 gennaio è arrivata in libreria la traduzione italiana di un libro uscito pochi mesi fa per Princeton University Press. Si intitola Perché fidarsi della scienza, l’ha scritto Naomi Oreskes, e la versione italiana l’ha pubblicata Bollati Boringhieri.

Di Naomi Oreskes era uscito nel 2019 in Italia un libro molto diretto, fin dal titolo: Mercanti di dubbi si intitola (l’edizione originale inglese è del 2014) e in quel testo, scritto insieme a Erik Conway, Oreskes non faceva sconti a quel mondo della scienza che aveva truffato i cittadini. Fumo, DDT, piogge acide, buco nell’ozono e riscaldamento globale: per decenni, l’applicazione delle misure a tutela della salute delle persone e dell’ambiente sostengono Oreskes e Conway in quel libro, è stata ritardata da scienziati, politici, apparati industriali e media compiacenti. Mercanti di dubbi spiega come hanno fatto, e cosa occorre fare per difendersi dalla manipolazione.

Il tema non era fare una controstoria, ma “dire la verità”, senza mediazione, e soprattutto senza far sconti a nessuno.

Perché fidarsi della scienza non è il contrario di Mercanti di dubbi. Risponde allo stesso principio. Ovvero Oreskes prende i casi i cui la scienza si è sbagliata, ma soprattutto racconta come è tornata sui suoi errori, dove si è scontrata con i luoghi comuni, cosa ha voluto dire ogni vota rimuovere blocchi di credenze, come ogni volta solo ritornando sui propri errori è stato possibile avvicinarsi al vero.

Si potrebbe pensare che questo sia un ottimo investimento per saperne di più.

L’effetto è che coloro che non vogliono sapere niente perché la loro fiducia nella teoria del complotto ha già fornito le risposte sufficienti per non avere domande, ma solo risposte, meglio “editti” si è messa in moto nel momento stesso in cui il libro è arrivato in libreria.

Se c’è una battaglia per la libertà oggi da combattere, questa sta oggi nella difesa della possibilità di argomentare, con pazienza, ma con passione andando contro il luogo comune; proponendo domande inquiete, cercando di fornire risposte argomentate e circostanziate. Ma soprattutto non arretrando mai rispetto a chi ti vuol togliere la parola, costruisce la retorica della vittima, denuncia i poteri di forti, e allo stesso tempo è il più conseguente difensore della propria non libertà che auspica divenga condizione collettiva.

Una architettura che Furio Jesi aveva definito molti anni fa «macchina mitologica» e che puntualmente ritorna allorché si mettono insieme:

(1) un anticapitalismo verbale (fortemente intriso di razzismo), caro a molte figure pubbliche la cui parabola politica è dalla sinistra radicale alla destra radicale);

(2)  un’idea di purezza fondata sulla impermeabilità a tutto ciò che non è «nazionale»;

(3) un antisemitismo fondato sull’idea di complotti volti a ledere la “sanità” (ma anche la felicità) di comunità che devono ritrovare la loro compattezza perduta (e dunque minacciata).

È una vecchia battaglia. Non è la prima volta. Non sarà nemmeno l’ultima. Il futuro immediato, ci ricorda Claudio Vercelli,  ce la riproporrà più volte.

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