Scienze
L’algoritmo della Vita
Insomma, quella sera di settembre di parecchi anni fa mi feci convincere ad andare a vedere il concerto dei Pooh a Pisa. Me l’aveva proposto un ragazzo del mio paese, ex-fidanzato di mia cugina e iscritto ad Ingegneria Elettronica. Mia cugina l’aveva soprannominato “Testuggine”, per via di una scatola cranica chiaramente sovradimensionata; immagino che il soprannome contenesse anche una sottile vendetta per la storia d’amore naufragata. “Testuggine” aveva la fama di vantarsi un po’ troppo delle sue capacità di (futuro) ingegnere, sempre capace di ottenere le cose di cui si era prefisso. Si narrava, forse esagerando, che avesse fatto esplodere una televisione in casa nel tentativo di aggiustarla. Sia come sia, era appassionato dei Pooh, e quella sera trascinò anche me. “Vedrai, sarà anche pieno di ragazze”, mi disse convinto.
A me i Pooh piacevano abbastanza; forse non da decidere di andare da solo ad un loro concerto, ma ho tuttora alcuni loro vinili a casa e non mi vergogno talvolta di riascoltarli. Mi piacciono più le canzoni cui ha contribuito Valerio Negrini, tipo “In silenzio”, e Parsifal è un piccolo capolavoro del prog italiano. Di quella sera ricordo una bella versione di “Pierre”, di cui esiste anche un video. Il mio amico era entusiasta, e in mezzo ad una marea di gente mi confidò che lui aveva una ricetta per rimorchiare una ragazza a colpo sicuro. La cosa mi colpì, perché ero abituato ad ascoltare una proclamazione alternativa del problema da parte di molti miei amici: “basta provarci con un numero sufficiente di ragazze, e alla fine almeno una cade nella rete”. Insomma, una visione legata al gioco delle probabilità, cui “testuggine” offriva un’alternativa totalmente determinista, in linea con il suo atteggiamento di ingegnere caparbio. Un Algoritmo. Anzi, L’algoritmo di Testuggine per rimorchiare le ragazze; si trattava niente di meno di questo. Peccato che il mio amico ingegnere fosse reticente a divulgarlo nei particolari. E perciò questa abilità sensazionale si è dispersa, o almeno non è passata a me. Ad occasum tendimus omnes, siamo tutti incamminati verso il tramonto, scrivevano i latini sulle meridiane.
La parola algoritmo deriva dalla trascrizione latina del nome del matematico persiano al-Khwarizmi, vissuto nel IX secolo dopo Cristo. Un algoritmo consiste in una sequenza di passi elementari ben definibili che, realizzati in sequenza, producono necessariamente un certo risultato. Un esempio semplice di algoritmo è il metodo che tutti noi impariamo alla scuola elementare per fare le operazioni in colonna. Ma anche la procedura ottimizzata per montare un mobile dell’Ikea non è altro che un algoritmo. Come parecchi fratelli nella disgrazia sanno bene, invertire un passo della procedura per montare un mobile Ikea porta inevitabilmente a dover smontare e rimontare tutto, oltre che a diverse imprecazioni. Ma gli algoritmi si annidano ovunque nelle nostre esistenze. L’automatizzazione dei sistemi informatici si basa sugli algoritmi: un computer funziona principalmente in base ad algoritmi. Raffinati algoritmi permettono di collegarsi ad Internet, acquistare oggetti on-line e ricerverli. La rotta ottimizzata che il navigatore GPS ci propone per arrivare da qualche parte è un algoritmo a tutti gli effetti.
Forse l’algoritmo più famoso, oggigiorno, è il cosiddetto “algoritmo di Facebook”. Si tratta di una procedura, i cui dettagli sono ovviamente noti solo ai programmatori di Facebook, che “smista” i post (ovvero le informazioni) ai vari utenti e i loro contatti in maniera non casuale. Maggiori sono le interazioni con un “amico” di Facebook, e maggiore è la probabilità che le sue notizie compaiano sulla nostra home page. E questo vale anche per i temi a cui siamo più interessati. L’obiettivo di Facebook è di legarti il più possibile alla piattaforma (engagement), facendoti leggere cose che sono per te interessanti e portandoti ad interagire con persone con cui condividi contenuti. Non sorprende che Facebook generi delle bolle autoreferenziali di utenti: ad esempio delle isole on-line dove i terrapiattisti non incontrano quasi mai gli appassionati di astronomia. Molti osservatori (memorabile a questo proposito il saggio di Giuliano Da Empoli, “Gli ingegneri del Caos”) collegano ad algoritmi come questi l’estremizzazione della polarizzazione politica e una buona dose di manipolazione dell’opinione pubblica, con risultati anche stupefacenti come la Brexit.
Ma c’è un algoritmo molto più importante di tutti gli altri, l’algoritmo che è alla base della vita sul nostro pianeta. E’ un algoritmo ignoto ai più, ma di una semplicità ed eleganza unici. Fu rivelato esattamente 160 anni fa da Charles Darwin, e ha cambiato per sempre il modo con cui percepiamo la nostra esistenza. E’ l’algoritmo con cui avviene l’evoluzione delle specie viventi.
Molti sanno che il naturalista inglese Charles Darwin viaggiò a lungo, circumnavigando il globo e visitando luoghi lontani come le Isole Galapagos dove pazientemente raccolse osservazioni che avrebbero poi costituito la base sperimentale della sua teoria. Tornato in Inghilterra, Darwin lesse per diletto un libro scritto dall’economista Thomas Malthus, e rimase colpito da una sua osservazione. Nel suo Saggio sui principi della popolazione Malthus aveva affermato che la popolazione umana tenderebbe ad espandersi in maniera esponenziale, ma che la carenza di risorse alimentari regola la popolazione stessa portando gli individui “in eccesso” a morire. Darwin colse il significato profondo della descrizione malthusiana, e grazie ad essa identificò un algoritmo che poteva spiegare in maniera convincente e priva di interventi soprannaturali l’evoluzione delle forme viventi come adattamento all’ambiente in cui essere si trovavano a vivere ed alle sue variazioni. L’algoritmo esprimeva quello che lui definì selezione naturale.
In maniera semplice, l’algoritmo darwiniano consta di quattro passaggi. 1) Ogni organismo genera (eventualmente insieme ad un altro) dei discendenti, passando loro la stragrande maggioranza delle proprie caratteristiche, ma non tutte. Ne consegue che la progenie è una copia leggermente imperfetta del proprio genitore. 2) In media, ogni organismo genera più discendenti di quanti possano sopravvivere nell’ambiente in cui si trovano. 3) Alcuni discendenti saranno caratterizzati da variazioni rispetto al genitore/genitori che li rendono più adatti a sopravvivere e riprodursi nel proprio ambiente, a differenza dei propri fratelli che sono caratterizzati da variazioni che li rendono meno adatti a sopravvivere e riprodursi. 4) I discendenti che effettivamente sopravvivono, si riproducono, e si torna al punto (1).
E’ intuitivo che la successione di riproduzione con variazioni porta ad una ottimizzazione delle caratteristiche degli organismi per l’ambiente in cui si trovano. La generazione casuale di caratteristiche che forniscono vantaggio nella sopravvivenza e riproduzione è alla base di tutte le specie viventi che conosciamo, e naturalmente anche di noi stessi, gli esseri umani. L’evoluzione della vita può procedere per lenta accumulazione di caratteristiche vantaggiose, ma talvolta una nuova caratteristica nella progenie genera un tale vantaggio di sopravvivenza che cambia il paradigma stesso della forma vivente. Circa un miliardo di anni fa, per esempio, da una estesa colonia di organismi costituiti da una singola cellula si originò un organismo costituito da tante cellule, ognuna con una propria specializzazione. Alcune si dedicavano al mantenimento energetico e strutturale dell’organismo multicellulare, altre alla sua riproduzione. La comparsa di un organismo multicellulare fu una transizione straordinaria nel processo evolutivo: da allora non si è più tornati indietro e gli organismi evolutivamente più complessi sono tutti multicellulari. Nel nostro corpo, ad esempio, ci sono più di 200 diversi tipi di cellule che cooperano tra loro, assolvendo diverse funzioni. Ne ho parlato qui qualche tempo fa.
Ma l’algoritmo darwiniano spiega anche la comparsa della vita stessa. Agli albori della Terra, circa quattro miliardi di anni fa, delle molecole cominciarono –forse sotto la spinta del calore sprigionato da vulcani sottomarini- a fare copie di se stesse. Queste molecole erano contemporaneamente lo stampo per la propria copia e il “catalizzatore” che favoriva la copiatura. La copiatura, tuttavia, non era mai perfettamente fedele all’originale. Alcuni errori di copiatura portarono all’inattivazione del processo e alla disgregazione delle molecole. Errori di altro tipo invece resero il processo di copiatura più favorevole. Lentamente gruppi di molecole cooperanti si agglomerarono all’interno di vescicole, dove il processo di copiatura e riproduzione poteva essere ancora più efficiente perchè protetto e coordinato. Inesorabilmente, i primi organismi unicellulari simili a batteri cominciarono a formarsi. L’algoritmo darwiniano aveva vinto la staticità della materia, e originato la Vita.
Succede, talvolta, che qualche catastrofe cancelli la Vita da un luogo. Un anno e mezzo fa un terribile incendio ha devastato i monti che circondano Pisa, lasciandosi dietro solo monconi anneriti di alberi e terreno arido e privo di vita. A pochi mesi di distanza, l’algoritmo darwiniano era già entrato in azione e ciuffi di erba ed altre piante facevano la loro comparsa accanto agli alberi inceneriti. Certo: su questi monti non si riparte da zero, non si ricomincia dalle prime molecole che si replicano. Minuscoli semi sono stati portati dal vento, e forse alcuni hanno anche resistito all’incendio nelle profondità del terreno, ed è da loro che si ricomincia. Ma la forza dell’algoritmo della Vita, la successione delle generazioni e del loro adattamento all’ambiente è sempre la stessa. Tra qualche anno tutto sarà come prima, anche se gli organismi non potranno mai essere gli stessi di prima.
Già, indietro non si torna. Alle pendici di questo monte, quasi sulla linea di confine dell’incendio, c’è un piccolo cimitero. Là riposa un bimbo che ha ricevuto caratteristiche sbagliate dalla lotteria della selezione. L’algoritmo va solo avanti.
Ora laggiù è inverno, ma tutto intorno tornerà a fiorire tra qualche settimana. Siamo il tempo innocente che nasce dal silenzio del mondo intorno a noi, canta una bellissima canzone dei Pooh, Infiniti noi.
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