Scienze

La conoscenza e i suoi nemici

17 Marzo 2018

Probabilmente molti si fermeranno soltanto al titolo di questo articolo o lo leggeranno velocemente, senza prestargli troppa attenzione. L’informazione al tempo dei social, si sa, funziona così, e non è semplice sottrarsi al moto accelerato della condivisione inerziale.

Pazienza, perché in fin dei conti questo articolo, e il libro di cui parla, è pensato per il lettore più attento, quello che si informa con consapevolezza e dedica del tempo al pensiero critico.

Si è parlato e tanto di La conoscenza e i suoi nemici, a mio avviso un libro potentissimo, scritto da Tom Nichols, politologo di Harvard, dedicato a quella che, nel sottotitolo, è chiamata giustamente l’era dell’incompetenza.

La tesi dello scienziato sociale è semplice: non solo cresce la distanza tra esperti e profani nel discorso pubblico, ma aumenta anche il moto di sfiducia del cittadino comune nei confronti dell’elìte intellettuale, all’insegna di quello spirito del tempo per cui ogni opinione è equivalente e anche formarsi all’università della vita o di Google legittima chiunque a esprimere pareri o postare teorie del complotto prive di qualsivoglia fondamento.

È la filosofia dell’ “uno vale uno” che potrebbe, a prima vista, farci immediatamente pensare alla situazione attuale, in Italia, con particolare riferimento a una forza politica ben precisa: il Movimento 5 Stelle.

La lettura di Nichols, tuttavia, è illuminante proprio perché il suo libro non parla dei grillini, ma offre piuttosto un quadro di riferimento del grillino che è dentro ognuno di noi.

Con uno stile godibilissimo e una mole ragguardevole di studi citati a sostegno delle sue tesi, Nichols affronta la questione dell’era dell’incompetenza ponendo al centro della sua argomentazione un concetto chiave: la responsabilità condivisa tra profani e cittadini disinformati, da un lato, ma anche e soprattutto tra i cosiddetti esperti.

Ognuno di noi è soggetto a distorsioni cognitive che portano a commettere errori: il bias di conferma, per esempio, per cui vediamo con molta facilità nella realtà che ci circonda fatti o notizie che confermano la nostra visione del mondo, mentre facciamo fatica a riconoscere quello che la mette in discussione.

O l’ormai celeberrimo effetto di Dunning-Kruger, dal nome di due psicologi che hanno effettuato esperimenti molto famosi in letteratura e che mostrano un risultato interessante e pericoloso insieme: chi è ignorante o incompetente tende a sopravvalutare le proprie capacità, mentre l’esperto o la persona molto informata si sottovaluta, amplificando così la distorsione nell’interpretare criticamente il mondo che sta attorno a noi.

Sono tanti gli spunti o i dati citati, ma il libro di Nichols si eleva sopra le biblioteche del mondo, a mio avviso, soprattutto con due domande forti alla comunità degli intellettuali, due domande che rispondono all’esigenza di ridare un significato al merito, da un lato, e che invocano una profonda onestà intellettuale, dall’altro.

È qui che non bisogna fraintendere Nichols: la tentazione di rifugiarsi in una deresponsabilizzazione d’avorio è forte.

Denunciare dall’alto della propria torre l’ignoranza altrui e condividere quasi con noia l’ennesimo meme che sbeffeggia il congiuntivo sbagliato di Di Maio.

No, Nichols è molto chiaro nel parlare a TUTTI, gli esperti in primis.

Di qui appunto l’esigenza di ridare un significato profondo e vero alla parola merito.

Coraggiosamente, lo scienziato sociale mette in discussione il modello educativo di oggi, parlando degli Stati Uniti ma, in generale, dell’istruzione universitaria per come viene intesa: un modello industriale in cui lo studente diventa cliente e, come tale, smette di educarsi al pensiero critico e diventa un viziato che, per definizione, “ha sempre ragione”. Nichols è molto chiaro nel dire che il problema dell’incompetenza sta anche lì dove non dovrebbe essere, proprio in virtù di un annacquamento forzato del percorso che porta una persona ad apprendere delle competenze specifiche.
Al costo di assumere posizioni impopolari e di tirare fuori la parola ‘elitarismo’, ma Nichols suggerisce semplicemente di dare un significato alla parola meritocrazia, di cui oggi semmai c’è un bisogno ancor maggiore.

Torna in mente l’espressione ‘la scienza non è democratica’, che in questo libro trova una più compiuta argomentazione: semplicemente, scienza e democrazia non c’entrano l’una con l’altra.

Dire che un voto equivale a un altro voto è sacrosanto, mentre non è la stessa cosa sostenere che un’opinione valga quanto un’altra.

Più semplicemente, ricorrendo alla statistica, il talento e il sacrificio necessari ad esprimerlo non sono distribuiti in modo normale all’interno della popolazione. Non c’è spazio per media e mediana, quando si cerca l’eccellenza.

La NASA riceve, per ogni posizione aperta, dalle 2 alle 6 mila applications, tra le quali vengono selezionati 10 astronauti: significa 1-3 possibilità su 600.
Questo è il dato e questo significa che non tutti possono fare tutto.

E men che meno parlare di ogni cosa.

Ma è qui che arriva il secondo perno del ragionamento di Nichols: una domanda potente di onestà intellettuale, rivolta soprattutto al mondo degli esperti.

Perché è lì che, vuoi per l’ego e il fascino della notorietà, a volte manca il pensiero critico.

Nichols mi ha conquistato quando, in pagine molto ispirate, racconta serenamente di una sua grossa cantonata: quella di avere salutato la salita al potere di Putin come l’avvio di una fase di democratizzazione in Russia.

Ecco, questo esercizio di auto-critica lo dovremmo fare tutti, in primis ‘noi’ (uso questo pronome cercando il più possibile di abbassare le pretese, ma anche riconoscendomi una responsabilità) che parliamo a una comunità di cittadini che si informano.

Occuparci con rigore di ciò che sappiamo, coltivando con curiosità il dubbio e aggiornandoci costantemente sulla letteratura scientifica più recente.

Combattere il generalismo fine a se stesso: sono lontani i tempi di Benjamin Franklin, che viene citato da Nichols come uno degli ultimi esperti cui si poteva chiedere di inventare una stufa e di scrivere la costituzione americana.

Un esperto dovrebbe parlare di ciò di cui è competente, che può suonare semplice ma che non lo è poi così tanto. Sempre più, un po’ perché ci si sente stocazzo o un po’ perché la visibilità è gratificante, ci si espande in territori sconosciuti dove la propria autorevolezza, in termini di competenze, viene meno, ma non l’effetto che genera sui destinatari.

Il tempo è quello che è (poco) e la curiosità, tanta, va indirizzata lì dove le nostre frecce hanno maggiore probabilità di colpire.

Cercare il distacco critico dalle proprie stesse convinzioni: per fare un esempio pratico, che mi auto-riferisco, smetterla di parlare del reddito di cittadinanza come di una cazzata verso cui fare spallucce deridendo chi ne fa domanda, ma cercare piuttosto di argomentare in che senso altri strumenti di welfare siano più indicati e in che modo sarebbe giusto redistribuire risorse e incentivi all’interno di una società.

Finirla di citare premi Nobel un tanto al chilo, perché si finisce col rinverdire il principio di autorità valido nel Medioevo: una tesi si sostiene con argomenti presentati secondo logica. Se poi c’è anche uno studioso affermato il cui lavoro fa parte dell’argomentazione, tanto meglio.

Ma il fatto che Einstein gradisse le uova strapazzate non rende una dieta a base di frittata un’idea geniale.

Essere pronti a prendersi la responsabilità di un ruolo e di competenze che vanno allenate, nutrite, sfidate sempre: Nichols lancia un grido di allarme, quando dice e sostiene che le persone confondono la democrazia, come filosofia ispirata al principio di uguaglianza politica, con l’uguaglianza fine a se stessa, un pericoloso delirio in cui la saggezza della folla viene confusa per il superamento della competenza.

Viene citato un dato, tra i tanti: fino al 2013, Wikipedia era caratterizzato da un vistosissimo, quanto pochissimo dibattuto, gender bias. Il 90 per cento degli editor e dei contributori, infatti, era rappresentato da maschi. Ecco, è bello donare soldi a un progetto meritorio di costruzione e diffusione della conoscenza ma, forse, non sarebbe stupido ragionare sulla differenza dell’enciclopedia di Diderot e sul ruolo che in essa aveva l’esperto.

Quando l’incompetenza diventa la chiave di lettura della realtà e il rapporto tra esperti e profani si nutre di sfiducia e odio frustrato, è il senso stesso del nostro vivere civile che viene meno.

Forse sta tutto in una bella frase del fisico Heisenberg, quello del principio di indeterminazione, e che viene citata non a caso da Nichols: “L’esperto è qualcuno che conosce alcuni dei peggiori errori che si possono commettere nel suo campo e sa come evitarli”.

Ecco, partiamo da qui o, quanto meno, proviamoci.

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