Scienze
I numeri del rischio al tempo del Coronavirus
Oggi ho terminato il corso sulle tecniche di misurazione del rischio a studenti che non ho quasi mai visto in faccia, ma che per qualche strano motivo ho sentito più vicino che se fossi stato su una cattedra. Mia moglie invece affronta un rischio diverso ogni giorno che va a fare il suo dovere all’ospedale COVID-19 della Maremma. E la sera, a debita distanza, discutiamo di numeri, i suoi. Sono numeri di rischio diversi da quelli di cui parlo con i miei studenti. Su questi numeri, sui numeri che non si parlano, è forse il caso di fare una riflessione pubblica.
Io insegno misure di rischio monetarie. Parto con la notazione matematica: misure invarianti alla traslazione. Poi scendo dalla matematica alla realtà. Misure che hanno la proprietà che, se al rischio aggiungete una costante, e la costante è denaro, si riducono di quello stesso ammontare. E poi da sempre chiarisco con un esempio: pensate se il rischio si misurasse in numero di vite, come in una guerra. Nessuna moneta e nessuna costante potrebbe ridurre il rischio. Questo esempio sembrava desueto e lontano, come un ordigno di guerra disinnescato, e mai avrei pensato che quest’anno l’esempio avrebbe preso vita. E sono i numeri di cui la sera parlo con mia moglie.
Come si fa a ridurre un rischio non monetario? Si può aggiungere alla perdita di una vita una costante che riduca quella perdita? La matematica di chi ritiene che questo non sia possibile attribuisce un valore infinito alla vita, e nessun capitale può assorbirne la perdita. E mentre ciascuno di noi ritiene che questo principio sia così cristallino da essere banale – la vita non ha prezzo – abbiamo scoperto ancora oggi che per una parte della politica la vita ha un valore monetario.
Abbiamo letto sui libri di storia di un Mussolini che aveva bisogno di qualche migliaio di morti in guerra per sedersi al tavolo della pace, e sappiamo com’è finita. Pensavamo che fosse roba del passato. Lo stesso principio invece ha ispirato le posizioni di Boris Johnson, di Donald Trump, persino della Svezia. Il cinismo della ragion di stato è lo stesso, ma la democrazia ha richiesto che la posizione fosse giustificata da una scienza cui i leader dei giorni nostri vogliono credere per “wishful thinking”. C’è una profonda ironia in questo, ed è veramente un contrappasso che i leader di una destra sovranista che ha guidato il proprio gregge nel dispregio della scienza (il famoso “enough of experts”), sia costretta a nascondersi dietro le sottane della scienza quando si tratta di sacrificare vite umane. E il contrappasso massimo è che questo criterio scientifico si chiami proprio “immunità di gregge”.
Sebbene la politica da operetta abbia fatto precipitosamente marcia indietro di fronte alla realtà, ha riportato alla ribalta il problema della commensurabilità dei rischi. I numeri del rischio monetario non si parlano con quelli del rischio fisico. Di questa difficoltà di convivenza avevamo già avuto avvisaglie nel dibattito sul cambiamento climatico, ma qui il confronto era mediato ed offuscato dallo sfasamento temporale. Perdite fisiche in un futuro lontano contro perdite di valori monetari oggi. E’ la questione che gli esperti di economia del cambiamento climatico chiamano: “il problema del fattore di sconto”. Come attualizzare ad oggi il rischio di un futuro catastrofico lontano.
Oggi la realtà ha tolto di mezzo la distanza temporale tra rischi fisici e rischi monetari e li ha messi a confronto a distanza di mesi o giorni, e a livelli estremi, come in una economia che opera in un periodo di guerra. La differenza è chiara: le misure monetarie si possono assorbire, il rischio della perdita di vite umane no. Quando si tratta di perdite fisiche insostituibili si può soltanto ridurre la probabilità di perdita: non la si può reintegrare o risarcire.
Quindi misure monetarie di rischio e misure fisiche fanno parte di specie diverse. Ma quando vengono a contatto in momenti come quello in cui stiamo vivendo creano attriti profondi, e corti circuiti che possono mettere a rischio la stabilità di una compagine sociale. Come i virus, anche le misure di rischio possono aver il loro spillover, il “passaggio di specie”. La storia delle guerre, insieme ai goffi tentativi di qualcuno dei leader di oggi di fronte al virus, ci offre il facile esempio di come il rischio fisico possa essere impiegato per fini di prosperità economica. E ci rende facile schierarci. Ma il problema è più complesso, perché anche le misure monetarie possono fare il “salto di specie”, e diventare perdite fisiche: vite umane e riduzione della speranza di vita. Anche questo abbiamo visto nelle grandi depressioni economiche. E su questo è più difficile schierarsi: il dibattito sull’austerità che ha accompagnato la storia della crisi del debito sovrano in Europa ne è un esempio.
Per concludere, le misure di rischio monetarie e fisiche hanno sempre convissuto nella storia dell’uomo. Oggi notiamo la loro difficoltà di convivenza perché entrambe le misure di rischio sono estreme. Per questo siamo come in una guerra: un rischio estremo di perdita di vite, e un rischio estremo di perdita di capitale. E mentre le perdite fisiche possono essere solo contenute, il rischio monetario può essere assorbito con l’iniezione di capitale. Iniettare capitale in famiglie e aziende finché il corpo dell’economia possa riprendere a respirare in autonomia. E’ la mia interpretazione della proposta comparsa sul Financial Times da parte del mio maestro, Mario Draghi, alla luce, e alla fine, di un corso on-line di misure di rischio.
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