Salute mentale
I democratici sono davvero più intelligenti?
Una delle limitazioni dell’oggettività scientifica è che la scienza è fatta da esseri umani, una di quelle ovvietà che è bene ricordare di tanto in tanto. Questo significa che i risultati scientifici rischiano di essere influenzati dalle stesse fallacie di ragionamento che affliggono chiunque: ad esempio, tendiamo a selezionare e dare maggior peso alle informazioni che confermano le nostre convinzioni, ignorando quelle che le mettono in dubbio (confirmation bias). Ne consegue che anche i ricercatori, se sono persone, tenderanno a sottostare allo stesso meccanismo di selezione dell’informazione desiderata, rischiando di ottenere risultati parziali e rispecchianti per lo più un’opinione piuttosto che una realtà oggettiva. Fortunatamente questo fenomeno è risaputo, ed esistono delle tecniche per cercare di minimizzare il cosiddetto “effetto dello sperimentatore”, in modo da ottenere risultati che siano il più possibile indipendenti dalle persone che conducono gli esperimenti, come il processo di revisione da parte di altri esperti, gli studi a doppio cieco, etc.
La psicologia sociale è sicuramente una tra le scienze più colpite dal flagello (!) della soggettività e siccome gli argomenti trattati sono inerenti alle esperienze di tutti i giorni, è più comune avere già un’idea, giusta o sbagliata che sia, dei fenomeni in discussione. È altamente probabile che io arrivi in laboratorio per testare se le persone siano propense a violare una norma morale (non uccidere) in nome di un bene superiore (salvare molte persone) avendo già una mia idea di cosa siano le norme morali, anche senza aver mai sentito parlare di psicologia. Sono queste intuizioni che è necessario controllare per limitare la soggettività degli studi.
In un recente articolo su Behavioral and Brain Science ripreso anche dal New Yorker, Duarte e colleghi descrivono un tipo di bias molto insidioso nelle scienze sociali, a cui probabilmente non è stato dato peso a sufficienza: l’ideologia politica. Gli autori sostengono che, negli ultimi 50 anni, il campo della psicologia sociale abbia perso quasi completamente la sua diversità politica, diventando prerogativa dei democratici di sinistra o liberals (lo studio fa riferimento alla realtà americana, ma la considerazione può essere estesa agevolmente, anche se non completamente, al resto del mondo occidentale). E’ chiaro che questo fatto rappresenta una limitazione per l’oggettività della disciplina, specialmente quando un settore composto per l’80% da democratici si prefigge di descrivere una realtà piuttosto diversa in termini di rappresentanza politica – come dimostrato ampiamente nelle ultime elezioni statunitensi di metà mandato.
Questa sotto-rappresentanza dei conservatori (di destra) danneggia la scienza psicologica in diversi modi, ad esempio focalizzando la ricerca su argomenti di interesse prettamente liberal (es. l’ineguaglianza o la stereotipizzazione); non solo, ma questo fatto, aggiunto al confirmation bias descritto sopra, può portare a un’interpretazione errata dei risultati che favorisce una visione liberal. Per esempio, il pregiudizio verso un determinato gruppo sociale è stato sempre ritenuto una prerogativa della destra; tuttavia, studi recenti hanno messo in dubbio questa certezza, utilizzando un campione più ampio e rappresentativo della popolazione, e dimostrando che il pregiudizio, seppur verso target diversi, esiste anche a sinistra. Un ulteriore rischio di questa mancanza di pluralismo è rappresentato dall’errata caratterizzazione della minoranza: molti giustificano la non-rappresentanza della destra all’interno della comunità scientifica con la tesi secondo cui i conservatori semplicemente sono meno intelligenti dei democratici, e non interessati ad intraprendere la carriera accademica.
In effetti, è stata riportata una correlazione negativa tra tratti conservatori e abilità cognitive, interpretata come indice di un’intelligenza minore dei conservatori rispetto ai liberals. In Minnesota, ho avuto la fortuna di avere come collega il dottor Steven Ludeke, esperto di questo argomento. Gli ho fatto qualche domanda a riguardo, e mi ha confermato che numerosi studi hanno riportato questo debole ma consistente effetto: i democratici sono più intelligenti. È bene però notare che in tutti questi studi, i tratti considerati in correlazione negativa con l’intelligenza riguardano solo gli aspetti socio-culturali del conservatorismo, ed in particolare l’autoritarismo, che descrive la tendenza a riconoscere ed obbedire all’autorità senza metterla in discussione. L’aspetto economico dell’ideologia repubblicana non è stato preso in considerazione, generalizzando così ad un’intera categoria delle conclusioni basate su dati molto più specifici. Per altro, questi due aspetti del conservatorismo (socio-culturale ed economico) sono sostanzialmente slegati, tanto che, dice Ludeke: “you just won’t find many opponents of marriage equality in this profession, but you can find a decent number of folks who want to reduce government spending [trad. Non si trovano molti oppositori del matrimonio omosessuale in questa professione, ma si può trovare parecchia gente che vuole ridurre la spesa pubblica]”. Uno studio (Carl, 2014) suggerisce addirittura che, separando i due aspetti economico e socio-culturale, i “conservatori economici” (o liberali, in Europa) abbiano un’intelligenza maggiore in alcuni ambiti. Una critica all’analisi di Duarte e colleghi è quindi doverosa, in quanto pur sostenendo nel loro articolo la necessaria differenziazione tra conservatorismo socio-culturale ed economico, loro per primi non ne tengono conto al momento di riportare i dati sulla presenza dei conservatori in accademia; probabilmente un’analisi leggermente più approfondita rivelerebbe una realtà un po’ diversa da quella che descrivono.
Tornando al conservatorismo socio-culturale, quello più studiato (e anche qui dovremmo chiederci il perché, e un suggerimento è: perché quello economico non dà i risultati attesi!), un recente studio (Crawford, 2012) ha confutato l’idea che l’autoritarismo, correlato a minori capacità cognitive, fosse una prerogativa della destra; utilizzando delle condizioni sperimentali più imparziali, anche le persone di sinistra, infatti, presentano tratti di autoritarismo. Ad esempio, alla richiesta di valutare l’insubordinazione di un maggiore dell’esercito nei confronti del Presidente, i repubblicani esprimono sdegno qualunque sia il Presidente, mentre i democratici esprimono sdegno nei confronti dell’insubordinazione solo se il Presidente in questione è democratico. Apparentemente dunque non si tratta di diminuito autoritarismo, ma semplicemente di bias di parte.
In conclusione, i democratici sono più intelligenti? A quanto pare, nonostante in molti se la siano fatta, la domanda è mal posta. Per prima cosa, l’ideologia politica è composta da almeno due fattori, quello socio-culturale e quello economico, indipendenti tra loro, che se differenziati danno risposte opposte, per cui fare di tutta l’erba un fascio comporta grossi errori di valutazione – si, anche mia nonna lo diceva, eppure – . Sicuramente il mancato pluralismo ideologico è da considerarsi tra le cause di questa errata valutazione. In secondo luogo, questo mancato pluralismo lascia troppo spazio al confirmation bias, gran nemico dell’oggettività.
Personalmente, credo nei risultati che mostrano determinati tratti, come l’autoritarismo, associati a minori capacità cognitive, ma ritengo che attribuire questi tratti, che sono universali, ad un’ideologia politica, sempre figlia del contesto storico e geografico, sia rischioso e forse controproducente: come anche Ludeke nota, “[…] in former soviet states, economic leftism is clearly associated with dogmatic/closed thinking [trad. Negli stati della ex-unione sovietica, il pensiero economico di sinistra è chiaramente associato a dogmatismo e chiusura di pensiero]”. Se poi pensiamo alla realtà della nostra Italia, frammentata e mai come ora in evoluzione (parlo soprattutto dal mio punto di vista, guarda caso di democratica), mi rendo conto come sia difficile etichettare l’ideologia di destra o di sinistra in maniera omogenea utilizzando le definizioni a cui siamo abituati.
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