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Guerrieri, sceriffi e life-coach. Il linguaggio politico al tempo del COVID-19
DISCLAIMER!
L’analisi che vi propongo prescinde da un giudizio di valore sulle strategie comunicative dei soggetti citati. In una situazione di crisi globale e di fronte a un nemico così sconosciuto e subdolo come un virus pandemico, infatti, da ricercatore, comunicatore e professionista mi astengo da valutazioni sull’efficacia e/o la correttezza delle strategie di comunicazione oggetto di questo studio.
Sono stati giorni di discorsi straordinari, dalla Regina d’Inghilterra alla Cancelliera tedesca, e di quotidiane conferenze stampa, video-annunci, meme e ordinanze. È un momento di quelli che troveremo nei libri di storia. Uno studioso dei meccanismi di comunicazione, al di là dell’efficacia di quest’ultimi, non può non interrogarsi su come si gestisce una crisi di questa portata e attraverso quali strategie discorsive i diversi soggetti – con diversi gradi di responsabilità – si pongono nei confronti dei cittadini e dei loro interlocutori.
Lo studio dei meccanismi di significazione e l’articolazione dei discorsi e dei linguaggi ci permette di orientarci in uno scenario di emergenza sanitaria nazionale e mondiale. Lo sguardo semiotico è uno strumento che permette di analizzare le modalità di comunicazione della crisi in “immanenza”, ovvero senza tener conto del punto di vista di chi è deputato a comunicare e di chi, invece, dall’altro lato, si trova a interpretare dei messaggi.
A mio avviso, si può partire da due questioni dirimenti. Una riguarda il “come” si risponde alla crisi, l’altra riguarda la modalità attraverso la quale i soggetti rispondono alle aspettative di chi li ascolta.
Nel primo caso emergono due poli di modi di rispondere alla crisi, di baumaniana memoria: rigidità e flessibilità. Da un lato, delle comunicazioni che prevedono esperienze e identità forti, rigide per l’appunto, non si prevedono sbavature, adattamenti, aperture. Dall’altro, un fare più flessibile che è resilienza, adattamento, possibili soluzioni da valutare nella realtà e non ricette calate dall’alto.
Nel secondo caso, invece, la modulazione delle risposte a delle legittime aspettative si gioca in una dicotomia tra “salvezza” e “speranza”. Da un estremo ci si concentra sulla risoluzione dell’emergenza e poi “dopo si vede”, si tende quindi a una comunicazione di tipo “prescrittiva”; dall’altro si punta a comunicare una situazione di ottimismo, una visione, una speranza, si tende quindi a una comunicazione di tipo “esortativa”. C’è una differenza enorme tra un Beppe Sala, Sindaco di Milano, che dice «avanti con giudizio» e un De Luca, Presidente della Regione Campania, che chiede l’intervento dell’esercito. Ma ci torneremo dopo.
Dall’incrocio tra come si agisce e i modi di rispondere alle aspettative, possiamo ritrovare
quattro logiche che ci aiutano ad orientarci sulle diverse tipologie di comunicazione in una situazione di crisi.
Una logica della “resistenza”: un modo di affrontare la crisi che prevede uno stato di “guerra”. Pensiamo a Emmanuel Macron, Presidente della Repubblica francese, e al suo tornare per ben 6 volte sul termine “guerra” durante il suo discorso alla nazione. Oppure al governatore della Regione Veneto Luca Zaia che nelle sue conferenze stampa si fa riprendere in “trincea” nella sede della Protezione Civile Regionale e usa termini come: fronte, frontiera, imprese belliche. Siamo in una modalità di risposta “rigida” ma con una idealità superiore per la quale combattere, come ad esempio un’ideologia, una speranza, una vittoria. Macron fa sempre richiamo ai francesi, alla nazione, nel più classico degli sciovinismi di oltralpe; per Zaia i suoi militari sono i veneti che, organizzati insieme, sconfiggono il virus. Non è un caso che nelle sue conferenze stampa si possano ritrovare delle forme dialettali e degli adagi veneti.
La logica della “resilienza” è contraria alla “resistenza”, un modo di gestire la crisi, più che affrontarla. Il soggetto resiliente è un motivatore, propone una vicinanza, supporto e sostegno nell’affrontare l’emergenza. Si pensi al primo Boris Johnson, Primo Ministro inglese, che è poi dovuto tornare sui suoi passi e speriamo possa guarire presto. O il Sindaco di Milano Beppe Sala che nei suoi video quotidiani, da Palazzo Marino, in stile casual, chiacchiera e conversa con i milanesi («Buongiorno Milano», si rivolge alla città come ad una persona). Le comunicazioni sono molto brevi e concise e tra un’informazione di servizio e una richiesta agli organi superiori, ammicca allo spettatore e si chiama in prima persona: «lasciatemi scherzare», oppure «anche io l’ho vissuta personalmente…».
Una logica dell’“emergenza” che prevede una comunicazione “autoritaria”. Ci sono delle prescrizioni da seguire, il soggetto enunciatore combatte per qualcosa mentre il destinatario è in una modalità passiva di fiducia e deve seguire delle regole. C’è una presa in carico totale del problema da parte del soggetto. É il caso di Vincenzo De Luca che con un linguaggio altisonante rompe gli schemi per far comprendere la prescrizione. Il Presidente della Regione Campania parla sempre in un setting istituzionale, si fa riprendere dall’alto a voler mostrare un fare onnisciente, un punto di vista da deus ex machina. Parla ai suoi concittadini in una lunga diretta sempre lo stesso giorno della settimana, è puntuale, si aiuta con grafici e numeri, strumenti funzionali a creare una sensazione di spavento. Non è mai vago ma comunica sempre attraverso la “duratività” dell’azione: «in 10 giorni abbiamo realizzato 10 nuovi laboratori…». Vera star del web di questo periodo di emergenza, l’uso del linguaggio fuori le righe è funzionale alla creazione del “personaggio” che attraverso la moltiplicazione del meme raggiunge l’obiettivo di “politica di emergenza”.
Infine, una logica della “tolleranza” contraria a quella della “emergenza”. Una modalità di affrontare la crisi tesa a coinvolgere il destinatario ma senza mai prendere il sopravvento, come nel caso di De Luca. Si mira, di volta in volta, ad adattarsi ad un contesto che muta ogni giorno, trovare delle soluzioni nell’immediato senza un’idealità altra ma sempre pensando alla sopravvivenza. Pensiamo all’ultima ordinanza della Regione Lombardia che prevede l’uso obbligatorio della mascherina per uscire di casa e allo stesso tempo, però, la possibilità di usare una sciarpa o un foulard. Siamo totalmente all’interno di un quadro di adattamento alla realtà che prescrive delle regole ma che tollera le eccezioni. Attilio Fontana, in questa direzione, usa un linguaggio didascalico, a volte specialistico e quasi pedagogico che crea una distanza con l’interlocutore. Le sue conferenze stampa, in contraddizione con quelle di Zaia o De Luca, sono in un setting completamente diverso, la sala stampa con la presenza costante del leggio e del backdrop che riporta la scritta “Lombardia Notizie”, particolari che trasmettono una minore presa in carico da parte del soggetto che enuncia la comunicazione. Mentre De Luca parla nello svolgimento dell’azione, Fontana parla al futuro: «speriamo che migliori», «vediamo se domani», «penso che nei prossimi giorni». È anche l’unico a mostrarsi durante le comunicazioni ufficiali con la mascherina (gli altri lo fanno solo nelle situazioni esterne) . Ci sta dicendo che anche lui è parte del problema?
L’insieme di queste considerazioni e analisi possono essere quindi racchiuse all’interno di un quadrato semiotico, uno strumento della semiotica generativa che rappresenta proprio lo schema generale delle articolazioni possibili in una data categoria semantica e lo fa per contrarietà (Resistenza vs. Resilienza), contraddizione (Resistenza vs. Tolleranza) e implicazione logica (Emergenza implica Resistenza).
In queste quattro logiche possiamo ritrovare diverse strategie comunicative attuabili in una situazione di emergenza come quella che stiamo vivendo. Immaginiamo queste direttrici come un continuum al cui interno ci possono essere sfumature e adattamenti. Ognuno può assumere un archetipo narrativo che lo caratterizza e lo rende, in questo contesto, più o meno efficace. E ognuna di queste logiche costruisce un destinatario ideale. Se Zaia assume la figura del “guerriero” che combatte una battaglia, il suo destinatario è un “allievo” che deve sentirsi “preso in carico” e sposare i valori per essere parte di una comunità combattente. Mentre De Luca – come da tradizione personale – è lo “sceriffo” (diverso dal guerriero perché opera più in relazione a un risultato da raggiungere con qualsiasi mezzo, che per un’idealità suprema o una comunità ideologizzata), presuppone quindi un mero “esecutore” che deve seguire pedissequamente uno schema. Se Sala è il “life-coach” coerente con la sua figura di sindaco degli “influencer” presuppone un “seguace” che deve condividere una visione o uno stile di vita. Mentre Fontana appare più nel ruolo della “vittima” o del “mediatore” che ha bisogno e presuppone un “alleato” che deve dotarsi delle competenze necessarie per fare da tramite del messaggio.
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